di Patrizia Vassallo
35 DOMANDE PER CONOSCERE MEGLIO LA STORIA DEL NOSTRO PAESE E NON SOLO QUELLA
Un nome in codice, Comandante Alfa, lui è uno dei 5 fondatori del Gis (Gruppo Intervento Speciale), reparto d’élite dell’Arma dei Carabinieri, con un curriculum militare ricco di medaglie e riconoscimenti, Medaglia Mauriziana al Merito, Medaglia afghana Loya Jirga, Croce d’oro al merito dell’arma dei Carabinieri, solo per citarne alcune, oltre che numerosi riconoscimenti istituzionali quali quello di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia, Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e tre libri autobiografici per raccontare una vita a dire poco avventurosa, che ha segnato il vissuto del nostro Paese: “Cuore di rondine”, “Io vivo nell’ombra” e “Missioni segrete” (Longanesi)
1) D: Caso Lockerbie. Il 21 dicembre del 1988, alle 19:03, il volo Pan Am 103 partito da Londra e diretto a New York esplose in volo a causa di un ordigno contenuto in una valigia e si schiantò sulla cittadina di Lockerbie, in Scozia. Morirono tutte le 259 persone che si trovavano a bordo dell’aereo, di cui 189 cittadini americani e undici residenti di Lockerbie. Le indagini, svolte dall’ FBI e dalla polizia di Dumfries e Galloway, nel 1991 accusarono dell’attentato solo due persone: Abdel Basset Ali al-Megrahi, all’epoca ufficiale dell’intelligence libica e capo della sicurezza per Libyan Airways, e Lamin Khalifah Fhimah, responsabile di Libyan Airways all’aeroporto di Malta. La Libia rifiutò per anni di consegnarli e lo fece solo nel 1999, dopo anni di pressioni, negoziati e l’emissione di sanzioni economiche. Nel 2003 la Libia si dichiarò formalmente responsabile dell’attentato, ma non colpevole. La motivazione dell’attentato fu spesso fatta risalire a una spirale di contrasti e vendette sorti tra Stati Uniti e Libia dopo l’abbattimento nel 1981 di due aerei libici nel golfo della Sidra da parte degli americani e nell’88 di alcuni raid aerei su Tripoli e Bengasi in cui Gheddafi disse di avere perso sua figlia adottiva. Anche se lei ebbe solo ruoli operativi, ci dia la sua lettura dei fatti.
R: Io eseguivo gli ordini, ma non ho mai creduto alla sola colpevolezza di Abdel Basset Ali al-Megrahi e Lamin Khalifah Fhimah, anche se proprio quest’ultimo proprio con il ruolo che ricopriva era ovvio che potesse disporre di maggiori informazioni rispetto a molti altri, come per esempio la lista dei passeggeri dell’aereo.
2) D: Rahman Shalgham, ex ambasciatore della Libia all’ONU, dichiarò che la Libia ebbe un ruolo nella strage di Lockerbie, facendo intendere però che anche altri paesi erano coinvolti nell’attentato. Secondo lei quali?
R: Non posso dirlo con certezza quindi non lo dico.
3) D: Che cosa può dire ad oggi della Libia senza più Muammar Gheddafi al comando?
R: Gheddafi per oltre 40 anni aveva mantenuto l’unità di un popolo non semplice da gestire. Aveva carisma e i libici, come tante altre popolazioni del Medio Oriente, avevano necessità di un leader che li guidasse. Gheddafi era diventato anche un buon interlocutore per il governo italiano che grazie a numerosi accordi con il leader libico, era riuscito a contenere le ondate di immigrati in partenza dalle coste libiche.
4) D: Quindi a suo avviso i picchi migratori sono il risultato della mancanza di accordi con leader che prima rappresentano un riferimento in ciascuno di quei Paesi?
R: Si
5) D: A suo avviso c’è necessità di un’Europa che apra le frontiere?
R: Certo e il problema reale per cui questo non viene fatto è perché gli altri Paesi più ricchi sanno che se ciò accadesse l’Italia servirebbe solo come Paese di passaggio. Il timore per la Germania e altri paesi è che i migranti vadano a bussare a casa loro per restarci.
6) D: Francia, Belgio, Germania, Spagna e Inghilterra hanno subito attentati. L’Italia no perché finora è servita come porto di attracco?
R: Sicuramente l’Italia è servita non tanto perché i migranti avessero necessità di arrivare nel nostro Paese per restarci, ma come passaggio per poi andare in Francia e in Germania. E questo può averla salvaguardata da eventuali attentati.
7) D: E poi resta il fattore umanitario
R: Basta fare due conti: ogni passaggio sui cosiddetti barconi della speranza costa dai 3000 ai 4000 dollari. Queste persone vengono sfruttate solo perché cercano di sfuggire da paesi dove oramai è impossibile vivere. Purtroppo l’Italia assieme a un paio di altri Paesi è l’unica che accoglie il maggior numero di migranti. La Germania ne ha accolti un terzo rispetto all’Italia, la Francia ha addirittura chiuso le frontiere. E altri Paesi dell’Unione Europea non hanno mai accolto un solo migrante.
8) D: Un commento sul recente caso di Aquarius?
R: Il problema sta sempre a monte, nella manzanza di accordi politici.
9) D: Il senatore, ex ministro degli Interni Marco Minniti, nel settembre del 2017 fu accusato dal commissario dei Diritti Umani Nils Muiznieks, di avere sancito patti disumani con Tripoli per governare i flussi migratori. Insomma l’Italia che faccia o non faccia è sempre messa alla gogna dalla Ue.
R: Ho grande stima dell’onorevole Minniti da sempre al servizio della giustizia. Prima come presidente della Fondazione Intelligence cuture and strategic analysis poi come sottosegretario al Ministero della Difesa con delega ai servizi segreti nel governo Letta e successivamente nel governo Renzi.
10) D: Spesso si è parlato di infiltrati terroristi fra i migranti. Il caso di Anis Amri, l’attentatore di Berlino ucciso dalla polizia italiana a Sesto San Giovanni, che era arrivato in Italia con i barconi nel 2011, aveva fatto sorgere non poche polemiche. Amri non era un fanatico all’epoca dell’espatrio, la sua radicalizzazione è avvenuta in prigione, in Italia. Dunque lei non pensa che la relazione non sia tra terrorismo e migrazione, ma semmai tra terrorismo e carcere?
R: Si, i veri terroristi nella maggior parte dei casi non sono tra questi disperati, ma fra quelli che vengono radicalizzati nelle carceri oppure via Web.
11) D: Dopo gli attentati accaduti in mezza Europa ora c’è molta più cooperazione tra le polizie europee. Nonostante ciò perché la Ue non ha ancora fatto passi da gigante nella lotta al terrorismo?
Perché mancano le decisioni politiche comuni. L’atteggiamento titubante della Ue spesso non ha facilitato e facilita la lotta al terrorismo.
12) D: E riguardo i rapporti Italia Egitto per il caso Regeni?
R: Regeni ha pagato con la vita il fatto di avere condotto un’indagine per la sua tesi su un argomento particolare e delicato. Ha creato molti fastidi e su vari fronti e ne ha pagato ingiustamente le conseguenze.
13) D: Negli anni Duemila le venne affidato l’addestramento della polizia locale in Afghanistan, continuo bersaglio di attentati di Al Qaeda e dell’Isis. E successivamente della polizia irachena dopo la liberazione di Baghdad. In quali scenari si trovò a lavorare e quali furono le maggiori difficoltà?
R: Appena arrivammo io e la mia squadra dovemmo farci carico della sicurezza quindi controllare per esempio se c’erano infiltrati terroristi fra i soldati afghani, che per esempio, durante un’esercitazione al poligono, avrebbero potuto girarsi e spararci contro. Ci rendemmo subito conto che erano molto demotivati. E affamati. Saltavano il pranzo per portarlo la sera alle loro famiglie e questo li rendeva sempre più deboli. Chiedemmo che fosse portata loro una doppia razione affinché non rinunciassero né a mangiare né a portare il cibo ai loro cari. Quello fu un gesto che apprezzarono molto e nel giro di poco tempo riuscimmo a creare un gruppo coeso e motivato. A fare una squadra, dove non c’era differenza di status e di nazionalità.
14) D: Quale altro escamotage venne escogitato per rendere questi gruppi vincenti?
R: Non furono fatte differenze fra chi aveva due gambe e chi ne aveva solo una oppure un solo braccio perché lo aveva perso combattendo nel suo Paese. Tutti uguali e tutti sullo stesso piano. Così conquistammo la collaborazione di tutti. E poi io pretesi di cambiare il traduttore. Ebbi la fortuna di potere ingaggiare un afghano tornato in patria dopo avere insegnato molti anni nel nostro Paese. Lui mi aiutò a trasmettere oltre alle parole anche le mie emozioni e sentimenti verso quei soldati. E questo ci rese una squadra vincente.
15) D: Negli anni Settanta, anni cosiddetti di piombo, in Italia si raggiunse il record dei sequestri di persona a scopo di estorsione, compiuti da bande dell’N’drangheta e dell’Anonima sarda: si registrarono infatti un picco di rapimenti tra il 1974 e il 1977. Lei partecipò alla liberazione di numerosi ostaggi tra i quali Cesare Casella. Quale fu il momento più critico di quella missione?
R: Quando dovemmo prendere il posto degli emissari della famiglia. La trattativa è durata più di un mese. Ci lasciavano dei biglietti con scritto che cosa dovevamo fare, indicandoci un itinerario. Dove fermarci. Per fortuna ai rapitori, pur conoscendo molto meglio di noi la zona, è andata male. Ci fu un conflitto a fuoco, colpimmo il loro capo e poi li catturammo.
16) D: Nel 2013 dovette organizzare il servizio di protezione del magistrato antimafia Nino Di Matteo. Come si fa a entrare nella mentalità di un mafioso e anticipare azioni e strategie per tutelare un magistrato di tale calibro?
R: Un vantaggio ce l’ha di certo chi è nato nei posti dove si convive con la mafia. Falcone e Borsellino, per esempio, avevano una marcia in più anche per questo motivo. Sapevano parlare con i capi della mafia.
17) D: Che cosa ha regalato tanto potere a Totò Riina?
R: Mafiosi e camorristi hanno sempre teso una mano a chi ne aveva bisogno. Hanno aiutato molte persone nelle loro terre. Anche questo ha contribuito ad aumentare il loro carisma e potere.
18) D: A suo avviso che cosa non ha funzionato nella strategia di sicurezza attorno a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino? Come sono potute accadere due stragi così efferate quella di Capaci e quella di via D’Amelio a distanza di un paio di mesi una dall’altra?
R: Per esempio all’epoca non c’era la tecnologia avanzata che abbiamo a disposizione oggi. Il famoso telecomando che ha fatto esplodere quel tratto dell’autostrada A29 all’altezza dello svincolo con Capaci, come anche quello usato per la strage di via D’Amelio, oggi poteva essere intercettato e bloccato.
19) D: Anche per il generale Dalla Chiesa e sua moglie poteva esserci una strada di salvezza, nonostante siano stati uccisi con un agguato differente da quelli studiati per Falcone e Borsellino successivamente?
R: Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino…parliamo di persone che spesso si sono trovate sole al comando e si sono prese la responsabilità di grandi azioni con grande consapevolezza dei pericoli che correvano. Per primo quello di morire.
20) D: Nel periodo cosiddetto degli anni di piombo in Italia tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Ottanta, si verificò un’estremizzazione della dialettica politica che si tradusse in violenza di piazza, nell’attuazione della lotta armata e di atti di terrorismo. Da lì a poco nacquero i Gis, il corpo speciale dei Carabinieri. Con quali obiettivi?
R: Con l’obiettivo di avere uomini con un addestramento speciale da impiegare per catturare criminali di grosso calibro, latitanti pericolosi o intervenire in caso di dirottamenti di aerei e treni.
21) D: Quali le motivazioni per entrare nei GIS?
R: Quello di difendere il proprio Paese sfidando la morte tutti i giorni forti di una grande preparazione tecnica, che per noi del primo reggimento carabinieri paracadutisti Tuscania era scontata, e di una notevole propensione al sacrificio. Perché la vita nei Gis è fatta di rinunce e fatica fisica, soprattutto mentale.
22) D: Un errore da non fare mai?
R: Sottovalutare il nemico.
23) D: Una debolezza in comune dei delinquenti più pericolosi?
R: Lo spirito di conservazione. Quando squadre come quelle dei Gis intervengono i delinquenti sanno che non c’è scampo quindi nelle situazioni peggiori preferiscono la resa alla lotta ad oltranza.
24) Per alcuni opinionisti e commentatori politici gli anni di piombo sono stati gli anni del “terrorismo di sinistra”, per altri dell'”eversione di destra”, per altri ancora di “stragismo di Stato”. Altre posizioni hanno ritenuto che esistesse solo una verità giudiziaria parziale, confusa e spesso contraddittoria. A sinistra nacquero organizzazioni come i Gruppi di Azione Partigiana (GAP), i Nuclei Armati Proletari (NAP), Prima Linea (PL), i Comitati Comunisti Rivoluzionari (Co.Co.Ri), i Proletari armati per il Comunismo (PAC), le Brigate Rosse (BR). A destra, i Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR), Ordine Nuovo, Ordine zero, Terza posizione, Avanguardia. Nella pratica era in corso una guerra civile a bassa intensità. Il suo parere tornando con la memoria a quel periodo?
R:L’inizio degli anni di piombo si sovrappone al periodo della contestazione studentesca, che interessò l’Italia e l’Europa. Il 1969 fu un anno di grandi contestazioni. Dopo le proteste studentesche si passò alle lotte dei lavoratori per i rinnovi contrattuali, con forti contrasti nei posti di lavoro, soprattutto nelle fabbriche. Era il cosiddetto “autunno caldo”. Il 25 aprile scoppiò un ordigno a Milano al Padiglione Fiat della Fiera provocando diversi feriti e per fortuna nessun morto, quattro mesi dopo vennero fatte scoppiare otto bombe su diversi treni. Fino ad arrivare alla strage di piazza Fontana, una strage che cambiò la storia del nostro Paese.
25) D: Dopo la strage di piazza Fontana, se ne contarono altre 5. E nel mezzo di queste stragi il rapimento e l’uccisione di uno statista del calibro di Moro. Secondo lei perché uccisero l’onorevole Aldo Moro?
R: Non credo che all’interno delle Br ci fosse un parere unanime riguardo la sua uccisione. Lo Stato non ha ceduto ai ricatti e non ha voluto scendere a compromessi e i terroristi hanno perseguito un loro obiettivo, portando alla conclusione un’azione che loro stessi definirono “un attacco al cuore dello Stato”. Moro è stato una vittima di quel sistema, di questo incrocio di tensioni.
26) D: C’era chi ha ipotizzato che le cause vanno ricercate nell’ apertura di Moro al partito comunista, inviso all’epoca anche agli Stati Uniti.
R: L’onorevole Moro evidentemente è stato un personaggio scomodo da gestire. In ogni caso la morte di Moro è stata la condanna morale della Br.
27) D: Durante il processo presso la Corte d’assise di Roma, la moglie di Moro, Eleonora Chiavarelli, affermò che i mitra della scorta si trovavano nei bagagliai delle auto per il fatto che «questa gente le armi non le sapeva usare perché non facevano mai esercitazioni di tiro, non avevano abitudine a maneggiarle, tanto che il mitra stava nel portabagagli. in quanto le loro armi erano riposte nel borsello e uno dei due borselli, addirittura, era in una foderina di plastica». Quest’ultima frase venne poi smentita dalla moglie di un uomo della scorta. La sua lettura?
R: Non credo che la scorta non fosse adeguatamente preparata a difendere l’onorevole Moro. Penso che la scelta di colpirlo in via Fani fu dettata solo da semplici convenienze logistiche.
28) D: In seguito all’omicidio Moro, il 10 maggio 1978, l’allora Ministro dell’Interno, Francesco Cossiga si dimise. Il generale dei Carabinieri Carlo Aberto Dalla Chiesa pochi mesi dopo ebbe l’incarico di coordinare la lotta contro il terrorismo e lo fece impiegando tecniche innovative nelle indagini, ottenendo notevoli risultati. Nel 1982 fu inviato in Sicilia come prefetto per la lotta contro la mafia, privo delle risorse e del sostegno politicodi cui aveva goduto nel precedente incarico e abbandonato a se stesso venne assassinato dalla mafia a Palermo assiema alla giovane moglie Emanuela Setti Carraro. Quali gli errori compiuti?
R: Tanti. Non bisogna dimenticare che nel processo Stato Mafia è stata confermata la presenza di soggetti estranei alle mafie e interni a un circuito in grado di influire sotto aspetti gravissimi e lesivi della nostra democraza. Soggetti che hanno avuto rapporti con la mafia hanno creduto di potere arrivare a una sorta di accordo e così facendo hanno legittimato la mafia.
29) D: E il suo pensiero riguardo l’uso dei pentiti?
R: Si è pagato molto anzi troppo con la condanna alla gogna e poi alla morte di Tortora. Poi con l’incarcerazione di Bruno Contrada, ex capo della Criminalpol e numero 3 del Sisde, il servizio segreto civile, che ha passato in prigione 20 anni della sua vita.
30) D: Anche le accuse nei confronti dell’ex generale dei ROS Mario Mori sono calunnie?
R: Ho una grande stima dell’ex generale Mori. E altrettanta dei due pm della Procura di Palermo Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo. Sono fiducioso che presto verrà a galla la verità.
31) Una risposta lo Stato italiano l’ha data con la promulgazione dell’articolo 41 bis.
Dopo l’omicidio di Falcone e Borsellino il ministro della Giustizia Claudio Martelli per impedire il passaggio di ordini tra i criminali in carcere e le organizzazioni di appartenenza sul territorio applicò il regime del carcere duro a molti detenuti togliendo loro ogni possibilità di comunicare con l’esterno. Questo fu un atto di grande forza politica.
32) D: A suo avviso è vicino il giorno della cattura di Matteo Messina Denaro? Il procuratore Antimafia Cafiero De Raho ne è certo.
R: La rete che lo circonda pare avverta qualche tensione. Anch’io la penso come De Raho che ha affermato che la copertura di Messina Denaro è diventata più difficile da mantenere e senza copertura non si resta latitanti.
33) D: Siamo tornati a un clima di grande malcontento generale molto elevato.
R: Mancano le decidioni politiche,
R: L’occupazione offre soluzioni sempre più spesso “mordi e fuggi”, dagli stages, ai contratti a tempo determinato si registra una finta crescita occupazionale. Per i più ambiziosi andaresene dall’Italia resta la via più alettante. Lei come vede questo periodo storico nel nostro Paese?
R: Con preoccupazione come tutti. Con risvolti che potrebbero diventare presto involutivi.
34) D: A Milano il 3 marzo 1972 le Brigate Rosse compiono il loro primo sequestro di persona, venne rapito l’ingegner Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit-Siemens, che prelevato di fronte allo stabilimento, venne fotografato con un cartello al collo con scritto: «Mordi e fuggi. Niente resterà impunito. Colpiscine uno per educarne cento. Tutto il potere al popolo armato!». A questa azione ne seguirono altre, in un crescendo di intensità e di rilevanza delle persone rapite. Lei pensa che con l’aumento della povertà e della disoccupazione in Italia potremmo ricascare in un’ondata di terrore simile a quello dei tempi passati?
R: Rispetto al passato le tecniche investigative sono cambiate e le forze di Polizia hanno fatto passi da gigante. Quindi certe azioni saranno difficilmente replicabili.
35) D: Ha un rimpianto?
R: Si, uno solo. Quello di non essere stato coinvolto negli ultimi 25 anni nella cattura di Matteo Messina Denaro.
(Riproduzione riservata/Patrizia Vassallo journalist WHAT-U need to know)
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