di Patrizia Sinclair
A volte ci sono dolori che non si possono raccontare. E nemmeno condividere. Perché sono così tanto più grandi di noi che sono difficili da accettare. E così assurdi da stordirci e lasciarci senza parole e lacrime. Il dolore composto dei famigliari delle vittime del crollo del ponte di Genova ne è la testimonianza. Forse è anche per questo motivo che alla messa del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, che ieri stamattina si è celebrata nel padiglione della Fiera di Genova, per ricordare tante vittime innocenti, dove tra poco meno di un mese si terrà la 58esima edizione del Salone Nautico, c’erano soltanto 19 delle 43 bare di coloro che a causa di quel ponte spezzatosi all’improvviso, hanno perso la vita e inevitabilmente hanno segnato per sempre anche quella dei loro cari.
Tra questi c’era chi ha preferito tornare “a casa” per celebrare il funerale dei propri congiunti, chi il figlio, chi una figlia, chi un’intera famiglia e chi ha detto di no ai funerali di Stato, proprio perché non si è sentito abbastanza tutelato anche dalle Istituzioni, che secondo alcuni, nel corso degli anni avrebbero dovuto essere più attente e perentorie nell’esigere la sicurezza dei cittadini. Senza concedere alcuna proroga.
Ora sarà compito della magistratura fare luce tra i sé e i ma e trovare i colpevoli, perché come ha detto il procuratore di Genova, Francesco Cozzi, non si è trattato di una fatalità, ma di un errore umano. «Cerco di vederlo con gli occhi del magistrato», ha dichiarato ieri Cozzi al Corriere della Sera, «che deve indagare sulle responsabilità di una tragedia immensa. Oggi al funerale c’era gente ferita nel profondo ma forte e composta come sono i genovesi. Gente che non vuole lasciarsi sopraffare, superba, orgogliosa, che non recita il ruolo della vittima e proprio per questo è molto determinata. E io voglio essere altrettanto determinato nel senso della giustizia, ragione per cui ho messo in campo una squadra di pm molto esperta e competente».
Considerazioni, quelle di Cozzi, che non lasciano la possibilità di reiterare più alcun dubbio e rinvii. In barba a chi oggi punta ancora il dito contro l’ingegnere Riccardo Morandi, che ha costruito il ponte, oggi maledetto, sul Polcevera, accusandolo di avere optato per una tecnologia per gli stralli fallimentare, perché il sistema “per riempire le guaine e bloccare la corrosione” non solo non ha funzionato, ma ha addirittura accelerato il processo di degrado. Per non parlare della storia della gronda, l’infrastruttura che avrebbe dovuto collegare Genova con le autostrade del Nord per fare in modo che il traffico sul viadotto dell’A10 e sul ponte Morandi fosse diluito. Anche in questo caso basta dire che quel ponte Morandi lo aveva costruito ipotizzando un passaggio di circa 3 milioni di auto l’anno e non 28 milioni, come è poi accaduto negli ultimi anni.
Per capire ora quali sono stati e sono gli esatti pesi della responsabilità su tutti i fronti non è e sarà semplice. Lo Stato nel momento in cui fu presa la decisione di privatizzare le autostrade, demandò al concessionario il controllo delle infrastrutture preferendo tenere per sé responsabilità più limitate, come quella del controllo del rapporto fra investimenti e ricavi, il giusto prezzo dei pedaggi, l’inflazione. Per rendere l’idea è come se avesse invertito gli obblighi e le responsabilità del padrone di casa e dell’affittuario di un appartamento. Così il concessionario da quel momento ha vestito i panni del padrone di casa, assumendosi le responsabilità che prima erano dello Stato.
Concetto ribadito sempre ieri da Cozzi nell’intervista al Corriere della Sera. «Il concessionario è come se fosse diventato il proprietario delle autostrade, non l’inquilino che deve gestirle. Se la suona e se la canta, decide che spese fare, quando intervenire, fa i controlli periodici sulla rete che gestisce…».
Parole che ora lasciano solo l’amaro in bocca e tanti dubbi, lasciando presagire un cammino non certo facile per la magistratura.
Una notizia certa è invece arrivata nelle ultime ore dal Consiglio dei ministri, che dopo la riunione di ieri presso la Prefettura di Genova, su proposta del Presidente Giuseppe Conte, ha deciso di stanziare ulteriori risorse oltre a quelle previste nella prima delibera dello stato di emergenza del 15 agosto scorso per il crollo del ponte Morandi, pari a 28 milioni e 470 mila euro.
E come Cozzi, anche il Premier Giuseppe Conte ha parlato di volontà di fare chiarezza al più presto sulla situazione.
E’ di poche ore fa anche una sua relazione al Consiglio dei ministri sulle iniziative intraprese dal Governo al fine dell’accertamento della responsabilità del concessionario e sugli obblighi di risarcimento. Insomma, siamo solo all’inizio di un lungo cammino.
Ieri però era il momento della preghiera e del raccoglimento. Particolarmente commosso è apparso, il capo dello Stato Sergio Mattarella che si è intrattenuto e ha abbracciato i parenti delle vittime prima dell’inizio della cerimonia. Applausi anche all’arrivo dei rappresentanti del governo Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Matteo Salvini, Danilo Toninelli e del governatore della Liguria, Giovanni Toti. Mentre alcuni fischi si sono levati all’indirizzo del segretario del Pd Maurizio Martina e della senatrice Roberta Pinotti. Presente anche Beppe Grillo. Hanno assistito alle esequie anche Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade per l’Italia e il presidente Fabio Cerchiai, che nel pomeriggio hanno tenuto la prima conferenza stampa dal giorno del crollo, senza per ora assumersi alcuna responsabilità per il crollo del ponte.
Alle preghiere del cardinale Angelo Bagnasco, al quale va il riconoscimento di essere riuscito a coinvolgere tutti nel nome di un unico Dio, a conclusione della celebrazione religiosa, a pochi passi dai feretri, in ricordo delle due vittime albanesi di fede islamica, si sono unite anche quelle della comunità islamica. «Allah akbar», ha detto Salah Husein, segretario della comunità dei Musulmani della Liguria e Imam di Genova, unendo metaforicamente, nel suo breve intervento, per una manciata di minuti, due religioni così diverse come quella cristiana e quella islamica. Dopo di lui dopo di lui è intervenuto Mohamed Nour Dachan, presidente onorario dell’Unione delle Comunità islamiche d’Italia, che ha detto: «Nel nome del Dio unico il crollo di un ponte che sia fisico o metaforico provoca sempre un gran dolore. Due punti che non si toccano più e portano via per sempre le vite di tante persone segnando una perdita grave per l’umanità intera. E il dolore è immenso. Affidiamo a Dio le nostre preghiere per tutte le vittime, per le loro famiglie, per tutti i feriti e i dispersi e gli sfollati, ma anche per i soccorritori». Poi un pensiero per i famigliari delle vittime che non erano presenti. «La nostra preghiera si trasmette anche a tutti coloro che hanno celebrato i funerali in forma privata, siamo vicini a tutti voi e chiediamo al Signore», e qui Dachan, ha dovuto fermarsi per un lungo applauso dei presenti, «colui che nella sua infinita misericordia ci ha insegnato il valore dei ponti con il primo ponte simbolo che ha unito il primo uomo e la prima donna, creando così l’unione di tutta l’Umanità, di renderci consapevoli delle nostre responsabilità». Poi un’altra pausa per gli applausi. «Chiediamo a lui di accogliere le anime delle vittime e di consolare i loro famigliari. Preghiamo per Genova, la Superba saprà rialzarsi». Di nuovo lunghi applausi. «Saprà rialzarsi con fierezza la nostra Genova, la Zena, che in arabo significa “la bella”, la Zena vuol dire la bella, che nei nostri cuori le Comunità islamiche di Genova dalla Liguria all’Italia intera pregano, affinché la pace sia con tutti voi, che il Signore protegga l’Italia e gli Italiani». E con queste parole si è congedato dalla folla commossa, che lo ha salutato di nuovo con lunghi applausi.
(ph. Rai news)
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