di Patrizia Sinclair
Nel 2016, il prodotto interno lordo mondiale (PIL) ha toccato quota 68.3 trilioni di euro, l’86,2% dei quali totalizzato dai membri del G20 (il 2,2% in meno rispetto al 2006) mentre gli Stati Uniti hanno raggiunto quota 24,6% superando i Paesi dell’Unione Europea, che si fermarono al 21.8% (grafico 6.1.).
La Cina dal 5,4% del 2006 è passata al 14.8% nel 2016, superando il Giappone fermo al 6.5%. Una crescita rapida quella del PIL cinese che dal 2006 al 2016 è aumentato di 7.925 bilioni, equivalente nel 2016 al PIL complessivo delle nove più piccole economie del G20 (Corea del Sud, Australia, Russia, Messico, Indonesia, Turchia, Arabia Saudita, Argentina e Sud Africa).
Passi da gigante sono stati fatti anche dall’India, la più incisiva nell’aumento del Pil mondiale, che dalla decima posizione del 2006 è riuscita a conquistare lo scettro del quinto Paese più ricco nel 2016.
TRA IL 2006 E IL 2016 CINA, INDIA E INDONESIA REGISTRANO IL PIL PIU’ ALTO
Il grafico 6.2 mostra le reali percentuali di cambio del PIL dal 2015 al 2016 e le percentuali annuali medie dal 2006 al 2016. In questi ultimi 10 anni le percentuali più basse si sono registrate nelle economie più sviluppate come il Giappone, i Paesi dell’Unione Europea, gli Stati Uniti e in Russia, mentre quelle più alte sono state censite in molti paesi dell’Asia in particolare l’India e la Cina. Analizzando il cambio delle percentuali tra il 2015 e il 2016 si evince che Cina, India e Indonesia sorpassano tutti mentre invece Argentina, Brasile e Russia registrano una contrazione nelle loro economie.
Economie interne che cambiano e che nel 2016 complessivamente fanno registrare un rialzo del PIL mondiale del 2,4% (più basso quello dei Paesi dell’Unione Europea assestato al 2,0%).
Nel 2016 al primo posto, (davanti all’Arabia Saudita), tra gli stati membri del G20 con un PIL più alto per abitante ci sono gli Stati Uniti. Australia, Canada, Giappone, i Paesi dell’Unione Europea e il Sud Corea con una percentauale media del PIL per abitante doppia rispetto a quella per abitante registrata nel mondo, speculari invece Cina, Brasile, Sud Africa, Indonesia e India con percentuali medie del PIL per abitante al ribasso.
In sunto dal 2006 al 2016 è accaduto che i Paesi con un PIL più basso ebbero economie in crescita, in particolare India e Indonesia, mentre invece quelli con un PIL più alto registrarono una crescita delle loro economie inferiore (Paesi dell’Unione Europea, Canada e Giappone). Fatta eccezione per il Sud Africa, il Messico, l’Argentina, il Brasile e la Russia che come si evince dal grafico 6.3 ebbero un PIL basso e contestualmente anche economie decrescenti.
Scenari cambiati in modo significativo anche a causa della crisi finanziaria ed economica del 2008 e 2009, che ha determinato una forte esposizione generale delle finanze pubbliche.
Basta dire che nel 2016, il picco massimo delle entrate e delle uscite generali in relazione al Pil è stato del 91,05% tra gli Stati membri del G20, del 93,7% nei Paesi dell’Unione Europea, del 79.8% in Canada, del 77,2% in Argentina e del 31,2% in Indonesia. E soltanto Messico Arabia Saudita e Sud Corea hanno rappresentato delle eccezioni.
Nel 2016 la maggior parte dei Paesi membri del G20 aveva le finanze in rosso. Soltanto la Corea del Sud vantava un bilancio positivo. (grafici 6.4 e 6.5).
Nel 2016 la situazione risultava critica anche in Argentina, in India e in Brasile, il cui disavanzo oscillava tra il 5,0% e il 9,0% del PIL. Con l’Arabia Saudita in pool position con un deficit del 17,2 del PIL. Un salto nel buio quello dell’Arabia Saudita che dai fasti del 2006 con un avanzo del 20,8% era passata 10 anni dopo a registrare il maggior deficit dei Paesi membri del G20, dovuto al decremento delle entrate e alle oscillazioni del prezzo del petrolio. Gli unici ad avere oscillazioni contenute furono i Paesi dell’Unione Europea e l’India.
TRA il 2006 E IL 2016 IL PIU’ FORTE TASSO DI DEBITO SI REGISTRA IN GIAPPONE E NEGLI STATI UNITI
Tra il 2006 e il 2016 il Giappone aumenta il suo deficit, che arriva a quota 184,3% del PIL, percentuale che dal 2016 aumenta fino a toccare il 239,3% (grafico 6.6 ). Conti in rosso anche per gli Stati Uniti che non furono da meno visto che tra il 2006 e il 2016 raggiunsero una percentuale di debito che oscillava dal 64,2% al 107,1% del PIL.
In coda al Giappone e agli Stati Uniti – tra i Paesi con la più alta percentuale di debito – il Canada (92,4%) e i Paesi dell’Unione Europea (83,2%). Segno più solo per cinque dei Paesi membri del G20che registrarono un disavanzo al ribasso rispetto a quello cumulato nel 2006: India, Indonesia, Arabia Saudita, Argentina e Turchia. Con minimi da considerarsi storici per la Russia e l’Arabia Saudita entrambe sotto il 20,0% del PIL.
Per avere le idee più chiare riguardo l’equilibrio dei crediti e dei debiti riguardo la bilancia dei pagamenti nel settore del commercio e dei servizi basta dare un’occhiata al grafico 6.7, che mostra l’importanza di questi 2 elementi nel 2017 con le esportazioni che riflettono l’equilibrio dei crediti e quello dei crediti.
IMPORT ED EXPORT CHI VINCE E CHI PERDE
Per le esportazioni l’India, gli Stati Uniti e i Paesi dell’Unione Europea raggiungono quota 30,0% di beni esportati mentre nell’area di tutti i Paesi del G20 le esportazioni risultano assestarsi intorno al 23,6% e i servizi contribuiscono meno del 10,0% di tutto l’export realizzato da Cina, Arabia Saudita e Messico.
Dai dati di Eurostat, risulta che nel 2016 la Cina è stata il maggiore esportatore di beni al mondo con una quota del 17% delle esportazioni mondiali e il terzo importatore con una quota del 12% delle importazioni mondiali.
Nel 2017 è diventata il principale partner per le importazioni di beni dell’UE e il secondo partner per le esportazioni di beni dell’UE nel 2017. Il principale importatore di merci dalla Cina sono stati i Paesi Bassi (87 miliardi di EUR) e il principale esportatore di merci verso la Cina è stata la Germania (87 miliardi di EUR).
Il commercio europeo di merci in equilibrio con la Cina continua ad essere in deficit, con un picco di 180 miliardi di euro nel 2015 prima di scendere a 176 miliardi nel 2017.
I beni manufatti dominano sia le esportazioni di merci dall’UE alla Cina e le importazioni dalla Cina all’UE, che rappresentano l’85% delle esportazioni totali e il 97% delle importazioni totali. Il più grande deficit di commercio di beni con la Cina è detenuto dai Paesi Bassi (71 miliardi di euro), mentre la Germania ha il più grande interscambio di beni in eccesso (15 miliardi di euro)
UE E CINA NELLO SCAMBIO MONDIALE DI MERCI
La figura 1 mostra che i cinque maggiori esportatori di beni rappresentano quasi la metà delle esportazioni mondiali. La più grande è la Cina (17%) seguita dai Paesi dell’Unione Europea (16%), dagli Stati Uniti (12%), dal Giappone (5%) e da Hong Kong (4%). Gli stessi cinque rappresentano anche quasi la metà delle importazioni mondiali di beni, ma in ordine diverso. Qui la Cina è terza con il 12% ed è preceduta dagli Stati Uniti (18%) e dall’UE (15%), mentre il Giappone (5%) e Hong Kong (4%) completano i primi 5.
Figura 1: La posizione della Cina tra i maggiori operatori mondiali di beni, 2016
Fonte: Eurostat (ext_lt_introle)
La figura 2 si concentra sull’evoluzione degli scambi di merci nell’UE e in Cina nel periodo 2007-2016. Le esportazioni cinesi di beni sono cresciute più rapidamente di quelle dell’UE, specialmente tra il 2009 e il 2015, quando hanno raggiunto il picco del 130% rispetto al livello del 2007. La crescita delle importazioni cinesi di beni è molto vicina alla crescita delle sue esportazioni e notevolmente superiore alla crescita delle importazioni dell’UE. Il tasso di copertura (esportazioni diviso per le importazioni) per la Cina era del 128% nel 2007, a indicare un sostanziale scambio di eccedenze di beni. Il rapporto è sceso al 109% nel 2011, ma poi ha iniziato a crescere, raggiungendo un picco del 135% nel 2015, prima di scendere al 132% nel 2016.
Figura 2: Evoluzione degli scambi di merci nell’UE-28 e in Cina (2007 = 100) e indice di copertura (%), 2007-2016
Fonte: Eurostat (ext_lt_introle)
Il deficit dell’UE con la Cina rimane sostanziale
La figura 3 mostra che nel 2017 la Cina aveva una quota dell’11% nelle esportazioni extra UE di beni (198 miliardi di euro), diventando così il secondo partner più importante degli Stati Uniti (20%, 376 miliardi di euro). Nelle importazioni extra UE di beni, la Cina è stata il principale partner con una quota del 20% (375 miliardi di euro) di fronte agli Stati Uniti (14%, 255 miliardi di euro).
Figura 3: Posizione della Cina tra i principali partner dell’UE per gli scambi di merci, 2017
Fonte: Eurostat (ext_lt_maineu)
Dal 2008 al 2017, l’UE ha costantemente avuto un deficit di commercio con la Cina (figura 4). In questo lasso di tempo, gli scambi tra le due economie hanno toccato un minimo nel 2009 a causa del calo delle importazioni, ma si sono rapidamente ripresi. Vi sono state alcune fluttuazioni nella bilancia commerciale inferiori a 140 miliardi di euro nel 2009, nel 2013 e nel 2014, ma superiori a 170 miliardi di euro nel 2008, nel 2010 e dal 2015 in poi. Nel 2017 erano 176 miliardi di euro.
Figura 4: Bilanciamento delle importazioni, delle esportazioni e degli scambi di merci tra l’UE e la Cina, 2008-2017 (miliardi di euro)
Fonte: Eurostat (ext_lt_maineu)
I beni manufatti dominano il commercio con la Cina
Quando si analizzano le importazioni e le esportazioni dei gruppi SITC , le principali categorie che guidano le esportazioni e le importazioni dalla Cina sono “Macchine e veicoli”, “Altri beni manufatti” e “Prodotti chimici” (Figura 5). Insieme, questi manufatti rappresentano l’85% delle esportazioni dell’UE e il 97% delle importazioni nel 2017 (cfr. Figura 5). Nelle esportazioni dall’UE alla Cina, “Macchine e veicoli” (54%) era circa tre volte più grande di “Altri manufatti” (18%) mentre le importazioni dalla Cina “Macchine e veicoli” (52%) erano molto più vicine a “Altri manufatti” (40%).
Figura 5: esportazioni UE verso 28 e importazioni dalla Cina per gruppo di prodotti, 2008 e 2017 (miliardi di EUR)
Fonte: Eurostat DS-018995
La figura 6 mostra l’evoluzione delle importazioni e delle esportazioni dell’UE dal gruppo SITC dal 2008. Nel 2017 l’UE ha eccedenze commerciali in “Prodotti chimici”, “Cibo e bevande”, “Materie prime”, “Energia” e “Altri beni”. Tuttavia questi sono stati sminuiti dai grandi deficit commerciali di “Altri manufatti” e “Macchine e veicoli”.
Figura 6: scambi UE-28 con la Cina per gruppo di prodotti, 2008-2017 (miliardi di euro)
Fonte: Eurostat DS-018995
APPARECCHIATURE PER LE TELECOMUNICAZIONI LE PIU’ SCAMBIATE
La figura 7 fornisce maggiori dettagli sulle merci scambiate tra l’UE e la Cina, che mostrano i 20 prodotti più venduti con maggiori dettagli (dal livello 3 del SITC). I primi 20 prodotti coprivano circa il 52% del totale dei beni scambiati nel 2017. Undici dei prodotti tra i primi 20 appartengono al gruppo “Macchine e mezzi di trasporto”, da otto a “Altri beni manifatturieri” e uno a “Prodotti chimici”. Le “apparecchiature per le telecomunicazioni” erano il prodotto più commercializzato seguito da “macchine automatiche per l’elaborazione di dati” e “automobili e veicoli”.
Un altro modo interessante per esaminare i dati è quello di analizzare il rapporto export / importazione dei beni scambiati, al fine di identificare meglio la direzione presa dai flussi e la specializzazione tra le due aree. Questi rapporti si possono trovare nel margine destro della figura 8. Per il prodotto principale, il rapporto è 5, il che significa che le esportazioni dell’UE verso la Cina coprono solo il 5% delle importazioni dell’UE dalla Cina. Tredici dei 20 prodotti principali hanno un rapporto inferiore a 100 di cui otto inferiori a 10. Tra i primi 20 prodotti si trovano i valori più alti per “automobili e veicoli”, “aeromobili” e “medicinali”. Gli unici 20 prodotti principali in cui vi erano flussi comparabili in entrambe le direzioni erano gli apparecchi elettrici per “circuiti elettrici” e i “tubi elettronici” con rapporti rispettivamente di 82 e 126.
Figura 7: La maggior parte dei beni scambiati con la Cina, la top 20 dei prodotti di livello 3 SITC, 2017 (miliardi di euro)
Fonte: Eurostat DS-018995
I PAESI BASSI E LA GERMANIA FANNO L’EN PLEIN NELL’IMPORT NEGLI SCAMBI CON LA CINA
La tabella 8a mostra le importazioni degli Stati membri di merci dalla Cina e la quota della Cina partner nelle importazioni nazionali extra-UE. La tabella 8b fornisce informazioni simili ma riguarda le esportazioni di merci degli Stati membri verso la Cina.
Vi erano sei Stati membri le cui importazioni di merci dalla Cina nel 2017 erano superiori a 20 miliardi di euro: Paesi Bassi, Germania, Regno Unito, Italia, Francia e Spagna. Insieme hanno rappresentato poco più di tre quarti di tutte le importazioni dalla Cina. Le importazioni dalla Cina come percentuale delle importazioni extra-UE totali sono state superiori al 10% per tutti i paesi tranne la Lituania (9,6%), il Lussemburgo (9,3%) e Malta (8,7%). La quota è stata più alta nella Repubblica ceca (33,9%) e nei Paesi Bassi (30,4%).
Tabella 8a: Importazioni di merci dalla Cina per Stato membro, 2017
Fonte: Eurostat DS-018995
Vi erano cinque Stati membri le cui esportazioni di merci verso la Cina nel 2017 erano superiori a 10 miliardi di euro: Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Paesi Bassi. Insieme rappresentavano poco più di tre quarti di tutte le esportazioni verso la Cina. Le azioni per la Cina nel complesso delle esportazioni extra-UE erano inferiori a quelle delle importazioni per tutti gli Stati membri ad eccezione del Lussemburgo e della Finlandia. Erano superiori al 10% solo in Germania (16,4%), Finlandia (14,2%), Danimarca (11,5%), Slovacchia (11,3%) e Svezia (11,0%).
Ma arriviamo al fronte States. Donald Trump, dopo il deficit commerciale di 375 miliardi accumulato nel 2017, durante il suo primo anno di mandato, ha iniziato una vera e propria battaglia commerciale contro la Cina, colpevole, a suo dire, di aver rubato proprietà intellettuali americane e di pratiche poco limpide negli investimenti. Così dalle 12:00 (ora USA) del 23 marzo 2018 sono stati introdotti i primi dazi su acciaio e alluminio che si manterranno fino a quando Trump «riterrà che le azioni di minaccia siano esaurite».
Ovviamente da parte del premier cinese Xi Jinping la risposta non si è fatta attendere visto che in seguito all’attacco di Trump ha deciso di adottare misure analoghe seppur attenendosi per ora a un livello più basso. «Questo provvedimento», ha detto Trump, «aiuterà la nostra industria siderurgica nazionale a riavviare le strutture inutilizzate, aprire fabbriche chiuse, conservare le competenze necessarie assumendo nuovi lavoratori dell’acciaio e a mantenere o aumentare la produzione, il che ridurrà la necessità della Nazione di fare affidamento sui produttori stranieri per l’acciaio e garantire che i produttori nazionali possano continuare a fornire tutto l’acciaio necessario per le industrie strategiche e la difesa nazionale». Parole senza se e senza ma, che però nelle ore successive hanno lasciato intravedere possibili deroghe per alcuni Paesi, cheTrump ha espressamente citato ossia il Messico e il Canada, ai quali il presidente americano ha riconosciuto una particolare integrazione con il sistema industriale degli USA in virtù della prossimità territoriale, e con i quali sono inoltre in corso colloqui per la revisione del Nafta. Per tutti gli altri la speranza di ottenere deroghe è affidata alle intenzioni future del Presidente, che come è noto possono avvenire anche con lanci di Twitter.
Obiettivo di Trump è fuor di dubbio che sia quello di riequilibrare la bilancia commerciale con il Dragone Cinese, in tempi rapidi. Qualche risultato per ora si è visto: se i liberal puntano il dito sul crollo degli investimenti cinesi in America, franati del 92 percento nei primi mesi del 2018, i protezionisti fanno notare come al contempo siano diminuite le influenze nella politica interna e le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti. Senza contare che la disoccupazione è scesa ai livelli pre-crisi.
Gli Stati Uniti sono il Paese più ricco al mondo per ricchezza prodotta (Pil), seguiti da Cina, Giappone, e Germania. Da soli producono un quinto dell’economia mondiale. Il settore più redditizio, quello immobiliare, che incide per il 13 percento del Pil, non risente particolarmente dei dazi commerciali. Poi c’è quello finanziario (7,2 percento), quello della Salute (7,1 percento), del Commercio all’ingrosso (6 percento) e di quello al dettaglio (5,8 percento), della produzione dei beni durevoli, tra cui derivati del petrolio, l’agricoltura e vestiti (5,5 percento). Gli Stati Uniti importano più di quello che producono: circa il 5 % in meno se consideriamo la percentuale delle esportazioni: 8% delle esportazioni e il 13% delle importazioni di tutto il pianeta. Sono proprio i tracciati dei flussi a dar senso a questi numeri: si esporta soprattutto verso l’Unione Europea (18,7%), verso il Canada (18,3%), il Messico (15,9%) e la Cina (8 %). Ma è proprio con la Cina che si registra il più grande dislivello commerciale: il 21,4% delle importazioni, infatti, proviene da Pechino, seguono quelle dall’Unione Europea (18,9%), e quelle degli altri due Paesi del trittico della Nafta (il Messico al 13,2% e il Canada con il 12,6%). Tutti Paesi pesantemente puniti dalle politiche protezionistiche di Trump.
Ora saranno i numeri e gli effetti a stabilire se Trump ha fatto bene a seguire le logiche protezionistiche di Robert Lighthizer, il rappresentante commerciale, anziché quelle liberali, per raggiungere il suo obiettivo: “Making America great again…”.
Tabella 8b: Esportazioni di beni verso la Cina per Stato membro, 2017
Fonte: Eurostat DS-018995
La tabella 8c mostra che solo tre Stati membri hanno avuto uno scambio di eccedenze di merci con la Cina nel 2017, Germania (15 miliardi di euro), Finlandia e Irlanda (entrambi 1,4 miliardi di euro). I restanti 25 Stati membri avevano un deficit del commercio di merci, che per i Paesi Bassi (71 miliardi) e il Regno Unito (33 miliardi) superava i 30 miliardi di euro. Spagna e Italia (entrambi 15 miliardi di euro) e Polonia (14 miliardi di euro) sono gli altri Stati membri con un deficit commerciale superiore a 10 miliardi di euro.
Tabella 8c: saldo degli scambi di merci con la Cina per Stato membro, 2017 (milioni di euro)
Fonte: Eurostat DS-018995
Dati sorgente per tabelle e grafici
Cina-UE – commercio internazionale di merci statistiche – grafici e tabelle
Origine dei dati
I dati dell’UE sono tratti dalla banca dati COMEXT di Eurostat .
Classificazione del prodotto
Le informazioni sulle materie prime esportate e importate sono presentate secondo la Classificazione internazionale del commercio (SITC) . Una descrizione completa è disponibile dal server di classificazione RAMON di Eurostat .
Unità di misura
I valori commerciali sono espressi in milioni o miliardi (10 9 ) di euro. Corrispondono al valore statistico, ossia all’importo che sarebbe fatturato in caso di vendita o acquisto al confine nazionale del paese dichiarante. Si chiama valore FOB (gratuito a bordo) per le esportazioni e un valore CIF(costo, assicurazione, trasporto merci) per le importazioni.
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