La violenza, in particolare quella contro le donne, assume molteplici forme più o meno gravi: dalla violenza fisica a quella sessuale, dalla violenza psicologica a casa in ufficio a quella economica, dagli atti persecutori come lo stalking fino alla eliminazione stessa della donna. Desirée M, la 16enne di Cisterna Latina, trovata senza vita nella notte fra giovedì e venerdì scorsi in un cantiere abbandonato di via dei Lucani, a Roma è l’ultima della lunga lista di vittime, drogata e poi abusata sessualmente quando era ancora in uno stato di incoscienza. Jessica Valentina F, la 19enne uccisa a Milano lo scorso febbraio con 40 coltellate sono solo alcune delle centinaia di vittime assurte alle cronache quest’anno. E i numeri della violenza continuano a crescere inesorabilmente. Il ricatto sessuale per assunzione (+30 per cento), per avanzamento di carriera (+25 per cento), per il mantenimento del posto di lavoro (+40 per cento), la richiesta di disponibilità sessuale (+30 per cento), ma soprattutto il mobbing (+60 per cento) si stanno trasformando, per la loro rapida crescita, in fenomeni sempre più preoccupanti.
What-u ha raccolto alcune testimonianze di donne che sono state vittime di violenza e ha chiesto loro di raccontare le loro esperienze in prima persona per aiutare chi si trovasse ora nella loro stessa situazione a trovare più rapidamente una via di uscita. Perché il male può non essere per sempre.
Francesca B., architetto, 36 anni: «Dopo la separazione dal mio ex marito avevo provato a frequentare qualche amico con maggiore assiduità, ma nessuno è mai riuscito a farmi oltrepassare il confine del semplice interesse amicale. Poi è arrivato Lorenzo, non bello, non particolarmente affascinante, però era estremamente gentile. Aveva bei modi e la sua presenza mi trasmetteva serenità. Anche Lorenzo era sposato, con una figlia, un’ex moglie, ma soprattutto un ex fidanzata con la quale la relazione era finita non nei migliori dei modi a seguito del tradimento di lei.
Forse è stata proprio questo tragico finale a renderlo più insicuro e sospettoso. Quando ho iniziato a frequentarlo, tutto mi è sembrato idilliaco, la relazione, il sesso, avevamo molti interessi in comune che ci facevano stare bene assieme. Poi, dopo qualche mese, qualcosa è cambiato. Lorenzo ha cominciato a diventare sempre più sospettoso, era geloso dei miei amici di sempre, se qualcuno mi veniva a trovare all’improvviso anche per bere un caffè assieme e glielo raccontavo dopo lui mi faceva una scenata tremenda. All’inizio pensavo che reagisse così perché ci teneva davvero tanto a me. Poi ho cominciato a stare male. Ad avere paura di dirgli le cose. Se un mio amico dopo il calcetto passava a salutarmi evitavo di dirglielo per evitare di litigare. Se un mio amico o anche un’amica mi invitava a prendere un caffè all’improvviso pure. Se qualcuno all’uscita dal lavoro mi dava un passaggio verso casa pure. Insomma per me quella che sembrava una relazione nata sotto i migliori auspici era diventata una prigione. Lorenzo era geloso di tutto e di tutti. Ho capito solo ben dopo un anno che quello che avevo scambiato per un eccesso di amore nei miei confronti invece era un eccesso di insicurezza, la sua, che probabilmente gli causava così tanta frustrazione da farlo reagire così. E sempre peggio, con urla per strada, in casa e battute sarcastiche su di me davanti ai miei figli, uno schiaffone in casa al bisogno. Il mio sbaglio è stato giustificare. Per fortuna poi ho capito in tempo. E ho detto basta».
M.S., giornalista, 45 anni: «Tutto è accaduto nella redazione di un noto giornale. Io avevo un contratto da stagista, arrivavo da una città di provincia. Avevo trovato una casa in condivisione. Mi sembrava di vivere il più bel sogno della mia vita. In media lavoravo circa 12 ore al giorno, ma nulla mi pesava. Una sera mentre stavo terminando di scrivere un articolo entrò nella mia stanza il vice-direttore. Dopo avere posato un impaginato sulla mia scrivania, approfittando del fatto che in quel momento ero distratta perché impegnata a leggere il lavoro che mi aveva appena consegnato, cominciò a masturbarsi. I primi 3 secondi rimasi pietrificata, poi urlai, presi fra le mani una sedia e gli intimai di uscire. Il giorno dopo venni collocata immediatamente in un’altra redazione. Provai molta vergogna per l’accaduto. Mi sentivo in colpa per non avere capito, per non essere riuscita a prevenire e poi ad evitare quella violenza in tempo utile. Ero scioccata, molto spaventata e decisi di non raccontare nulla a nessuno. Temevo di essere fraintesa, lui era molto noto nel settore avrebbe di sicuro potuto fare passare un’altra verità. Tutt’oggi la ricordo come una violenza indimenticabile»..
Simona F., Digital Marketing Specialist, 26 anni: «Ho conosciuto Fabio a un torneo di beach volley. La nostra intesa fu immediata. Tra noi la differenza di età era notevole. Io avevo 22 anni e lui 36. Tra noi sembrava funzionare tutto molto bene. Ma così non era. Fabio non perdeva occasione per farmi osservazione su e per qualsiasi cosa. Mi sentivo molto fragile, e sempre più fragile accanto a lui. A un certo punto non so quando, per la precisione, ho cominciato ad annullarmi. Mettevo i suoi bisogni per primi, i suoi interessi per primi, le sue decisioni e scelte per prime. Mi comportavo come chi si sente una nullità. E probabilmente così era oramai accaduto. In pratica tutto quello che facevo lo facevo per conquistare la sua fiducia, insomma era come se volessi convincerlo così facendo che mi meritavo di essere la sua donna la sua compagna di vita, perché io sarei stata sempre la più vicina alle sue aspettative. E il paradosso era che non mi pesava annullarmi per Fabio perché pensavo che quella fosse la strada giusta per meritare di condividere la mia vita con un uomo come lui. Insomma in pratica avevo l’autostima a zero. Ad oggi dico per fortuna mi ha tradito. Perché da quel momento in poi la figura dell’uomo perfetto ha cominciato a vacillare perché ho capito i suoi limiti e piano piano ho preso coscienza delle mie potenzialità».
Irene C. ex segretaria, in cerca di lavoro, 22 anni: «Il mio lavoro come segretaria è iniziato dopo 2 colloqui il primo con una persona addetta a una prima scrematura e il secondo con Michele quello che poi è diventato il mio diretto responsabile. Lui 60 anni circa, elegante, modi affabili, risoluto nelle decisioni, capace di creare team building sembrava il capo perfetto. Una sera che tutti abbiamo fatto tutti molto tardi per terminare il lavoro che nel pomeriggio nostro malgrado avevamo dovuto bloccare a causa di un guasto alla rete internet, Michele mi ha chiesto se volevo un passaggio verso casa. Doveva passare proprio dalla mia zona per andare a cena da un amico. Mi sembrava solo un gesto gentile visto che fino a quel momento non avrei mai potuto immaginare che una persona così affabile avrebbe potuto trasformarsi in un mostro, volgare e violento. Tutto è accaduto in auto mentre Michele mi stava accompagnando verso casa. Cominciò con qualche complimento, poi la sua mano scivolò sulle mie gambe. Mi disse che mi desiderava arricchendo le sue avances con dettagli sempre più volgari riguardo a quello che secondo lui poteva essere “il dopo”. Ad un tratto sentii il battito del mio cuore andare a cento all’ora, non sapevo cosa dire, cosa fare, di fianco a me non un uomo qualunque ma il mio capo, i pensieri che si rincorrevano confusi poi ad un tratto mi venne da piangere, ma lui sembrava non desistere. Anzi questo stato di mia debolezza sembrava eccitarlo ancora di più. Mi è andata bene perché dopo il pianto ho avuto la forza di intimargli di fermare l’auto e farmi scendere. Il giorno dopo è stato terribile ritornare in ufficio, mi vergognavo a incrociare il suo sguardo. Lui continuava a sorridermi, io mi sentivo un’idiota, ogni giorno che passava mi sentivo sempre più vulnerabile. Per un mese ho sperato di potere dimenticare e cancellare quello spiacevole episodio, ma non ce l’ho fatta. Così mi sono licenziata».
Paola S. architetto, 59 anni: «La mia vita è cambiata quando i miei genitori si sono separati. Io avevo solo 12 anni. Mio padre era un uomo molto intelligente che viveva l’intimità senza particolari tabù. Quindi vederlo uscire in déshabillé dalla doccia per me non era un problema. Si rideva si scherzava senza alcun tipo di tabù. Dopo la separazione mia madre ha conosciuto un altro uomo totalmente diverso da mio papà, che poi è diventato il suo compagno. Da quando quell’uomo ha messo piede in casa nostra la mia vita è cambiata. Per lui era scandaloso che io giocassi con i maschi, quindi mi ha fatto tagliare i ponti con tutti i miei amici, anche il bambino che abitava di fronte a noi con il quale io avevo sempre giocato fin da piccola e consideravo come un fratello. Mi proibì di frequentare amiche che considerava poco raccomandabili soltanto perché andavano in discoteca e in pratica facevano tutte quelle cose che nell’adolescenza tutti i ragazzi fanno. Ma ciò che segnò per sempre la mia vita fu quando scoprii che mi spiava quando andavo in bagno. Lo sentivo, lo sapevo. Lo dissi a mia madre ma lei mi rispose che ero una pazza. A 18 anni decidi di andarmene e di tagliare i ponti con quella casa, quell’ambiente e anche con mia madre e il suo compagno. Mi capitò di incontrarlo di nuovo in seguito a un brutto incidente. Lo andai a trovare all’ospedale, nessuno riusciva a capire quando parlava quello che diceva, io sì. Ricordo che prima di andarsene per sempre mi lanciò uno sguardo che non dimenticherò per tutta la vita. Mortificato, di scuse, per me riferito a quello che era accaduto in passato fra noi due. Non sono riuscita a perdonare, perché quella repressione, quella violenza psicologica mi ha segnato per tutta la vita e ha condizionato i miei rapporti con l’altro sesso. A partire dal primo ragazzo, che ho avuto dopo i 18 anni, al contrario delle mie amiche che hanno avuto il primo fidanzatino a 16 anni, come accade alla maggior parte delle adolescenti. E poi nelle successive relazioni che sono seguite non sono mai riuscita a dare la fiducia al 100% più a nessuno con risvolti molto negativi sotto il profilo dei rapporti intimi».
Francesca G., 40 anni, Credit Research Analyst: «Il mio calvario è iniziato dopo la vendita come ramo di azienda della mia società, che faceva parte di una grande holding. Io ed altri colleghi avevamo firmato un accordo di intesa con la direzione del personale che prevedeva la rinuncia e quella di altri colleghi, ad andare a lavorare con la nuova società. Una rinuncia imposta e indotta dai nostri vertici ai quali premeva soltanto portare a termine la vendita della nostra società come ramo di azienda.
Una volta ottenuta la nostra firma, con l’accordo firmato, per me è iniziato un calvario senza fine. Il capo del personale ha cominciato a vessarmi all’inizio in maniera quasi impercettibile poi man mano che il tempo passava sempre più pesantemente. Urla, pugni sul tavolo, per dirmi che non sapeva dove inserirmi perché nessuno mi voleva, arrivando persino al punto di dirmi che se non me ne andavo da sola, ossia con dimissioni volontarie, il mio licenziamento sarebbe stato ineludibile. Man mano che i giorni e i mesi passavano mi sono ammalata. Ho cominciato a prendere degli psicofarmaci di cui prima non ne immaginavo nemmeno l’esistenza. Poi un percorso psicologico molto difficile perché non riuscivo a fidarmi più di nessuno e quindi non riuscivo ad instaurare un rapporto di fiducia nemmeno con gli psicologi. Oggi, nonostante io debba ancora assumere degli psicofarmaci, ho cambiato lavoro ed ho iniziato il mio percorso di risalita. Sono consapevole di essere ancora al primo gradino, e che la strada per tornare forse un giorno a essere quella di un tempo, è ancora lunga, ma perlomeno ora ho un po’ di forza per provarci».
Tante le tipologie di violenze
Misurare la violenza di genere contro le donne è complesso, perché il fenomeno stesso è complesso. Diverse sono le tipologie di violenza, molteplici i soggetti coinvolti (vittima, autore, figli, parenti, istituzioni, servizi, associazioni, ecc.) e, quindi, plurime le fonti da considerare. Inoltre, la violenza contro le donne è in gran parte sommersa ed è quindi prioritario misurare proprio questa parte. Anche in un’ottica di confronto con il passato, la misura della violenza complessiva, sommersa e denunciata, richiede una rilevazione statistica su un campione rappresentativo di donne che rilevi quante abbiano subito violenza, nelle diverse forme, e quante abbiano denunciato. Solo questa tecnica, infatti, permette di misurare la violenza nel suo complesso, declinandola in tutte le sfaccettature, e di capire l’evoluzione del fenomeno nel tempo.
E poi tutt’oggi le fonti esistenti sono plurime, frammentarie, carenti e persino non definite univocamente. Poi c’è una mancanza in molti archivi del dato fondamentale riguardante la relazione autore-vittima, sia di nelle rilevazioni in ambito sanitario che in quelle in ambito giudiziario. La relazione autore-vittima dovrebbe essere inserita non solo per i reati di violenza, stalking e maltrattamenti in famiglia, ma anche per la lista di reati che spesso si accompagnano, nascondono o anticipano la violenza contro le donne.
Quindi fare emergere i dati reali in un’ indagine sulla violenza contro le donne non è semplice, perché è necessario sfruttare i dati provenienti da tante fonti. Quelli del Ministero dell’Interno relativi alle denunce, quelli del Ministero della Giustizia relativi ai reati per i quali è stata avviata l’azione penale, ai condannati, ai detenuti, quelli del Ministero della Salute che si riferiscono al ricorso al pronto soccorso, e poi il ricorso ai Centri Antiviolenza e al numero verde 1522 da chiamare per richieste di aiuto.
Leggere i dati sulla violenza
Durante il secondo semestre del 2017, anche a seguito dei casi di violenza sulle donne verificatisi a Rimini e a Firenze, nel nostro Paese si è avuta l’impressione che gli stupri fossero in aumento. Ma le denunce non possano essere l’unico riferimento dal momento che solo il 12 per cento delle donne denuncia uno stupro. D’altra parte, una diminuzione delle denunce non indica necessariamente una diminuzione degli stupri, ma potrebbe indicare una sfiducia nei confronti delle forze dell’ordine e della giustizia. In sintesi, le denunce, pur potendo fornire importanti informazioni, rappresentano le denunce e non l’intero fenomeno delle violenze. Ciò si verifica non soltanto per gli stupri, per i quali la quota di denunce è molto piccola, e il cui numero è rimasto stabile, tanto quanto quello dei reati di femminicidio nel corso degli ultimi anni, ma anche per altri reati.
ISTAT: l’indagine sulla sicurezza delle donne
ISTAT sulle questioni che riguardano la sicurezza delle donne ha realizzato le prime due indagini, rispettivamente nel 2006 e nel 2014. E i dati dell’ultima indagine sulla sicurezza delle donne (2014) sono stati acquisiti dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere nel corso dell’audizione del presidente dell’ISTAT del 27 settembre 2017 e analizzati durante l’audizione dalla professoressa Linda Laura Sabbadini, Dirigente Generale – Dipartimento per le Statistiche Sociali e Ambientali di ISTAT, che è stata membro della Commissione dell’ONU e che ha definito le linee guida per la progettazione di indagini sulla violenza di genere contro le donne a livello mondiale, è riuscita a fornire molte informazioni utili per le politiche ed è riconosciuta a livello internazionale per l’accurata metodologia. Tutt’oggi questa ricerca rappresenta un riferimento ed è menzionata nelle linee guida dell’ONU, insieme a quella canadese del 1993. Ma per capirne l’importanza, bisogna fare un passo indietro, e tornare a quando sono stati affrontati i problemi di misurazione per la prima volta negli anni Novanta. «Me ne occupai fin dall’inizio, all’indomani della Conferenza mondiale delle donne di Pechino del 1995», racconta la Sabbadini. «Fino agli inizi degli anni ’90, la violenza contro le donne veniva rilevata, dagli istituti di statistica, nell’ambito della più generale indagine di vittimizzazione. In tal modo, venivano contestualmente rilevate le informazioni su tutti i tipi di reato, dai furti, ai tentati furti, alle rapine, inclusa la violenza contro le donne per stimarne sia la parte emersa che sommersa».
In Italia, l’ISTAT ha affrontato la raccolta di dati sulla violenza di genere inserendo in un modulo dell’indagine multiscopo sulla sicurezza dei cittadini una serie di quesiti su molestie e violenze sessuali, nonché su ricatti sessuali sul lavoro. La prima edizione risale al 1997 e ne sono seguite altre tre (2002, 2008-2009, 2015-2016). Queste ulteriori indagini hanno aiutato a fare luce sui reati non denunciati e su alcuni aspetti importanti, quali le caratteristiche delle vittime o la dinamica del fatto. Perché hanno rappresentato strumenti utili per studiare e comprendere la parte sommersa della criminalità, con particolare riferimento alle molestie fisiche sessuali, all’esibizionismo, alle telefonate oscene o ai ricatti sessuali sul lavoro. Ma per rilevare le forme di violenza che la donna subisce da persone a lei molto vicine, in particolare dal partner o dall’ex-partner, in altre parole le forme di violenza domestica (secondo la definizione della Convenzione di Istanbul) occorreva fare di più. Nel 2001, il Dipartimento per le pari opportunità, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’ISTAT, stipularono una convenzione per la realizzazione di un’indagine ad hoc con l’obiettivo prioritario di rilevare il fenomeno della violenza contro le donne in tutte le sue diverse forme – dalla violenza fisica, sessuale, psicologica a quella economica -, in termini di prevalenza e incidenza, gravità e intensità, con informazioni sulle caratteristiche degli attori coinvolti (partner e non partner) e le conseguenze per le donne. Ci sono voluti cinque anni per mettere a punto uno strumento metodologicamente adeguato. Cinque anni necessari a porre le basi per la costruzione di una metodologia, ampiamente testata, anche grazie a focus group con operatrici di centri antiviolenza, e anche con donne maltrattate, per quanto riguardava i quesiti, la sequenza delle domande, le tecniche di indagine.
Anche il lessico ha avuto bisogno di ridefinizione: la parola violenza per molte donne non viene accettata quando commessa da parte del partner, una persona amata. Per questo è stato necessario esplicitare gli atti di violenza in maniera oggettiva affinché le donne la menzionassero. Inoltre è stato necessario prevedere la possibilità che il partner potesse aver commesso quegli atti di violenza, perché emergesse. Era necessaria una sorta di legittimazione dell’atto di violenza del partner perché le donne ne parlassero. «Nella mia esperienza lavorativa», ha spiegato la Sabbadini, «l’indagine è stata una delle più complesse, che abbia seguito in ambito ISTAT, ma anche una delle più appassionanti. E dimostra che se si utilizza la metodologia giusta, le donne riescono a parlare di violenze, anche di quelle di cui non avevano parlato prima con nessuno, e ciò rappresenta una delle soddisfazioni più grandi per una statistica come me, che ha l’obiettivo di misurare i fenomeni più complessi e più sensibili».
La prima indagine ha rappresentato una sorta di shock per il Paese. Nessuno avrebbe mai pensato che milioni di donne avessero subito violenza fisica o sessuale. Con il passare del tempo, l’indagine si è perfezionata e in quella del 2014 si è dato ampio spazio allo stalking e al suo monitoraggio, alla situazione delle donne straniere, delle donne disabili e ad informazioni più approfondite sugli stupri. Con riferimento alla diffusione del fenomeno nelle sue principali caratteristiche di violenza fisica, sessuale. psicologica, economica, stalking; all’individuazione del periodo in cui si è verificata la violenza, nel corso della vita o nei 12 mesi o altro intervallo temporale relativo all’ultimo fatto avvenuto; alle caratteristiche delle vittime; alla reazione delle donne all’episodio di violenza e i costi sociali della violenza in termini di conseguenze fisiche, psicologiche ed economiche; alle caratteristiche degli autori delle violenze, con particolare attenzione agli autori delle violenze in famiglia; alla distinzione tra parte sommersa e denunciata e ragioni della denuncia e della non denuncia; la dinamica della violenza e la relazione nella coppia nei casi di violenza in famiglia; i fattori di rischio della violenza (abuso di alcool, violenza assistita da piccolo dell’autore, violenza assistita da piccola da parte della vittima); alla violenza assistita da parte dei figli che crea i presupposti del suo perpetrarsi nel futuro, essendo più probabile per un maschio che ha assistito alla violenza della propria madre diventare autore di violenza a sua volta e per una femmina di diventare vittima; alla violenza subita prima dei 16 anni.
Nel 2006 l’indagine è stata condotta telefonicamente con l’ausilio del computer (CATI) su un campione di 25.000 donne. Anche nel 2014 la tecnica è stata telefonica, tranne che per le straniere (non rilevate adeguatamente nella prima esperienza) che invece sono state intervistate faccia a faccia per la difficoltà di usare il telefono per le donne che non capivano bene l’italiano. L’indagine del 2014 rispondeva ai requisiti della Convenzione di Istanbul, tranne per un aspetto, la sua periodicità. La Convenzione stabilisce che l’indagine debba essere condotta ad intervalli regolari, per misurare i cambiamenti nel tempo e consentire il monitoraggio delle azioni di governo. Perciò ora è stata di nuovo finanziata dal Governo attraverso il Piano antiviolenza e sarà condotta dall’ISTAT nel 2019 a distanza di cinque anni dalla precedente.
Livello della violenza contro le donne
Nel corso della propria vita poco meno di 7 milioni di donne tra i 16 e i 70 anni (6 milioni 788 mila), quasi una su tre (31,5 per cento), riferiscono di aver subìto una qualche forma di violenza fisica (20,2 per cento) o sessuale (21 per cento), dalle forme meno gravi come lo strattonamento o la molestia a quelle più gravi come il tentativo di strangolamento o lo stupro (5,4 per cento). Gli autori delle violenze più gravi (violenza fisica o sessuale) sono prevalentemente i partner attuali o gli ex partner (62,7 per cento). Gli sconosciuti sono invece nella maggior parte dei casi autori di molestie sessuali (76,8per cento). Due milioni e 800 mila donne sono state vittime delle loro violenze. La violenza di genere contro le donne è un fenomeno strutturale, fortemente radicato, che si combina con la diffusione di stereotipi di genere. E’ un fenomeno in gran parte sommerso. Difatti risulta che solo il 12 per cento delle violenze viene denunciato.
Le tendenze in atto nella violenza di genere
Sulla base delle rilevazioni ISTAT del 2006 e del 2014, nonostante la percezione generale di crescita della violenza contro le donne, che si è diffusa nel Paese negli ultimi anni, risulta che la violenza nel periodo considerato sta diminuendo. Secondo i dati forniti dalla dottoressa Sabbadini, negli ultimi cinque anni è diminuita la violenza da partner, da ex , e da altra persona. L’incidenza passa dal 17,1 per cento all’11,9 per cento nel caso di ex partner, dal 5,3 per cento al 2,4 per cento da partner attuale e dal 26,5 per cento al 22 per cento da non partner.
In sintesi sono in calo le forme meno gravi della violenza, ma accanto a questo andamento positivo ne emergono altri due negativi: la diminuzione generale non arriva ad intaccare la violenza nelle sue forme più gravi (stupri, tentati stupri e femminicidi) e, inoltre, aumenta la gravità delle violenze subite. Infatti risulta che le violenze che hanno causato ferite aumentano addirittura dal 26,3 per cento al 40,2 per cento (se da partner). Il numero di donne che hanno temuto per la propria vita raddoppia, passando dal 18,8 per cento del 2006 al 34,5 per cento del 2014. Risulta inoltre che anche le violenze da parte dei non partner sono più gravi. In sostanza, sebbene la violenza nel complesso diminuisca, non solo non si intaccano le forme più gravi, ma l’intensità della violenza cresce. Al fine di comprendere tale andamento è utile analizzare ulteriori dati. Va segnalata una maggiore consapevolezza da parte delle donne della violenza subìta. Le donne ne parlano più spesso con qualcuno (la percentuale di chi non ne parla è diminuita dal 32 per cento del 2006 al 22,9 per cento del 2014), si rivolgono di più ai centri antiviolenza, agli sportelli o ai servizi per la violenza contro le donne (dal 2,4 per cento al 4,9 per cento). Inoltre, più vittime considerano la violenza un reato (dal 14,3 per cento al 29,6 per cento) e meno donne come qualcosa che è solo accaduto (in calo dal 35,2 per cento al 20 per cento). Inoltre, nonostante continuino a denunciare poco, ciò comincia ad avvenire più spesso (11,8 per cento contro 6,7 per cento). «Emerge una maggiore consapevolezza femminile nei confronti della violenza. Il fatto che diminuisca la violenza meno grave, e soprattutto tra le giovani, può voler dire che le donne riescono a interrompere la relazione prima che si avvii l’escalation», ha spiegato Sabbadini. Però, maggiore consapevolezza e ricerca di autonomia e libertà femminile, possono aver scatenato una reazione maschile più violenta da parte di quegli uomini con un comportamento ispirato a desiderio di dominio e di possesso dell’uomo sulla donna. Alcuni dati diffusi da We World sulla base di una ricerca IPSOS sono un pò preoccupanti. L’8,7 per cento dei giovani maschi ritiene accettabile rinchiudere la donna in casa o controllarla nelle sue uscite e telefonate, il 9,2 per cento ritiene che in alcune circostanze sia accettabile qualsiasi imposizione di coinvolgimento in rapporti sessuali senza consenso, dentro e fuori la coppia.
Violenza sulle bambine
Il 10,6 per cento delle donne dichiara di aver subìto una qualche forma di violenza sessuale prima dei 16 anni. In particolare, nel 10 per cento dei casi la donna è stata toccata sessualmente contro la propria volontà, nel 3 per cento è stata costretta a toccare le parti intime dell’abusante e nello 0,8 per cento ha subìto forme più gravi come lo stupro. La percentuale non cambia nelle diverse generazioni. Gli autori sono inattesi anche per le bambine, in primis persone conosciute (quasi l’80 per cento), soprattutto parenti e familiari (19,5 per cento), amici di famiglia (11,4 per cento), compagni di scuola (8 per cento), amici (7,4 per cento), seguono i conoscenti (23,8 per cento). Gli sconosciuti sono solo il 20,2 per cento.
Violenza assistita da minori
I figli spesso assistono alla violenza del padre nei confronti della madre, anzi è in crescita questo fenomeno e riguarda più del 60 per cento dei figli di donne che hanno subito violenza da partner. Molte donne non sanno che i figli maschi che assistono alla violenza hanno una probabilità maggiore di essere autori di violenza nei confronti delle proprie compagne e le figlie di esserne vittime. La trasmissione intergenerazionale del fenomeno è ben testimoniata dalla relazione esplicita tra vittimizzazione vissuta e/o assistita da piccoli e comportamento violento: il partner è più spesso violento con le proprie compagne se ha subìto violenza fisica dai genitori, in particolare dalla madre (la violenza da partner attuale aumenta dal 5,2 per cento al 35,9 per cento) o se ha assistito alla violenza del padre sulla propria madre (dal 5,2 per cento al 22 per cento). Più in generale, confrontando le stime di ISTAT 2014 con quelle del 2006, si colgono alcuni segnali incoraggianti, che indicano una complessiva riduzione di tutte le forme di violenza subite e una maggiore propensione ad intraprendere percorsi di uscita dalla spirale della violenza. Tuttavia, permangono segnali fortemente negativi. Restano stabili le quote di donne vittime di violenza estrema (stupri e tentati stupri) e delle forme più efferate di violenza (uso o minaccia di usare una pistola o un coltello) (rispettivamente all’1,2 per cento e 0,4 per cento) e aumenta la gravità delle violenze sessuali e fisiche. Le violenze che hanno causato ferite aumentano addirittura dal 26,3 per cento al 40,2 per cento (se da partner). I dati mostrano che più di una donna su tre vittima della violenza del partner ha riportato ferite, lividi, contusioni o altre lesioni (37,6 per cento). Circa il 20 per cento è stata ricoverata in ospedale a seguito delle ferite riportate, e più di un quinto di coloro che sono state ricoverate ha avuto danni permanenti. In generale, la quota di straniere che dichiara di aver subito violenza fisica o sessuale è pressoché identica a quella delle donne italiane (31,3 per cento contro 31,5 per cento).
Le forme più gravi di violenza sessuale sono invece più spesso riportate dalle donne straniere (7,7 per cento di stupri/tentati stupri contro il 5,1 per cento delle italiane), e più frequentemente sono commesse da partner attuali o precedenti (68,3 per cento degli stupri e 42,6 per cento dei tentati stupri). Nella maggior parte dei casi, la violenza subita da parte del partner, attuale o precedente, è iniziata nel Paese di origine (68,5 per cento), mentre per quasi il 20 per cento (19,4 per cento) è relativa a una relazione iniziata in Italia. Le donne straniere mostrano più elevati livelli di denuncia (il 17,1 per cento contro l’11,4 per cento delle italiane) e di richiesta di aiuto presso i centri antiviolenza e i servizi (6,4 per cento contro 3,2 per cento). Da considerare è che le donne straniere hanno una rete di sostegno meno forte rispetto alle donne italiane e ciò necessariamente le spinge a cercare aiuto nei servizi.
In generale il numero di donne che hanno temuto per la propria vita è raddoppiato, passando dal 18,8 per cento del 2006 al 34,5 per cento del 2014. Anche le violenze da parte dei non partner sono più gravi.
Ricatti sessuali sul lavoro
Un altro aspetto della violenza di genere è costituito dalle molestie e dai ricatti sessuali in ambito lavorativo. Sulla base di una rilevazione svolta dall’ISTAT nel 2016, si stima che siano un milione 403 mila le donne che hanno subito, nel corso della loro vita lavorativa, molestie o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Esse rappresentano circa il 9 per cento (l’8,9 per cento) delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione. In particolare, i ricatti sessuali per ottenere un lavoro o per mantenerlo o per ottenere progressioni nella carriera hanno interessato, nel corso della loro vita, 1 milione e 100 mila di donne (1.173 mila pari al 7,5 per cento delle donne con le caratteristiche illustrate sopra).
Le donne vivono questo tipo di violenza ancora più in solitudine. Solo il 20 per cento ne parla con qualcuno, di solito colleghi di ufficio. Solo lo 0,7 per cento denuncia.
L’analisi condotta sulle indagini passate evidenziava che i ricatti sessuali sul lavoro sono più diffusi tra le disoccupate che le occupate, tra le indipendenti che le dipendenti in particolare le libere professioniste, tra le impiegate/dirigenti che le operaie. È il momento della ricerca del lavoro il più rischioso perché le donne hanno bisogno di lavorare e quindi l’asimmetria tra loro che lo cercano e l’uomo che lo propone gioca a favore dell’uomo che vuole approfittarsene. «La più alta frequenza di ricatti sessuali su lavoratrici indipendenti e libere professioniste è facilmente spiegabile», conclude la Sabbadini. «L’ingresso diffuso di donne in settori tradizionalmente maschili è fenomeno recente e dirompente nel mondo delle imprese. Quando le donne cercano di concludere un affare, effettuare una vendita, acquisire un cliente si creano i presupposti per i ricatti sessuali sulle donne». I ricatti sessuali si verificano nei momenti in cui le donne si trovano più in difficoltà e nascono da una situazione asimmetrica. I ricatti sessuali sul lavoro sono leggermente in diminuzione rispetto agli anni precedenti ma solo se consideriamo il confronto con il 1997, primo anno in cui sono stati rilevati dall’ISTAT. Negli anni successivi è sostanzialmente stabile. La diminuzione avviene sia per i ricatti all’assunzione che per mantenere il posto o progredire in carriera. Negli ultimi anni le donne continuano a non denunciare. Si è accentuata la tendenza ad andarsene dal posto di lavoro o a non accettarlo. Sono il 22,4 per cento quelle che lo hanno fatto negli ultimi tre anni contro lo 0,5 per cento relativo al 2008-2009. Aumenta anche la sfiducia nei confronti delle forze dell’ordine (dall’8,7 per cento al 12,8 per cento) e anche la paura della polizia ( dal 4,5 per cento al 7 per cento) come motivo della non denuncia, mentre cresce molto il motivo del bene della famiglia e dei bambini (dallo 0,1 per cento al 9,7 per cento).
Molestie sessuali: fisiche, esibizionismo, pedinamento, telefonate oscene
Nell’ambito dell’indagine sulla sicurezza dei cittadini sono state rilevate nel 2015-2016 da parte dell’ISTAT le molestie sessuali secondo le varie tipologie. Negli ultimi tre anni precedenti l’intervista quasi 500 mila donne hanno subito molestie sessuali fisiche, 326 mila esibizionismo, 436 mila telefonate oscene, 1 milione 100 mila pedinamenti, 773 mila molestie sessuali via social network. Come già evidenziato nella parte relativa alle tendenze della violenza contro le donne, anche i dati sulle diverse forme di molestia sessuale, rilevate più dettagliatamente nella indagine sulla sicurezza dei cittadini, sono in diminuzione. Le molestie fisiche avvenute negli ultimi tre anni passano dal 5,7 per cento del 1997 al 2,7 per cento del 2015-2016. Dimezza il numero di donne che ha assistito ad esibizionismo passando dal 4,2 per cento al 1,8 per cento. Diminuiscono anche i pedinamenti dal 7,7 per cento al 6 per cento. Un caso particolare riguarda le telefonate oscene e molto interessante dal punto di vista delle politiche. Dal 1997, anno della prima rilevazione del fenomeno, per le donne di età compresa tra i 14 e i 59 anni si osserva una netta flessione: il tasso di vittimizzazione per le telefonate oscene è passato dal 18,5 per cento della prima rilevazione, quindi di 20 anni fa, al 9,4 per cento del 2002, al 6,1 per cento, al 2,3 per cento del 2015-2016.
Il crollo delle telefonate oscene va messo in relazione con i cambiamenti avvenuti nel panorama della telefonia. Infatti, dal 1997 al 2008 sono diminuite le famiglie con il telefono fisso, aumentando contestualmente la diffusione del possesso del solo cellulare. Conseguentemente sono diminuite le donne raggiungibili tramite telefono fisso e quindi quelle esposte al rischio di telefonate oscene. A ciò si è aggiunta la possibilità di rintracciare il chiamante attraverso la visualizzazione del numero telefonico; ciò ha avuto un effetto deterrente nei confronti di questo tipo di molestia sessuale. Chi telefona è visibile.
La violenza psicologica ed economica all’interno delle coppie
Non esiste solo la violenza fisica e sessuale. E’ molto diffusa all’interno delle coppie la violenza psicologica, che si esprime in dinamiche quotidiane con evidente asimmetria di potere. Le situazioni che vengono a crearsi comportano limitazione, controllo, svalorizzazione, intimidazione della donna e anche violenza economica. Nell’ambito dell’indagine sulla sicurezza delle donne dell’ISTAT questo tipo di violenza è stata misurata. E’ possibile confrontare la rilevazione del 2006 con quella del 2014. Nel 2014 sono circa 4 milioni 400 mila le donne che subiscono o hanno subito violenza psicologica dal partner attuale, il 26,4 per cento della popolazione femminile in coppia, un numero enorme. Il dato scende al 22,4 per cento se si considerano le donne che hanno subìto solo violenza psicologica, cioè una violenza che non si accompagna a quella fisica o sessuale. Sono invece 1 milione e mezzo le donne che hanno subito questo tipo di violenza sempre o spesso dal partner attuale. La violenza psicologica è in forte calo rispetto al 2006. Allora era attestata al 42,3 per cento La diminuzione è più evidente per la violenza meno grave cioè quella che non si accompagna a violenza fisica e sessuale (dal 35,9 per cento al 22,4 per cento) e quindi relativa probabilmente a quando ancora l’escalation della violenza non è iniziata. Tutte le forme di violenza psicologica sono in diminuzione, tranne l’intimidazione, che si assesta all’1,2 per cento per un totale di 200 mila donne, mentre i figli sono stati oggetto di minaccia e ritorsione per 50 mila donne. Per le donne separate l’utilizzo di minacce sui figli è più frequente (3,4 per cento) e così le violenze psicologiche più gravi raggiungono il 13,5 per cento per loro. La diminuzione di violenza psicologica è più accentuata per le giovani e le fidanzate specie nella dimensione del controllo. Se analizziamo i livelli di violenza psicologica subìta da ex partner questi sono molto più alti di quelli da partner attuale (46,1). In questo caso è più elevata la percentuale di situazioni in cui la violenza psicologica si affianca alla violenza fisica e sessuale. Il che può anche voler dire che è aumentata la capacità delle donne di mettere fine alle relazioni violente in cui erano coinvolte con gli ex partner. La violenza psicologica è più diffusa tra le donne più giovani (35 per cento per le 16- 24enni rispetto ad una media del 26,5 per cento), tra le donne che vivono al Sud o nelle Isole. Le straniere sono ancora più colpite delle italiane arrivando al 34,5 per cento, in particolare le marocchine (50,9 per cento), seguite da moldave, cinesi, rumene e ucraine. Le donne cinesi, in particolare, presentano tassi elevati proprio di violenza psicologica (33,3 per cento) contrariamente ai bassi tassi di violenza fisica o sessuale dal partner. L’11,5 per cento della violenza psicologica è opera di cittadini non italiani. Per quanto riguarda nello specifico la violenza economica emerge che nell’1,2 per cento dei casi , 200 mila donne, il compagno impedisce alla donna di gestire il suo denaro o quello della famiglia, nell’1 per cento di conoscere il reddito familiare e nello 0,8 per cento di usare il bancomat.
La violenza sessuale denunciata e le condanne
Se si fa riferimento ai reati sessuali denunciati, negli ultimi 6 anni, risulta una graduale riduzione (con una lieve risalita nel 2012) del numero dei delitti di violenza sessuale denunciati, passati dai 4.617 episodi del 2011 ai 4.046 del 2016 (con un decremento complessivo di circa il 12 per cento. Per quanto riguarda il 2017, nei primi nove mesi, si è registrato un lievissimo calo (-0,2 per cento) del totale del numero di reati di violenza sessuale denunciata, rispetto al medesimo periodo del 2016, che sono passati infatti da 3.095 a 3.035.
Lo stalking
Fra le misure di contrasto alla violenza sulle donne un ruolo di indubbio rilievo riveste il reato di atti persecutori, il cd. stalking, introdotto nel codice penale, all’articolo 612-bis, dal decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (conv. legge n. 38 del 2009) e, successivamente modificato dal decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 (conv. legge n. 119 del 2013), il cd. decreto-legge anti- femminicidio. I dati sullo stalking descrivono una situazione grave tanto quanto quella della violenza fisica o sessuale: 3 milioni e mezzo di donne tra i 16 e i 70 anni l’hanno subito nel corso della vita, il 16,1 per cento. Inoltre, il fenomeno dello stalking spesso si associa anche ad altre forme di violenza. I dati provengono dall’indagine sulla sicurezza delle donne dell’ISTAT e quindi contengono anche la parte sommersa del fenomeno. L’85 per cento degli autori sono uomini. Gli autori più frequenti sono, nell’ordine, gli ex partner (che colpiscono il 10 per cento delle donne), gli sconosciuti maschi (3,5 per cento), i conoscenti maschi (3,5 per cento), gli amici/compagni di scuola (1 per cento), i colleghi/datori di lavoro (1 per cento).
Emerge un dato inquietante, tra le donne che hanno concluso una relazione, ben il 21,5 per cento, cioè una su cinque, ha subito stalking dall’ex-partner ( di questi circa la metà, il 9,9 per cento ha subito forme di stalking più gravi);inoltre nel 70 per cento dei casi gli atti persecutori venivano subiti più volte a settimana, nel 58 per cento dei casi gli episodi si sono protratti per molti mesi e nel 20 per cento addirittura per più di un anno; solo per una piccola quota lo stalking si è protratto per poche settimane. Quanto all’isolamento della vittima, anche in questo caso purtroppo è ampissimo perché il 78 per cento delle vittime non si è rivolto a nessuna istituzione e non ha cercato aiuti presso nessun servizio specializzato. Solo il 15 per cento di donne si sono rivolte alle forze dell’ ordine, il 4,5 per cento a un avvocato, l’ 1,5 per cento a centri antiviolenza o a strutture specializzate. E di quelle che si sono rivolte a istituzioni o servizi specializzati solo il 48 per cento ha poi denunciato o sporto querela, il 9,2 per cento ha fatto un esposto, il 5,3 per cento ha chiesto l’ammonimento e il 3,3 per cento si è costituita parte civile. Il restante 40 per cento non ha fatto nulla. A seguito delle azioni intraprese di denuncia e ammonimento i comportamenti si sono bloccati nel 59,8 per cento dei casi, sono rimasti uguali nel 21,6 e diminuiti nel 16,6 per cento, aumentati nel 2 per cento. E’ interessante notare che negli esiti delle azioni si evidenzia una differenza a seconda di stalking da ex partner e da altri stalker.
Nel caso degli ex appare molto più frequente sia il ritiro della denuncia, sia l’allontanamento dello stalker. Nel primo caso ciò succede spesso per le pressioni familiari che le donne subiscono, per le difficoltà che incontrano nel rendere pubblica la situazione, e nelle difficoltà all’interno delle aule giudiziarie. Nel secondo caso perché lo stalking da ex risulta essere più grave nelle sue forme rispetto a quello di altre persone.
Analizzando i dati da fonte amministrativa e in particolare da fonte SDI, Ministero dell’interno, è evidente una tendenza alla crescita delle denunce che sono passate da 9.027 nel 2011 a 13.177 nel 2016, con un aumento quindi del 45 per cento. L’incidenza di denunce di stalking verso le donne oscilla negli anni tra il 75 e il 77 per cento. Tendenza alla crescita si evidenzia anche nelle condanne. Si passa infatti da 35 sentenze nel 2009 a 1601 nel 2016. Gli autori condannati sono nella stragrande maggioranza dei casi uomini (92,6 per cento nel 2016). La percentuale è più alta di quella tra le denunce.
Per quanto riguarda il 2017, nei primi nove mesi, si è registrato un calo del 15,7 per cento del totale del numero di reati di atti persecutori denunciati, rispetto al medesimo periodo del 2016, che sono passati infatti da 10.067 a 8.480. (Fonte: Dati forniti dal Ministro dell’interno nell’audizione del 8 novembre 2017).
Le donne sono più esposte degli uomini ai fenomeni di stalking. L’incidenza percentuale del numero di vittime di sesso femminile, infatti, oscilla tra il 77 per cento registrato negli anni 2011-2014) al 74 per cento del 2016. Ancora, con il riguardo alla perseguibilità del reato di stalking si rileva un significativo aumento – a partire dalla sua introduzione – delle condanne: 35 sentenze nel 2009, 1.601 nel 2016.
Se le vittime sono in prevalenza donne, gli autori sono invece perlopiù uomini (italiani, in larga parte). L’incidenza dei condannati per delitto con sentenza irrevocabile con almeno un reato di stalking (che si associa più frequentemente ai reati di violenza privata, lesioni personali e ingiurie) è per ogni anno dal 2009 sempre superiore al 90%.
CHE COSA BISOGNA SAPERE
NORMATIVA INTERNAZIONALE
Il Consiglio d’Europa fin dal 1990 ha intrapreso una serie di iniziative per promuovere la protezione delle donne contro la violenza sulla scia del lavoro svolto dalle Nazioni Unite, (come la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne – CEDAW, approvata nel 1979).
Queste iniziative hanno portato all’adozione, nel 2002, da parte del Consiglio d’Europa, della Raccomandazione Rec (2002)05 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulla protezione delle donne dalla violenza e la realizzazione di una campagna a livello europeo Campaign to combat violence against women, including domestic violence negli anni 2006-2008.
L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha anche preso una posizione politica ferma contro ogni forma di violenza contro le donne. Ha adottato negli anni una serie di risoluzioni e raccomandazioni che chiedono norme giuridicamente vincolanti in materia di prevenzione, protezione contro la repressione delle forme più gravi e diffuse di violenza di genere.
La Convenzione di Istanbul (2011) è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante ‘sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica’. L’elemento principale di novità è il riconoscimento della violenza sulle donne come forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione.
La Convenzione prevede anche la protezione dei bambini testimoni di violenza domestica e richiede, tra le altre cose, la penalizzazione delle mutilazioni genitali femminili. Inoltre, il trattato stabilisce una serie di delitti caratterizzati da violenza contro le donne che gli Stati dovrebbero includere nei loro codici penali o in altre forme di legislazione o dovrebbero essere inseriti qualora non già esistenti nei loro ordinamenti giuridici.
I reati previsti dalla Convenzione sono: la violenza psicologica (art. 33); gli atti persecutori – stalking (art.34); la violenza fisica (art.35), la violenza sessuale, compreso lo stupro (art.36); il matrimonio forzato (art. 37); le mutilazioni genitali femminili (art.38), l’aborto forzato e la sterilizzazione forzata (art.39); le molestie sessuali (articolo 40). La convenzione prevede anche un articolo che mira i crimini commessi in nome del cosiddetto “onore” (art. 42).
NORMATIVA ITALIANA
La normativa rientra interamente nel quadro delineato dalla Convenzione di Istanbul (2011), primo strumento internazionale giuridicamente vincolante ‘sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. L’elemento principale di novità è il riconoscimento della violenza sulle donne come forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione.
Il reato di maltrattamenti dopo il decreto-legge anti-femminicidio
La legislazione italiana contempla una specifica fattispecie penale per sanzionare le condotte di violenza domestica: l’articolo 572 c.p., il quale punisce con la pena detentiva chiunque maltratta una persona della famiglia o il convivente o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte. Con riguardo al delitto di maltrattamenti – similmente allo stalking – le statistiche mostrano un progressivo aumento del numero di delitti denunciati, passati dai 9.294 casi nel 2011, ad un picco di oltre 14.000 casi nel 2016. Si registra in particolare un aumento del 17 per cento del numero dei casi denunciati dal 2012 al 2013 (anno dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 93). Per quel che riguarda il 2017, si è registrato un calo del 9,7 per cento del totale dei casi di maltrattamenti in famiglia denunciati nei primi 9 mesi rispetto agli stessi mesi del 2016.
LEGGE SUL FEMMINICIDIO
La cosiddetta legge sul Femminicidio, n.119 del 2013, disposta a seguito della Ratifica della Convenzione di Istanbul (27 giugno 2013), ha previsto l’adozione di un Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, oltre ad una serie di misure in campo penale. Il primo Piano, della durata biennale, è stato adottato il 7 luglio del 2015 ed è stato finanziato con oltre 40 milioni di euro, che sono stati così impiegati:
- 2 milioni di euro utilizzati dal Dipartimento per le Pari Opportunità per elaborare, in collaborazione con l’Istat, una banca dati nazionale sul fenomeno della violenza e la conduzione di indagini sul tema (indagine sulla violenza contro le donne, indagini sugli stereotipi di genere e sulla violenza di genere, rilevazioni sull’utenza dei centri antiviolenza e delle case rifugio);
- 1 milione di euro per realizzare, in collaborazione con il Consiglio Nazionale per le Ricerche (CNR) una mappatura quantitativa e qualitativa dei servizi pubblici e privati relativi alla violenza contro le donne;
- 13 milioni di euro assegnati alle Regioni per finanziare, tra l’altro, la formazione del personale sanitario e socio-sanitario; l’inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza; l’autonomia abitativa per le donne vittime di violenza; l’aggiornamento degli osservatori regionali per adeguarne il funzionamento alla Banca dati nazionale sul fenomeno della violenza;
- 5 milioni di euro, tramite avviso pubblico, per finanziare progetti presentati da istituti scolastici con lo scopo di avvicinare gli studenti ai temi della parità e del rispetto delle differenze, rappresentazione e significato dell’essere donne e uomini;
- 12 milioni di euro, sempre con bando, per il potenziamento dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza e ai loro figli, e per il rafforzamento della rete dei servizi territoriali;
- 10 milioni di euro, tramite avviso pubblico, per sei tipologie di progetti che riguardano, tra gli altri, l’inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza, il supporto alle donne detenute che hanno subito violenza, programmi di trattamento di uomini autori di violenza;
- 615 mila euro annuali per il finanziamento del numero antiviolenza 1522, potenziandone le capacità di intervento;
- 200 mila euro, per realizzare azioni formative e analisi dei dati in collaborazione con l’Arma dei Carabinieri.
FONDI CENTRI ANTIVIOLENZA O CASE RIFUGIO
Ancora grazie alla legge 119 del 2013, a partire dal 2014 il Governo italiano sostiene l’apertura di nuovi centri antiviolenza e case rifugio, nonché il potenziamento di quelli esistenti, trasferendo risorse alle Regioni e alle Province autonome con cadenza biennale o annuale. Le risorse disponibili, che la legge ha previsto in 10 milioni di euro l’anno, sono in costante aumento e dal 2018 saranno triplicate grazie alla recente legge di bilancio, superando i 30 milioni di euro. L’utilizzo dei finanziamenti ha comportato un significativo aumento delle strutture a sostegno delle vittime: nel 2013 i Centri antiviolenza erano 188 e le Case rifugio 163, mentre in base all’ultima rilevazione di ottobre 2017, sono arrivati, rispettivamente, a 296 e 258.
NUOVO PERCORSO OSPEDALIERO PER LE VITTIME DI VIOLENZE
Le linee guida nazionali rivolte alle aziende sanitarie e ospedaliere per garantire un intervento adeguato e integrato nel trattamento delle conseguenze fisiche e psicologiche che la violenza maschile produce sulla salute della donna sono state adottate con DPCM del 23 novembre 2017.
Le linee guida delineano un percorso per le donne che subiscono violenza, a partire dal triage ospedaliero fino al loro accompagnamento o orientamento, se consenzienti, ai servizi pubblici e privati dedicati.
PIANO STRATEGICO VS LA VIOLENZA SULLE DONNE
https://www.istat.it/it/files//2017/11/piano_sulla_violenzamaschilecontrodonne_2017.pdf
A dicembre2017 ha ricevuto il parere favorevole della Conferenza Stato Regioni e della Conferenza Unificata un Piano nazionale anti violenza per il prossimo triennio, frutto di un gruppo di lavoro ad hoc cui hanno partecipato Ministeri, Forze dell’Ordine, Regioni e Comuni, organizzazioni sindacali e associazioni impegnate sul tema della violenza.
Seguendo i principi previsti nella Convenzione di Istanbul, il nuovo Piano prevede un’articolazione secondo tre linee d’intervento:
- prevenire la violenza (attraverso piani educativi e di comunicazione, oltre che di formazione degli operatori nel settore pubblico e privato);
- proteggere e sostenere le vittime (attraverso le reti territoriali antiviolenza);
- perseguire e punire (in sinergia con i soggetti istituzionali quali, ad esempio, il Ministero dell’Interno e il Ministero della Giustizia).
Per ciascuna di queste tre linee si definiranno le priorità, gli obiettivi specifici e le modalità di attuazione degli interventi, identificando chiaramente l’Amministrazione responsabile.
La governance del Piano sarà articolata a livello centrale e a livello territoriale, attraverso le “reti territoriali antiviolenza”, che garantiranno il raccordo tra tutti i servizi che operano nel campo della prevenzione, protezione e contrasto alla violenza maschile contro le donne. Inoltre, per consentire un monitoraggio strutturato degli interventi, saranno individuati indicatori di realizzazione e di risultato da utilizzare nella fase attuativa del Piano.
ACCORDI INTERISTITUZIONALI
Il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha definito una serie di accordi inter-istituzionali con diversi soggetti per prevenire e combattere la violenza di genere:
- Protocollo d’intesa con le Ferrovie dello Stato
- Protocollo d’intesa con Istat
- Protocollo d’intesa con il Ministero della Difesa
- Protocollo d’intesa con il Ministero dell’Interno
- Protocollo d’intesa con Poste Italiane
- Accordo di Collaborazione con l’Arma dei Carabinieri
- Accordo di Collaborazione con il CNR- IRRPS (2017)
COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL FEMMINICIDIO
Il 6 febbraio 2018 è stata approvata all’unanimità la relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, istituita con deliberazione del Senato della Repubblica del 18 gennaio 2017. La Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere si è riunita per la prima volta il 19 aprile 2017 con il compito di svolgere indagini sulle dimensioni e cause del femminicidio, inteso come uccisione di una donna, basata sul genere e, più in generale, di ogni forma di violenza di genere; accertare il livello di attenzione e la capacità d’intervento delle autorità e delle pubbliche amministrazioni competenti a svolgere attività di prevenzione e di assistenza; monitorare l’effettiva destinazione alle strutture che si occupano della violenza di genere delle risorse stanziate dal decreto-legge n.93 del 2013 e dalle leggi di stabilità a partire da quella per il 2011; proporre soluzioni di carattere legislativo e amministrativo al fine di realizzare la più adeguata prevenzione e il più efficace contrasto del femminicidio e, più in generale, di ogni forma di violenza di genere, nonché di tutelare la vittima della violenza e gli eventuali minori coinvolti.
La Commissione ha lavorato fino a dicembre 2017 e ha svolto 38 sedute , 67 audizioni di ministri/e, esperte/i sul fenomeno, docenti universitari, associazioni di donne, giudici, esponenti di Enti Locali, associazioni di avvocate/i, mass media, personalità delle Forze dell’Ordine. Sempre presente l’avvocato Lucia Annibali, sfregiata con l’acido dall’ex fidanzato il 6 aprile 2013, nominata Cavaliere della Repubblica l’8 marzo 2014, in occasione della festa internazionale della donna, che si celebrò l’8 marzo del 2014, con una cerimonia speciale in Quirinale, dall’allora capo dello Stato, Giorgio Napolitano,”Per il coraggio, la determinazione, la dignità con cui ha reagito alle gravi conseguenze fisiche dell’ignobile aggressione subita”. Nell’audizione del 27 settembre 2017 l’Istat ha contribuito con dati ed elaborazioni utili ai lavori della Commissione parlamentare. La relazione finale della Commissione è disponibile sul sito del Senato.
Attualmente la Commissione Parlamentare di Inchiesta sul Femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere non è costituita.
Sostegno economico alle vittime, il congedo retribuito
Tra gli strumenti contemplati dall’ordinamento a sostegno economico delle donne che subiscono violenza rientrano le misure di sostegno diretto delle vittime di reato egli interventi volti a finanziare i soggetti impegnati nella protezione delle donne. Per quanto concerne la prima categoria, oltre alla più generale previsione di un indennizzo da corrispondere in favore delle vittime di crimini violenti, vi è la previsione di un congedo retribuito di tre mesi per le lavoratrici dipendenti e per le lavoratrici titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa vittime di violenza di genere (Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80). Il 15 aprile 2016 è stata adottata dall’INPS la circolare applicativa. Secondo i dati riferiti dal presidente dell’Inps le domande pervenute fino al 5 ottobre 2017, presso le sedi territoriali dell’ente previdenziale, sono complessivamente 159.
Le iniziative delle forze dell’ordine: il progetto E.V.A.
Fra le iniziative intraprese dalle forze dell’ordine per intensificare la prevenzione della violenza di genere un indubbio rilievo riveste il Progetto EVA (Esame Violenze Agite). Tale progetto, presentato mediante una campagna informativa a Venezia il 14 febbraio 2017, introduce un protocollo di intervento operativo che prevede la compilazione da parte degli equipaggi delle volanti delle questure chiamate ad intervenire nei casi di violenza domestica, di check list che, anche in assenza di formali denunce, consentono di “tracciare” le situazioni di maltrattamento. Nei primi 9 mesi del 2017 sono stati segnalati 3.607 casi di violenza domestica. In ben 3.061 gli aggressori erano di sesso maschile, con una età media di 42 anni; per converso le vittime erano di sesso femminile in 2.944 occasioni ed avevano una età media di 41 anni. In 1.228 occasioni (pari al 34 per cento dei casi) gli aggressori erano di nazionalità straniera. In 2.872 casi (pari a quasi l’80 per cento dei casi) il luogo dell’evento era costituito dall’abitazione.
P.V.
fonte tabelle: EUROSTAT
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