Un tavolo “di eccellenze” tutte al femminile, con qualche eccezione “di eccellenza” al maschile, presente solo per parlare delle donne e di impresa, portando la testimonianza di tutte le esperienze vissute e dei traguardi raggiunti. Un incontro, dal titolo emblematico, “L’talia che vogliamo è più donna“, organizzato dalla Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi, dal Comitato imprenditoria Femminile “L’Italia che vogliamo è più donna” e da Giovani Pro e Tavolo Giovani, per parlare dei nuovi traguardi da raggiungere. Secondo molte ancora un obiettivo sulla carta visto che le donne crescono, ma non sfondano come mostra una fotografia scattata dall’Osservatorio dell’imprenditorialità femminile di Unioncamere–InfoCamere. Infatti nelle cosiddette “stanze dei bottoni” le donne, sebbene, in crescita, rappresentano solo il 25% dei quasi 3 milioni e novecentomila capi di impresa oggi esistenti. E quelle che riescono a ricoprire il ruolo di “presidente” nel consiglio di amministrazione di un’azienda sono solo 32mila, a fronte delle oltre 185mila cariche che si contano in totale. Insomma le donne “presidente” sono ancora delle mosche bianche visto che incidono per il 17,36% del totale, registrando un lieve aumento del 7% rispetto al settembre 2017. Quasi 17mila gli incarichi da vice-presidenti (un quarto dei 67mila complessivi), con un incremento rispetto a un anno fa dell’8,7%. Tra gli amministratori o consiglieri delegati le cariche al femminile sono circa 5mila (contro le 22mila totali), 36mila quelle di amministratrici(il 22,6% dei 160mila esistenti), quasi 600 (il 14%) i direttori donna contro i 4mila complessivi. In termini assoluti il numero più elevato di donne si incontra tra i consiglieri: 213mila quelle presenti dei Cda delle aziende italiane, poco meno del 25% del totale.
«Sebbene la parità di genere rappresenti uno dei valori fondamentali dell’Unione Europea, sul lavoro la realtà è diversa», ha detto Elena Vasco, Segretario Generale della Camera di Commercio Milano Monza Brianza Lodi, in apertura dei lavori. Un dibattito che parte dal focus sul Gender gap, per evidenziare che esiste ancora una disparità di trattamento e considerazione delle donne sul posto di lavoro. «Le donne nei consigli di amministrazione sono ancora poche e quando sono presenti non hanno ruoli esecutivi», ha proseguito la Vasco. «Mancano le executive officer. Un vero peccato visto che le donne grazie al loro approccio pragmatico nell’affrontare le problematiche potrebbero apportare un contributo notevole». Ma da dove si comincia e quando si fa il salto di qualità? «A scuola, all’università. Anche se è ancora un vero peccato scoprire che ci sono facoltà, come quella di ingegneria, dove tuttora su una media di 5 studenti iscritti solo una è donna». Un altro aspetto da tenere in considerazione, è la scelta della professione, che implica una notevole capacità predittiva, che non sempre però può servire, perché oramai le necessità della nostra società cambiano molto più rapidamente. Quello che 30 anni fa, 20 anni fa cambiava in 15 e poi ogni 10 anni, ora muta nel giro di 5 anni. «Anche scegliere quale tipo di professione fare è più difficile, non solo perché oggi rispetto al passato tutto cambia molto più velocemente», ha sottolineato la Vasco, «ma perché nonostante l’offerta formativa sia notevole, occorre comprendere che cosa si vuole fare, quali sono le proprie e reali risorse e le capacità di sviluppo, insomma bisogna fare appello a un forte e irricunciabile impegno critico-conoscitivo per scegliere la strada giusta da intraprendere per assimilare nuove conoscenze e raggiungere nuovi obiettivi. Tenendo conto che oggi la capacità predittiva che in alcuni casi può aiutare a capire, interpretare quali saranno le professioni del futuro non si basa più solo sulle statistiche, ma anche sulla capacità di tradurre dei fenomeni di più ampio respiro. I ragazzi di oggi sono nativi digitali e possono garantire un contributo notevole rispetto a chi è nato nell’epoca analogica. E poi bisogna fare i conti anche con l’inclusività perché in qualunque contesto ogni professionalità può contribuire e offrire un valore aggiunto specifico. Le imprese hanno difficoltà a individuare del personale qualificato in alcuni settori. E’ necessario chiudere il gap tra domanda e offerta riuscendo a offrire sul mercato una manodopera e delle professionalità in linea con le richieste e le necessità del mercato. Il tema dell’occupazione e la possibilità delle imprese di potere contare su risorse specialistiche sono costantemente il nostro obiettivo».
«La partecipazione delle donne al mondo dell’impresa», prosegue Tiziana Pompei, Vice Segretario Generale di Unioncamere, «ha ampi margini di sviluppo che vanno colti per ridare slancio all’occupazione e alla crescita. L’impresa al femminile prima di essere un evento economico, è l’esperienza della donna di affermare il proprio punto di vista nel mondo, il proprio sistema di valori, la propria capacità organizzativa».
Insomma oramai la parola d’ordine è “Stay tuned”. Perché come diceva anche l’inventore della mela più chiacchierata della storia, Steve Jobs, non basta arrivare al traguardo della laurea per pensare di avere un successo sicuro, perché anche dopo tanti anni di studio, occorre sempre essere “hungry e foolish”, ossia occorre sapere cogliere le occasioni di crescita intellettuale e interiore che offre la vita, ma avere il coraggio di sperimentarle in sintonia con le occasioni che offre il mondo del lavoro. E in un’Italia che vuole essere sempre più al femminile, Roberta Cocco, Assessore alla Trasformazione Digitale e Servizi Civici del Comune di Milano, spiega che per aumentare il numero di donne attive, occorre tenere presente che qualsiasi professione si decida di fare, il connubio tra tecnologia e imprenditorialità è divenuto imprescindibile: «I numeri ci dicono che le donne a capo delle imprese stanno crescendo, ed è un dato positivo, ma non basta. Non si tratta di una competizione tra due sessi, ma della necessità di eliminare gli stereotipi di genere. Una donna con le giuste competenze, capacità manageriali e leadership ha il diritto di avere le stesse opportunità di un uomo di guidare un’azienda e lavorare per la sua crescita. Inoltre, in un momento storico in cui la trasformazione digitale sta contaminando tutti i settori imprenditoriali, le donne dovrebbero puntare ad acquisire e migliorare le proprie competenze tecnologiche, così da poter trovare spazio e costruire una carriera solida, specialmente in una città come Milano che in questo momento è il terreno fertile ideale per l’imprenditoria digitale. Io mi occupo della trasformazione digitale di Milano. Il nostro lavoro come pubblica anministrazione è quello di offrire dei servizi che semplifichino la relazione con i cittadini, come il fascicolo del cittadino, che dà l’opportunità di accedere alla propria case history già ad oltre 400mila cittadini. Sempre più spesso si parla di “Umanesimo digitale”, perché il valore della tecnologia non è più solo quello di fare risparmiare tempo, ma è anche quello di offrire nuove prerogative interpretando le necessità delle persone per dare servizi unici e all’avanguardia».
Puntare sulle donne è prioritario, ma occorre farlo anche sui giovani ci tiene a precisare Marzia Maiorano, Presidente del Comitato per l’Imprenditoria Femminile della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi: «Occorre partire dai giovani e questo è il senso del convegno “L’Italia che vogliamo è + donna” in Camera di commercio di Milano MonzaBrianza Lodi, in cui abbiamo coinvolto le scuole milanesi con risultati di forte interesse e coinvolgimento, per cui abbiamo buone speranze per il futuro». Quali sono le professionalità emergenti? «Sono le materie STEM (Scienze Tecnologia Ingegneria e Matematica). In questo momento storico non siamo presenti come dovremmo. Oggi ci sono tante donne che hanno un ruolo chiave in queste discipline, che sono alla base dell’innovazione e del cambiamento. A livello Paese, se non verranno riequilibrati i team nelle aziende con alta spinta innovativa con la presenza femminile, le nostre imprese rischiano di essere limitate nella sfida internazionale e nell’accrescimento del PIL. Abbiamo un’opportunità senza precedenti, tocca al comparto femminile guidare la crescita facendo sistema».
Anche per Maria Lisa Boschetti, presidente del Coordinamento Regionale dei Comitati per l’Imprenditoria Femminile delle Camere di Commercio di Lombardia, l’Italia deve essere più donna, perché è proprio dalle donne che parte la spinta innovativa in grado di iniziare il vero cambiamento a livello economico e istituzionale. «É importante che noi donne impariamo a ricoprire ruoli finora di presedio maschile. Senza una donna ai posti di comando, l’economia rinuncia a una grande forza produttiva. Basta dare un’occhiata ai numeri che inesorabilmente offrono una fotografia instantanea dell’imprenditoria femminile in Italia che al primo trimestre di quest’anno si attesta intorno al 22,62%, con un leggero aumento della presenza di donne nelle imprese lombarde nelle province di Sondrio Pavia e Mantova. Le donne hanno capito che fare impresa è importante», prosegue Boschetti, «le startup innovative in Lombardia sono 9.600, ossia il 24% delle start up innovative di tutta italia. E anche in questo settore la presenza femminile è ancora risicata visto che si attesta attorno al solo 3%. “L’Alternanza scuola lavoro” può offrire un valido aiuto. La Camera di Commercio di Lombardia ha finanziato tesi di laurea che trattavano il sostentamento dell’imprenditorialità femminile perché occorre lavorare con le scuole e le università affinché l’alternanza scuola-lavoro possa essere propedeutica per una lettura più attenta delle proprie necessità che però si devono interfacciare sempre di più con le esigenze del mercato. La formazione è fondamentale. Christine Lagarde, presidente del Fondo monetario internazionale, ha più vote affermato che è importante sostenere la crescita e il lavoro delle donne, perché quando le donne hanno successo un’economia cresce».
Gender gap in Italia qual è la situazione nel Paaese? Secondo Vincenzo Scuotto, Presidente Gruppo Giovani di Aidp, (Associazione Direzione Personale Lombardia), l’Italia non brilla per opportunità garantite alle donne sul posto di lavoro. «Tra il 2017 e il 2018 l’Italia si è posizionata all’ottanduesimo posto. Sicuramente i passi per ridurre il gender gap sono ancora molti e tanta è la strada da fare. Non solo in tema di posizioni ricoperte, ma anche sul piano salariale. Le cose stanno migliorando, ma siamo ancora lontani da una parità effettiva tra gli uomini e le donne».
Passione per la tecnologia e capacità di analizzare e fare business possono offrire grandi opportunità. Lo ha testato Debora Oliosi, esperta digitale, potenziando queste attitudini fin da bambina. «Nel 1998 mi hanno regalato un computer che non poteva supportare i videogiochi e non riuscivo a sfruttarlo», spiega, «poi ho letto un libro che mi ha aiutato a crescere e a sviluppare le mie competenze. Così a 12 anni ho scoperto la mia passione per la programmazione (il coding, come si chiama adesso) e da allora non ho mai smesso di stupirmi di fronte alla sua capacità di semplificarmi la vita: ho progettato gestionali, siti internet, ecommerce e videogiochi, mi sono confrontata con gli algoritmi di Google, ho approfondito il controllo di gestione e non ho tralasciato la business intelligence. Oggi ho 42 anni e non mi posso definire né una “nativa digitale”, né “un’immigrata digitale” (N.d.R. I “nativi” sono immersi nel digitale sin dalla nascita, per loro è la norma, mentre gli immigrati, per alcuni, gli “ibridi” o i “coloni”, hanno dovuto adottare le tecnologie e adattarsi pian piano, in età avanzata). Nel 2004 ho fondato una società che si chiamava “Moca“, era una startup e si occupava di web. Sempre il 2004, ho creato un’altra società la “FAM“, aveva 20 dipendenti e operava nel settore della metalmeccanica. Oggi, dopo 12 anni e 2 exit, ho scelto di coniugare la mia passione per la tecnologia con l’esperienza imprenditoriale. Un consiglio che vorrei dare ai ragazzi? Quello di costruirsi un know-how tecnologico studiando e non passando il tempo a creare delle Instragram Stories o a pubblicare i propri post e foto su Facebook. Il tempo dedicato alla tecnologia deve essere costruttivo e portare valore».
Quindi bisogna studiare di più per imparare di più. Ma quante sono le donne laureate? Sono di più gli uomini o le donne che arrivano a questo traguardo? Esistono statistiche sugli studi al femminile? Quali le facoltà prettamente scelte dalle donne? «Il numero delle laureate è simile (se non superiore) a quello degli uomini nelle discipline umanistiche, mediche e biologiche», spiega Maria Pia Abbracchio, vice-Rettore e prorettore alla ricerca, Università Statale di Milano. «Invece è ancora inferiore a quello degli uomini nelle scienze dure quelle STEM, come la fisica, la matematica, l’ingegneria e l’informatica. Esistono statistiche sugli studi al femminile che indicano una “forbice” nelle carriere femminili e maschili dopo la laurea. Le laureate se rimangono nel mondo del lavoro, guadagnano meno e accedono con maggiore difficoltà ai vertici delle carriere. Fra i ricercatori universitari circa la metà è donna, ma solo il 20% diventa professore ordinario». A che cosa non bisogna mai rinunciare? «Alle proprie passioni. Il mio motto? È si può fare».
Per Anna Carmassi, project leader di STEAMiamoci, un progetto di Assolombarda, la più grande associazione territoriale di Confindustria, la consapevolezza della diversità di genere è l’elemento base della crescita sociale e fondamentale per la produttività, la competitività e l’innovazione dell’impresa. STEAMiamoci nasce dalla necessità di dedicare particolare attenzione al rapporto tra le ragazze e le cosiddette materie STEM, bagaglio importante per leggere e vivere da protagoniste il mondo di oggi. «Come primo passo, abbiamo “fotografato” la situazione», spiega Carmassi, «realizzando due indagini che ci hanno fornito, da una parte, i dati su livello di istruzione -STEM e non STEM-, tipologia degli studi, risultati scolastici, retribuzione di femmine e maschi, dall’altra, le ragioni delle scelte formative, eventuali influenze nelle decisioni, conoscenza di sè e aspettative. Il quadro ci ha stimolato più risposte. Mancano senz’altro modelli di donne cui ispirarsi e fa fatica ad affermarsi la consapevolezza del proprio valore. STEAMiamoci propone, sul proprio sito (http://www.assolombarda.it/steamiamoci), profili di donne in grado di contaminare le nuove generazioni, le nostre “Protagoniste del futuro”. Seguendo il medesimo criterio, a gennaio partirà la seconda edizione del nostro cineforum “Dove osano le donne“, una rassegna gratuita di Assolombarda, che apre le sue porte al territorio. Per raggiungere ragazze e ragazzi delle scuole superiori, abbiamo presentato il nostro progetto in diversi istituti del territorio e, attraverso le molteplici iniziative “OrientaGiovani” di Assolombarda e il “Salone dello studente”, abbiamo cercato di solleticare la curiosità di migliaia di studentesse e studenti, con esempi concreti di giovani imprenditrici e giovani imprenditori. Il prossimo futuro ci vedrà impegnate anche nelle scuole di grado inferiore, materne incluse, sempre con l’intento di presentare storie non convenzionali. Uno specifico gruppo di lavoro si sta dedicando anche ai testi scolastici, per definire linee guida al passo coi tempi e contrastare la diffusione di stereotipi non più accettabili. Non da ultimo, verificato che, nell’anno accademico appena trascorso, su 380 matricole della facoltà di informatica dell’università Bicocca, solo 35 erano ragazze, abbiamo creato 10 borse di studio per le più meritevoli. Le abbiamo consegnate lo scorso aprile, nell’ambito della manifestazione “STEM in the City” del Comune di Milano. Replicheremo l’iniziativa anche nel prossimo anno. E a questo proposito, è importante sottolineare quanto Assolombarda abbia la determinazione e la capacità di porsi come aggregatore degli attori istituzionali, imprenditoriali, sociali e politici che, sul territorio, sono impegnati in tematiche affini. Abbiamo avviato proficue collaborazioni, oltre che con l’amministrazione pubblica, con gli atenei milanesi, con il Museo della scienza e della tecnologia e con importanti fondazioni. Inoltre, ci avvantaggiamo del sostegno prezioso delle piccole, medie e grandi imprese associate. La mia personale sensazione è che stiamo vivendo un momento in cui in molti sembriamo muoverci (finalmente!) in una stessa direzione, per costruire un mondo più equilibrato ed inclusivo, pieno di donne e uomini consapevoli dell’importanza e della forza della loro complementarietà. I ragazzi anche se non hanno modelli di riferimento devono essere consapevoli delle loro potenzialità».
Qual è la strada migliore da seguire? Per Paola Fermo, professoressa di chimica analitica e dell’ambiente, all’università Statale di Milano, che fa parte del progetto 100 esperte, (N.d.R. una piattaforma di donne talentuose, una banca dati online, inaugurata nel 2016 con 100 nomi e CV di esperte di STEM, un settore storicamente sotto-rappresentato dalle donne e al contempo strategico per lo sviluppo economico e sociale del nostro paese, fondato e sostenuto dall’Osservatorio di Pavia e l’associazione Gi.U.Li.A., in collaborazione con la Fondazione Bracco e con il supporto della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea) occorre sempre seguire le proprie passioni implementandole con uno studio rigoroso che unito a una buona dose di determinazione porta sempre al raggiungimento dei risultati sperati. «Mi occupo di salute, di inquinamento atmosferico, dell’effetto che l’inquinamento provoca sul patrimonio culturale, in particolare in questo momento della Pinacoteca Ambrosiana. Il mio compito è quello di testare le particelle in atmosfera, l’inquinamento outdoor. Nella mia borsetta non manca mai il “misuratore di particelle“, che uso per testare l’aria. Faccio un lavoro privilegiato che mi dà l’opportunità di fare un’attività che mi piace e continuo a fare sempre con grande entusiasmo. Quello della ricerca è un ambito dove c’è tanto spazio per le donne. Io sono arrivata alla chimica eliminando le materie che mi piacevano meno, poi ho scelto di dedicarmi all’insegnamento e sono rimasta all’università per fare il professore. Mi è sempre piaciuto spingermi al di là delle cose note. Dedicarsi alla scienza è un’avventura meravigliosa».
«Nella mia azienda rappresentano il 33% della forza lavoro è al femminile e molte sono le donne che occupano posizioni strategiche», puntualizza Giovanni Maria Casserà, amministratore delegato di GeneGIS GI, azienda specializzata nell’area Geo ICT il cui business è quello di occuparsi dell’intero ciclo di vita di un progetto basato su dati geografici. Dall’acquisizione del dato grezzo alla sua elaborazione e integrazione, fino allo sviluppo di applicazioni software dedicate. «Con oltre 100 professionisti, 40 sviluppatori software, un’esperienza ventennale, servizi in oltre 20 Paesi, siamo il solution provider italiano più completo nell’area Geo ICT e con le più significate esperienze all’estero. La Geographical Intelligence abbraccia un ventaglio vasto di esigenze, dalla logistica alla gestione infrastrutturale, dalla pianificazione commerciale alla tutela ambientale, dalla gestione dei flussi di traffico alla pianificazione socioeconomica. Ed è in forte espansione. Secondo Geospatial World Magazine, il mercato dei sistemi GIS varrà 14,62 miliardi di dollari nel 2020 con un tasso annuo di crescita dell’11,4%. Insomma, oggi più che mai la comprensione della geografia del mondo è un elemento strategico imprescindibile per lo sviluppo di ogni tipo di business. «La mia azienda non è un’impresa di grande dimensioni, conta 80 dipendenti, con percorsi scolastici differenti, molti implementati con studi post lauream. Mi piacerebbe potere assumere nuovo personale, ma non riesco a trovare figure professionali che possano soddisfare le mie esigenze. Manca un’offerta completa nell’ambito tecnico e tecnico scientifico. Nel 2017 su 75mila assunzioni 65mila sono state quelle finalizzate a questo settore. Il futuro non è solo più STEM, ma prevede una contaminazione di conoscenze frutto di studi differenti che possono diventare inclusivi».
Per Manuela T. Raimondi, professoressa di Bioingegneria al Politecnico di Milano, che fa parte del progetto 100 esperte, c’è spazio per le donne purché imparino a comunicare. «Per me questo è stato fondamentale nelle varie fasi della mia carriera». Laureata in Ingegneria Meccanica, la Raimondi ha ottenuto il Dottorato di Ricerca in Bioingegneria nel 2000 presso il Politecnico di Milano. Qui, dal 2014 è Professore Associato di Bioingegneria presso il Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “G. Natta” e titolare dell’insegnamento di “Technologies for Regenerative Medicine” presso il corso di laurea specialistica in Ingegneria Biomedica. Nel 2014 ha ottenuto l’Abilitazione Scientifica Nazionale al ruolo di Professore Ordinario di Bioingegneria. Al Politecnico di Milano, Manuela T. Raimondi ha attivato e dirige il gruppo di Meccanobiologia. Ha fondato e dirige il “Mechanobiology Lab” e il “Live Cell Imaging Lab”. La sua attività di ricerca è focalizzata sull’interazione fisica tra cellule viventi e loro microambiente, e sull’effetto di tale interazione sulla risposta biologica. Integra simulazione computazionale multifisica/multiscala con tecniche avanzate di coltura cellulare, quali nicchie sintetiche per la coltura di cellule staminali e bioreattori micromeccanici, per avanzare la conoscenza relativa ai meccanismi fondamentali di meccanobiologia delle cellule staminali. «La mia storia inizia nel 2002 quando ho cominciato a lavorare con una mia collega, Carmen Giordano di professione chimico, ci siano unite per perseguire un obiettivo scientifico comune e svilupparlo con la tecnologia», racconta Raimondi. E parlando anche del riconoscimento dell’ EUROPEAN RESEARCH COUNCIL (N.d.R.: ossia del Consiglio europeo della ricerca che è la prima agenzia dell’Unione europea dedicata al supporto della ricerca scientifica di frontiera incentrata sul ruolo del ricercatore investigator), che le ha spronate ad andare avanti ancora con maggiore entusiasmo, per raggiungere nuovi obiettivi, dice: «Mai fermarsi. L’approccio delle donne deve essere molto più pragmatico».
Anche lo sport serve a fortificare nel conseguimento degli obiettivi e la propensione a fare squadra. «Un club di pallavolo è una grande famiglia dove serve la capacità di saper gestire molte persone», ha dichiarato Alessandra Marzari, Presidente del Consorzio Vero Volley. «E come una piccola grande impresa, che ha la necessità di fare squadra in tutte le situazioni. Lo sport allena la determinazione. Il Consorzio Vero Volley ha all’attivo 1600 atleti e vanta 2 squadre in serie A. Perché lo sport è importante? Perché genera comportamenti di valore economico, e attraverso programmi di welfare, anche di valore sociale. Lo sport serve a contaminare e nella fase evolutiva migliora la qualità della vita, le attitudini relazionali di coloro che lo praticano. Chi fa sport ha una minore propensione ad avere comportamenti devianti».
La determinazione innanzittutto lo dice anche Patrizia Lia, parruccaia e Presidente del Comitato Provinciale Milano di ANCOS, che è una della 40 parruccaie che ancora resistono al mutamento dei tempi. In Italia dice siamo rimasti solo in 40, il parruccaio (N.d.R. da non confondere con il parrucchiere, ci tiene a sottolineare) è un’attività in via di estinzione anche a causa della crisi economica, che ha colpito anche le aziende manifatturiere. La sua forza è stata quella di puntare sul cambiamento. «Partendo dal riconoscimento dei miei corsi al Miur», prosegue, «per avere l’opportunità di dare delle certificazioni a chi frequentava i mie corsi. Il lavoro di parruccaio è un’attività tramandata, prima non c’era la prassi e la necessità di certificarla». Ma Patrizia non si è fermata solo a questo step. A causa della mancanza di aziende che producono calotte, ossia quelli che tutti conosciamo col nome di toupet, si è trasformata anche in un’artigiana tecnologica, ossia 4.0. «Ho iniziato ad armeggiare con una stampante 3 D, inizialmente con non poche difficoltà. L’obiettivo era quello di realizzare i toupet che mi servivano da sola. E ci sono riuscita. La proposta più strana che ho ricevuto? Quella di creare una parrucca per una mongolfiera per un’azienda francese. Non pensavo di esserne capace, ma non ho detto di no. E ho voluto provarci». Grazie alla tecnologia ora la sua azienda va avanti realizzando progetti che altrimenti non sarebbe stato possibile realizzare. «Essere Artigiano 4.0 significa per me, non aver paura della tecnologia, non temere di essere “cancellati” da essa, avere il coraggio e la forza interiore di cavalcarla applicandola al proprio saper fare che è in ognuno di noi utilizzandola al meglio».
Molti sono ancora i passi da fare sul fronte del private equity e del venture capital. «Le donne che operano nel private equity, private debt e venture capital ci sono, sono una cinquantina, del resto è un settore piccolo», spiega Anna Gervasoni, Direttore Generale AIFI, (Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital), professore all’Universita Cattaneo di Castellanza.
«Pochissime sono le apicali, si contano nelle dita di una mano, anche se danno lo stesso valore aggiunto degli uomini». Scarso, anzi scarsissimo era anche il numero delle donne che 30 anni fa, gravitavano nel mondo dei vini. Lo ha testimoniato Maida Mercuri, titolare e sommelier del Al Pont de Ferr, ristorante storico nel cuore della zona Navigli a Milano, che ha parlato della sua esperienza e della sua passione per il vino, che l’ha portata a diventare la più giovane sommelier d’Italia nel 1982. «Non bisogna farsi contagiare dai pregiudizi, quando si portano avanti le passioni il successo è assicurato. Però occorre anche mettere in conto il fatto di dovere affrontare molti sacrifici da sole, contando solo su se stesse, come è accaduto a me».
Per molti giovani è difficile coniugare il settore manifatturiero con quello della tecnologia. Eppure il legame è strettissimo perché le macchine utensili e i sistemi produttivi si programmano anche con un tablet o uno smartphone. Per Lorenzo Vimercati, amministratore delegato di Meccanica Vimercati, occorre rivalutare luoghi come le fabbriche dove è possibile fare crescere il proprio talento. Meccanica Vimercati ha iniziato con 4 dipendenti e oggi è diventata un punto di riferimento nazionale nel campo della produzione di componenti meccanici di precisione per il settore industriale. «Produciamo componenti meccanici per tutti i servizi di altissima precisione, nell’ordine del micron, tanto per intenderci, ossia un millesimo di millimetro», ha raccontato Vimercati. «Utililizziamo macchinari di ultimissima generazione, aggiornatissimi, a controllo numerico quindi azionati da un pc, che può essere a bordo macchina o azionato in remoto con software che ci permettono di gestire e monitorare ogni fase, per capire se ci sono dei “fermi macchina”, come sta procedendo la produzione e gestire le commesse in lavorazione. Per azionare questo tipo di macchinari servono delle competenze anche tecnologiche. I componenti meccanici che produciamo vengono montati dappertutto. Noi operiamo nel settore della macchine utensili, del packaging, delle macchine alimentari, parzialmente nel settore automotive e in quello medicale e questo tipo di trasversalità ci ha permesso di fare esperienze legate a ogni tipo di materia. Al settore della meccanica sono connessi tanti settori. Dalla chimica, ai servizi di trasporto, la logistica, i servizi finanziari. Bisogna cambiare il modo di pensare di molti giovani che non vedono nelle fabbriche delle opportunità di impiego e di carriera. Questo è anche il motivo per cui attualmente il mismatch tra domanda e offerta è enorme. In Italia sale il numero delle aziende manifatturiere che chiudono e contestualmente sale anche il numero dei disoccupati (a oltre il 30%). La fabbrica negli ultimi 20 anni è stata demonizzata. Invece va rivalutata. Perché può trasformarsi in una fucina di giovani talenti. Venite da me, imparate un lavoro, le competenze una volta acquisite si trasformano in un passpartout che vi permetterà di lavorare ovunque. All’estero, in Germania in particolare, sono molto più avanti di noi sul fronte della valorizzazione dell’alternanza-lavoro e dell”apprendistato professionalizzante”. Inoltre le differenze di genere sono inesistenti. La meccatronica sfrutta competenze trasversali tra meccanica, elettronica, informatica e conoscenza di materiali. In Assolombarda rappresento il gruppo dei meccatronici e il mio obiettivo quotidiano, non solo all’interno della mia azienda, è fare comprendere il valore della meccatronica e le opportunità di crescita e quindi di guadagno che può garantire. Si per me il futuro è la meccanica unita alla tecnologia».
Per Paolo Barbatelli, Chief Innovation Officer di Gruppo Rold S.p.A. le parole chiave sono innovazione e coraggio. Puntando sulla manifattura che è capace di applicare la tecnologia ai suoi prodotti. «La Rold, che ha sulle spalle 55 anni di anzianità, quindi di storia, ha un presidente donna e oltre il 40% della sua forza lavoro, compreso il comparto manifatturiero, è rappresentato dalle donne. Alle sue spalle ha una storia di innovazione e coraggio legata al mondo manifatturiero. Produce componenti elettronici ed elettromeccanici nel settore elettrodomestico, oltre 50milioni di pezzi l’anno che esporta in tutto il mondo e vende a tutti i brand di elettrodomestici. Tutte le lavatrici, le lavastoviglie i frigoriferi che avete in casa hanno per certo un pezzetto della Rold al loro interno», dice Barbatelli. La storia della Rold , acronimo di “Rocchitelli Onofrio Loro Dolores” inizia grazie alla lungimiranza del fondatore, ma anche di sua moglie. Tutto parte dall’abilità di Rocchitelli nel sapere progettare lucidatrici. Ed è grazie anche al supporto della moglie che poco dopo riesce a realizzare un microinterruttore per piccoli elettrodomestici, che cambierà la storia della sua azienda. Galeotto l’incontro con l’ingegner Giovanni Borghi, fondatore della Ignis, che diventerà il suo primo cliente. Oggi la Rold è rimasta la società fornitrice di tutte le principali marche del mondo degli elettrodomestici, in particolare proprio delle lavatrici. Abbiamo 4 sili in Lombardia», prosegue Barbatelli, Siamo riusciti a coniugare storia e sogno, a trovare la quadra positiva su quello che può essere un percorso che rispetta tradizione e innovazione. Si possono fare manufatti non necessariamente HI-TECH e venderli, a Whirpool, Samsung, Lg, Medea insomma ai cinesi. La parola d’ordine? Non una, ma due. Contaminazione e polimorfismo. Un’azienda manifatturiera deve stare al passo con la tecnologia. Noi abbiamo realizzato al nostro interno una Software House. Dal 2011 abbiamo assunto molti developper. Realizziamo sensori, attuatori per l’automazione e crediamo nello IOT, ossia nell’Internet Of Things. Abbiamo cambiato la nostra genetica. Il nostro valore aggiunto è quello di puntare su una manifattura sempre più digitale».
Come trasformare il rapporto con i bambini in un’avanguardia digitale, in una sperimentazione a ciclo continuo? Lo ha raccontato Alice Cagna, Responsabile progetto REMIDA MILANO: «REMIDA, è un progetto nato nel 1996 dell’Istituzione Nidi e Scuole d’Infanzia del Comune di Reggio Emilia e di Iren Emilia, gestito dalla fondazione di Reggio Children e il Centro Loris Malaguzzi. REMIDA MILANO, uno dei 14 centri presenti nel mondo, è stato inaugurato, per volontà di MUBA, Il 14 febbraio 2010 ed ora ha sede all’interno della Rotonda della Besana assieme al Museo dei Bambini di Milano. L ‘idea di una portare REMIDA anche a Milano e nata la prima volta che abbiamo visitato il centro di Reggio Emilia. Ci è sembrato fondamentale che un luogo così ricco di potenziale e valore fosse presente anche a Milano. Il principale obiettivo di REMIDA? Implementare la conoscenza relativa alla materia, ai di suoi possibili riutilizzi e al suo corretto riciclo. Il lavoro tra “Donne e Bambini” talvolta sembra scontato e invece non è così. Per contro va anche detto che per lavorare con i bambini non è necessario essere una donna, ma bisogna essere in possesso di una serie di competenze individuali qualificanti e metterle in continua discussione per arricchirsi, per dedicarsi ad un obiettivo così delicato».
In questo ultimo decennio il mercato del lavoro ha subito mutamenti epocali e le competenze ricercate dalle aziende si sono evolute. «E non sempre il mercato della formazione è riuscito a sostenere i ritmi, a colmare questo gap», lo ha spiegato Emiliano Novelli, amministratore delegato di Universitybox, che dal 2001 si occupa di comunicazione verso il mondo degli studenti attraverso una serie di mezzi in esclusiva posizionati all’interno degli Atenei italiani. «Nel 2005 è stato creato il primo evento itinerante che ci ha permesso di venire in contatto con gli studenti che incontravamo in ogni Università e nel 2006 abbiamo cretao la prima community italiana a loro dedicata. Adesso Universitybox.com è un Digital Place: un grande aggregatore di studenti universitari ai quali vuole dare la possibilità di conoscersi, di condividere passioni, di creare momenti di interesse su misura delle loro esigenze e di trovare servizi dedicati tra i quali quelli relativi al mondo del lavoro, dell’employer branding, dell’imprenditoria giovanile senza distinzione di genere. Il 60% della nostra forza lavoro è donna. Il segreto per avere più successo? Avere più coraggio, ma anche più criterio. Altrimenti non si esce dall’area del comfort. “Innovare” significa cambiare le cose, cambiare la cultura, puntare sull’employer branding ossia allineare i valori alla comunicazione aziendale. Brand Michigam, guru del marketing innovativo è convinto che l’Italia possa farcela. Occorre fare ancora molto. Secondo Michigam Milano è pronta a fare questo salto di qualità».
Ma se vogliamo una Milano “più inclusiva” e non solo Milano, che cosa occorre fare? «L’inclusività si raggiunge principalmente applicando due criteri: l’applicazione di principi di trasparenza e il riconoscere che lavorando per competenze, gli obiettivi di diversity&inclusion vengono naturalmente raggiunti, perché finalmente si arriva ad avere le persone con le competenze giuste bei ruoli giusti», spiega Francesca Boccia, Market Development Continental Europe di Thomson Reuters. «Milano oggi viaggia ad una velocità diversa rispetto ad altre città italiane ma storicamente riconosce il valore delle persone che sanno fare business. Nella mia esperienza quando l’obiettivo è comune l’inclusivita diventa un elemento naturale da perseguire per il benessere sia sociale che economico della comunità. Quindi Milano con il suo profilo internazionale e la credibilità verso la comunità economica ha l’opportunità di impostare le linee guida per definire obiettivi tali da spingere verso una progressiva e naturale cultura di inclusione».
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