di Barbara Llosa
Bambini irrequieti, iperattivi, spesso sgridati a scuola per la loro difficoltà a stare attenti anche a scuola. Difficile comprenderne le causa perché l’irrequietezza nel bambino può nascere per vari motivi.
«Quando un bambino è estremamente irrequieto, impulsivo e non riflette, anche sulle sue azioni, questo tipo di comportamento potrebbe lasciare intendere che questa propensione accentuata alla iperattività possa nascondere un aspetto patologico», spiega Fabrizio Seidita, pediatra e direttore scientifico dell’Associazione Italiana Glicogenosi a What-u.
«Quando i genitori portano il loro bambino nel mio studio, oltre a chiedere loro come si comporta a casa, in particolare quanto tempo gioca per esempio con lo stesso gioco, perché anche queste informazioni possono essere molto utili per comprendere il suo comportamento, osservo come si comporta in studio.
Di prassi i bambini che sono molto irrequieti e tendono a toccare qualsiasi oggetto non prestando attenzione a nulla, quindi toccano qualsiasi cosa senza alcun scopo, praticano quella che io definisco un’esperienza tattile afinalistica, la quale potrebbe nascondere un reale disturbo dell’attenzione. Oltre al parere dei genitori, molto importanti sono anche le osservazioni delle insegnanti che hanno l’opportunità di monitorare i bambini per molte ore e fuori dal contesto famigliare. Quindi se i campanelli di allarme oltre alla poca attenzione, sono la difficoltà del bambino a stare in gruppo e a rispettare le regole, occorre valutare l’opportunità di sentire il parere di un neuropsichiatra. Quando invece un bambino è estremamente vivace», conclude Seidita, «ma non è impulsivo e riflette sulle azioni che fa, l’aspetto patologico è da escludere».
Ma come si fa a distinguere eventuali patologie da malesseri passeggeri e quindi a comprenderne le cause? What-u lo ha chiesto a Chiara Pozzi, psicologa, psicoterapeuta infantile.
«Le diverse figure educative, genitori, maestri, allenatori sportivi, segnalano sempre più frequentemente comportamenti di disattenzione ed irrequietezza motoria nei bambini. Le motivazioni di tale fenomeno in espansione sono controverse. Sono sempre più in numero crescente i genitori che si rivolgono allo psicologo per capire se l’iperattività o la disattenzione del loro bambino può essere considerata una normale caratteristica individuale, legata magari alla tenera età del bambino oppure se ci sono segnali di problematiche evolutive più complesse. Certamente, fino ai 3-4 anni di età, una fatica a mantenere l’attenzione o a rimanere fermi per periodi più prolungati appaiono insiti nell’immaturità anche psicofisiologica del bambino. Occorre anche considerare che una certa irrequietezza o l’emergere di aspetti regressivi possono essere connessi a recenti cambiamenti, magari dell’assetto familiare (recenti separazioni, la morte di un nonno) e possono costituire il naturale modo del bambino di esprimere il proprio disagio. Alcune domande, tuttavia, possono aiutarci a comprendere l’entità delle difficoltà del nostro bambino. Ci appare vivace e contestualmente capace di attendere il proprio turno per qualche istante e in grado di rimanere per qualche minuto ad ascoltare una storia illustrata? Non evidenzia comportamenti ripetuti che lo possono mettere in pericolo? Ci appare un bambino comunicativo e che non si isola, non manifesta comportamenti marcatamente provocatori? Ecco in questo caso, possiamo stare piuttosto tranquilli e limitarci ad instaurare un dialogo costruttivo con le figure educative che ruotano intorno al nostro figliolo (maestre, allenatori, ex coniuge si è separati) e spesso questo è già sufficiente ad aiutarlo. Al contrario, se già dalla scuola dell’infanzia, i bambini manifestano aspetti di irrequietezza o disattenzione in maniera marcata e pervasiva, al punto da minare la possibilità del bambino di partecipare con interesse e piacere alle normali attività programmate o di interagire serenamente con i pari, può essere consigliabile rivolgersi ad uno specialista. A livello di scuola primaria o secondaria, tali difficoltà potrebbero ripercuotersi sul rendimento scolastico o sulla condotta , spesso sono bambini a cui vengono date molte note, sistema che è comprovato non avere effetti migliorativi sul suo comportamento. Per evitare che tutto ciò possa ripercuotersi sull’autostima di questi bambini può essere opportuno il confronto con uno specialista che si occupi di fare un utile raccordo con la scuola. Si parla di un vero e proprio Disturbo dell’Attenzione/Iperattività (ADHD) per una sottocategoria di soggetti pari al 2% della popolazione pediatrica italiana, un disturbo infantile di origine neurobiologica, molto problematico e che tende a invadere tutte le sfere del vivere del bambino. Questi bambini non riescono a controllare le loro risposte all’ambiente, sono disattenti a volte anche iperattivi ed impulsivi compromettendo in maniera massiccia la loro vita scolastica e relazionale».
Che cosa occorre consigliare in questi casi ai genitori?
«Il consiglio che tendo a dare sempre ai genitori è, come ho già accennato, è di instaurare un utile dialogo con gli operatori scolastici, che possono fornire un contributo importante avendo anche loro l’opportunità di osservare per più ore il bambino in un contesto diverso da quello familiare. Suggerisco anche di rivolgersi ad uno specialista se si fa particolare fatica nel gestire le difficoltà, a volte anche solo temperamentali, dei propri figli, soprattutto se queste creano situazioni di frequente tensione in ambito familiare. Ciò infatti spesso finisce per creare un circolo vizioso esasperando certi atteggiamenti disfunzionali dei bambini.
L’espletamento dei compiti a casa, per esempio, spesso è terreno di scontro con il genitore. Questi bambini sono più distraibili, spesso necessitano di pause nel lavorare o di alzarsi e muoversi per un pò. Per questo motivo il confronto e l’accompagnamento di una figura esterna, per esempio, una persona amica o laddove ci siano le possibilità economiche, una tata, che lo supporti in alcuni momenti della giornata o un tutor per i compiti, con il quale spesso il bambino lavora meglio, può preservare un legame sereno con il genitore ed essere di aiuto.
E poi un ruolo fondamentale ce lo hanno le regole. A volte anche la mancanza di regole, o la difficoltà a farle rispettare possono creare grossi problemi di relazione. Perché le regole per i bambini, ancor più per quelli con temperamento più oppositivo o instabile, sono come un recinto protettivo e rassicurante, che permette loro di regolare con maggiore efficacia comportamento ed emozioni».
Come bisogna relazionarsi con questi bambini? Cosa è preferibile fare o evitare?
«I bambini imparano a regolarsi attraverso scambi con un adulto capace lui stesso di regolazione: mantenere la calma, favorire scambi in cui il bambino impari a non ottenere sempre o subito la gratificazione dei propri bisogni è fondamentale. Come è essenziale avere una ferma autorevolezza che non contempli però un eccesso di punizioni, ma faccia largo uso della ricompensa dei comportamenti funzionali e non dia troppo peso a quelli meno funzionali. Le punizioni e i castighi inducono il bambino alla lunga a uno stato di momentanea sottomissione e paura e non aiutano di certo a rafforzare la sua autostima. Quindi poiché questi bambini già faticano a costruirsi una buona autostima, pressarli troppo potrebbe indurli a a pensare di essere dei “cattivi bambini”, perché non riescono a soddisfare le aspettative dei loro genitori, e di tutte le figure adulte di riferimento che gravitano attorno alla loro vita nel quotidiano. Un rischio assolutamente da evitare perché li farebbe entrare progressivamente in un ruolo sempre più negativo che rischierebbe di divenire parte della loro identità. L’obiettivo, non sempre facile, è invece quello di aiutare il bambino a migliorarsi attraverso l’incoraggiamento e la fiducia. Incoraggiandolo per ogni obiettivo raggiunto. Se la scuola per il bambino non è “premiante” occorre creare contesti, ad esempio, quelli sportivi, all’interno dei quali lui possa sentirsi gratificato».
La situazione può peggiorare con il passare degli anni?
«Se quando occorre non si interviene con opportuni interventi educativi congiunti in ambito familiare e scolastico, con il consulto di uno specialista, certe situazioni possono peggiorare, specie con l’ingresso nella preadolescenza, fase già complessa di per sé della crescita. Può capitare che si strutturino problematiche comportamentali complicate, come disturbi della condotta o di tipo oppositivo-provocatorio. Frequente è anche la comparsa di disturbi dell’umore, in particolare di aspetti depressivi legati a un senso di sé molto fragile. Per questo appare essenziale cogliere i segnali del disagio dei questi bambini per tempo, quando molto di più, può essere fatto per supportarli nella crescita».
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