La recente indagine annuale sulle Medie imprese industriali italiane, realizzata da Mediobanca e Unioncamere, offre una istantanea molto interessante circa la salute delle imprese italiane. E in particolare di quelle famigliari che lavorano in settori peculiari quali quelli del made in Italy, della meccanica e del settore farmaceutico-cosmetico .
Negli ultimi 21 anni, le medie imprese familiari hanno rafforzato il proprio peso nella manifattura italiana: il loro valore aggiunto è cresciuto dal 12,4% al 18,6% del totale manifatturiero, il fatturato dal 14,6% al 19,8%, l’export dal 15,6% al 18,7%. Sono trainate dal made in Italy, che rappresenta il 61% del loro valore aggiunto, ma anche dalla meccanica (39% del valore aggiunto) e dal farmaceutico-cosmetico che vale il 15% e ha raggiunto la dimensione dell’alimentare e rappresenta una nuova eccellenza italiana. Il 94% delle medie imprese esporta destinando il 45% del fatturato ai mercati esteri, ma la base produttiva resiste alle sirene della delocalizzazione e resta italiana: ogni 4 siti produttivi in Italia uno solo è all’estero, per il 60% circa collocato nell’Unione Europea o in Nord America.
Il carico fiscale è ancora penalizzante seppur in alleggerimento
La tassazione resta penalizzante (32,3% contro 27,6% delle grandi imprese), ma il carico fiscale appare in alleggerimento (era al 40% nel 2011). Se le medie imprese avessero beneficiato dal 1996 del minore carico fiscale dell’ultimo anno, avrebbero risparmiato circa 16 miliardi di imposte, pari al 22% del proprio patrimonio.
Da chi sono gestite queste imprese?
Il 66,2% delle medie imprese familiari è gestito da organi monocratici o da soluzioni consiliari che prevedono un cumulo di cariche con deleghe, quota che scende al 42,7% nelle medie imprese non familiari. E aprire i board a membri non familiari fa bene: il roi sale dal 10% al 13%. I Baby Boomers, con età tra 53 e 72 anni, rappresentano la fascia generazionale più significativa nei board (46,9%), ma per motivi anagrafici nei prossimi anni una media impresa familiare su 4 sarà chiamata a rinnovare i ruoli di vertice nei propri Cda.
Le incertezze dello scenario economico a livello nazionale e internazionale hanno portato le medie imprese a subire una battuta d’arresto nel 2018, evidente attraverso un generalizzato peggioramento delle performance di mercato. Il 2019 si apre ancora carico di incognite: molte medie imprese stanno ad aspettare l’evoluzione del quadro economico, ma le previsioni rivelano un maggiore ottimismo rispetto ai risultati del 2018.
Oltre Venti anni di medie imprese (1996-2017)
Il grafico che segue rappresenta i trend di fatturato, valore aggiunto e occupazione tra il 1996 e il 2017 (dati stimati). Le medie imprese hanno raddoppiato le vendite e il valore aggiunto, segnando al contempo un incremento della forza lavoro superiore al 30%. L’export è cresciuto di 11 punti, dal 31% al 42%, ma le sole imprese esportatrici, che sono il 94% del totale, arrivano a vendere fuori confine il 45% del fatturato. Se tutte le medie imprese divenissero esportatrici in questa misura, si genererebbero 2,9 miliardi di maggiori esportazioni, pari a circa l’1% dell’export manifatturiero.
I settori più performanti? L’alimentare e il farmaceutico
L’analisi sui ventuno anni (1996-2016) consente di individuare i settori più dinamici e quelli in regresso. La crisi ha toccato con severità il settore dei beni per la persona e la casa il cui contributo al valore aggiunto delle medie imprese è caduto dal 28,3% al 18,5%; si sono contratti anche i comparti della carta e stampa (dal 5,5% al 4,7%) e della metallurgia (dal 5,7% al 4,9%). Tra le attività più brillanti si annoverano la meccanica (dal 35,6% al 39%), l’alimentare (dal 12,1% al 15,2%) e soprattutto il farmaceutico-cosmetico che, crescendo dal 10,5% al 14,9%, diventa rilevante come l’alimentare e si afferma come nuova eccellenza italiana. Il made in Italy mantiene la propria importanza seppure cedendo marginalmente (dal 63,1% al 61%).
Le medie imprese hanno avuto una crescita del 23,3% superiore a quella delle aziende di medio-grande dimensione (+8,5%)
Anche nell’ultimo decennio (2007-2017) le medie imprese hanno tenuto il passo, segnando una crescita del fatturato pari al 23,3%, di molto superiore alla manifattura di medio-grande e grande dimensione(+8,5%). Risultato possibile grazie al forte presidio dei mercati esteri, dove le medie imprese hanno realizzato una progressione del 42,6% contro il 25,9% dell’intera manifattura. Ha tenuto anche il mercato domestico (+11,6% sul 2007).
Cresce anche la base occupazionale, +12,6% dal 2007, mentre la manifattura ha ridotto gli organici del 5,2%, sostenuta dalla forte espansione della ricchezza generata: +32% il valore aggiunto delle medie imprese sul 2007.
Sono soprattutto le imprese esportatrici ad avere permesso il recupero dei livelli pre-crisi incrementando, tra il 2010 e il 2017, le vendite del 31%, il valore aggiunto del 36% e l’occupazione del 15% (contro rispettivamente i decrementi pari a 23%, 22% e 28% delle non esportatrici).
La imprese più tartassate le labour intensive
La fiscalità rimane penalizzante, con un tax rate che in media ha toccato il 32,3% nel 2016, ovvero circa cinque punti sopra quello dei gruppi maggiori (27,6%).
Ma vi sono evidenti segni di miglioramento: il peso dell’Irap è sceso sotto il 20% delle imposte complessive (il resto è Ires), 10 punti in meno dal 30% degli anni precedenti il 2013. Il tax rate si è così alleggerito di circa 8 punti dal picco del 40% nel 2011. La fascia di imprese più tartassata, quella delle imprese labour intensive a bassa marginalità, sostiene ancora un’imposizione pesante (48% circa), ma negli anni precedenti arrivavano a versare al fisco oltre il 90% dei propri utili. Se le medie imprese avessero beneficiato dal 1996 del minore carico fiscale dell’ultimo anno, avrebbero risparmiato circa 16 miliardi di imposte, pari al 22% del proprio patrimonio.
Proiezione internazionale ma base produttiva domestica
La base produttiva delle medie imprese resta prevalentemente in Italia. Il rapporto tra manifatturiere estere e italiane è passato dal 14,6% (una straniera ogni sette domestiche) al 26,2% (una ogni quattro). L’off-shoring è stato intenso fino al 2012, ma da allora la spinta alla delocalizzazione si è esaurita e le medie imprese aggrediscono i mercati esteri più con presidi commerciali e di assistenza post-vendita che non con impianti di produzione. Inoltre, le basi produttive estere non sono necessariamente collocate in Paesi a basso costo del lavoro: il 49% si trova nell’Unione Europea, il 10% nel Nord America, il 54% in Paesi in via di sviluppo, il 46% in economie mature.
I Board delle medie imprese. Un cantiere aperto?
Le medie imprese familiari hanno board molto asciutti, composti in media da tre soggetti e con una connotazione molto monocratica e solo tiepidamente collegiale. La gestione è affidata a un Amministratore unico nel 16% delle imprese mentre è ancora maggiore l’incidenza dei casi in cui la carica di Consigliere delegato si cumula con le altre: nel 39,4% delle aziende si combina con quella di Presidente, nel 10,8% con quella di Vice Presidente. Nel complesso quindi in oltre il 66% delle medie imprese le sorti sono nelle mani di una sola persona, contro poco più del 40% delle imprese non familiari. A questo tratto verticistico si abbina quello anagrafico: l’età media dei board delle medie imprese familiari è pari a 59 anni rispetto ai 56 anni delle medie imprese manageriali. Ma mentre la differenza tra i due gruppi è modesta se si guarda ai consiglieri semplici (56 anni contro 54), essa si amplia con riferimento alle cariche operative: 66 anni contro 59 nel caso del Presidente, 64 anni contro 59 se il Presidente è anche Amministratore Delegato, 63 anni contro 58 nel caso dell’Amministratore Unico. Ricorrendo alle categorie generazionali si evince che i componenti del consiglio a maggiore longevità (Over72) rappresentano il 17,5% delle posizioni, mentre i Baby Boomers, con età compresa tra i 53 e i 72 anni, sono la fascia generazionale più rappresentata (46,9%). Se si considera che circa 890 amministratori Over72 ricoprono un ruolo apicale (Amministratore Unico e Amministratore Delegato, anche in cumulo con la presidenza), si evince che una media impresa familiare su quattro sarà chiamata a rinnovare i propri ruoli di vertice in seno ai consigli, anche rivedendone la governance.
Medie imprese ferme nel 2018, confidenti (ma non troppo) nel 2019
Un 2018 complesso e un 2019 ancora pieno di incognite ma con alcuni segnali di maggior ottimismo. A mostrarlo sono i risultati della consueta indagine su un campione rappresentativo di medie imprese industriali italiane. Queste società, che nel 2017 hanno messo a segno l’incremento più elevato dal 2011 in termini di fatturato ed esportazioni, lo scorso anno hanno registrato una battuta d’arresto delle performance di mercato. La fascia di medie imprese che segnala crescite del fatturato supera ancora la quota di quelle che indicano difficoltà (25% contro 2%) ma si dimezza rispetto al 2017 (52%). Inoltre, si amplia notevolmente, arrivando a rappresentare circa i tre quarti del totale, la percentuale di medie imprese che ha registrato nel 2018 una sostanziale stabilità rispetto al 2017.
Una fiducia moderata accompagna le previsioni per il 2019. Aumenti del fatturato sono attesi, infatti, dal 32% delle medie imprese. Ancora molto consistente, però, la quota di società che ritiene di confemare i risultati dell’anno precedente: è pari a circa il 67% considerando l’andamento del fatturato, sale al 68% quando per quanto riguarda le attese relative all’export e arriva al 72% nel caso dell’occupazione.
Export a gonfie vele
La propensione all’export delle medie imprese si conferma decisamente elevata, tanto che la quota di aziende esportatrici si attesta al 91% e, nel 2018, il 44% del loro fatturato complessivo ha avuto origine dalle vendite sui mercati esteri. Per il 2019, il giro d’affari si mantiene ancora significativo ma potrebbe essere meno brillante del passato, a causa di una domanda mondiale non altrettanto sostenuta: il 32% delle medie imprese prevede quest’anno di poter espandere il proprio posizionamento di mercato all’estero, rispetto a un 68% che punta a riconfermare i risultati – non sempre brillanti – del 2018.
Incoraggianti sono però le previsioni delle medie imprese sui mercati maturi europei e, soprattutto, nordamericani, che rappresentano il primo mercato per nuove opportunità. Tra i mercati emergenti, la Cina continua ad avanzare nel portafoglio clienti delle medie imprese italiane, grazie a un brand “Made in Italy” particolarmente forte, soprattutto nei beni di consumo. Maggiore attendismo caratterizza invece il “mercato interno”, sia quello domestico (il 26% prevede un incremento degli ordinativi dall’Italia), sia quello dell’Unione europea, ancora oggi il mercato prevalente per il 74% delle imprese esportatrici. In Europa, la Germania la fa da padrona, ma qualche preoccupazione potrebbe venire da quel 27% di medie imprese che ha rapporti commerciali “stabili” con il Regno Unito, a causa delle incertezze sulla Brexit.
Imprese legate a doppio filo all’Italia
Forti nelle vendite all’estero, ma saldamente ancorate all’Italia: quasi la metà delle medie imprese (47%) non ha mai considerato di spostare le proprie produzioni all’estero, a fronte di un 39% che invece ha effettuato investimenti oltreconfine nell’ultimo triennio, attraverso imprese controllate o acquisendo partecipazioni. Investimenti che, comunque, hanno riguardato in misura molto contenuta l’apertura di impianti produttivi (28%) e, quindi, il diffondersi di processi di delocalizzazione all’estero. Decisamente più rilevanti sono, infatti, gli investimenti finalizzati a rafforzare la presenza commerciale (56%) o quelli relativi all’apertura di uffici di rappresentanza e show-room (10%).
Sempre più tecnologiche e digitali
Il 52% delle medie imprese dichiara di aver realizzato nel 2018 investimenti materiali o immateriali, che, nel 27% dei casi, cresceranno ulteriormente nel 2019. Forte l’attenzione alle opportunità offerte dal web per sostenere il business d’impresa. Lo strumento più diffuso è la vetrina del sito aziendale (adottata nella quasi totalità dei casi), ma avanza anche l’utilizzo dell’e-commerce per aumentare le vendite (46%): chi ricorre alle tecnologie digitali, nel 77% dei casi riesce a conseguire on line un fatturato pari a oltre il 10% del totale.
Procede anche l’evoluzione in ottica I4.0: il 51% delle medie imprese sostiene di essere in fase di applicazione più o meno avanzata di queste tecnologie innovative, con una punta del 20% che segnala di averle già ampiamente introdotte (era pari ad appena il 7% un anno e mezzo fa).
Le prime applicazioni hanno riguardato soprattutto la produzione (49% dei casi), i sistemi informativi aziendali (36%) e, in misura minore, la logistica e la gestione del magazzino (20%). Cresce anche l’applicazione di I4.0 nei rapporti con il mercato e con i clienti (26%), per monitorare e avere feed-back dalla domanda.
Complessivamente, le medie imprese si attendono grandi impatti dall’Impresa 4.0 sulle loro prestazioni. La maggioranza (42%) ipotizza un maggior successo economico, ma sono elevate anche le attese nei confronti del miglioramento delle competenze dei dipendenti (37%), dello sviluppo di nuovi prodotti (14%) e di attività di ricerca e sviluppo (13%). Fatta salva la necessità di intervenire diffusamente sulla formazione del personale, nel complesso l’Impresa 4.0 non dovrebbe, tuttavia, avere un impatto sull’occupazione ma, anzi, a giudizio degli imprenditori, comporterà un aumento dei dipendenti a maggior qualificazione e, di conseguenza, un incremento della produttività e dell’efficienza aziendale.
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