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AUTOSTIMA CHE COSA È, COME SI COSTRUISCE E SI PUÒ MANTENERE?


Chiara Pozzi, psicologa e psicoterapeuta infantile

di Francesca Valli

Troppa, poca, spesso può condizionare la vita, fin da quando siamo bambini. Difficile capire se ne abbiamo a sufficienza, finché non decidiamo di metterci sotto la lente di ingrandimento e fare i conti con noi stessi.

Per capire meglio quali sono le strade giuste da percorrere, What-u ha intervistato Chiara Pozzi, psicologa e psicoterapeuta infantile.

Cosa si può intendere per autostima? È una caratteristica in qualche modo innata e correlata a caratteristiche caratteriali dell’individuo?

«L’autostima è un costrutto complesso che riguarda il  valore di sé della persona nella sua globalità ed unicità, la consapevolezza dei propri punti di forza così come delle proprie fragilità nei diversi ambiti della propria vita.
La nostra autostima si costruisce principalmente nella nostra infanzia grazie, prima di tutto, dalle cure amorevoli dei nostri genitori, specie se sono capaci di promuovere in noi un “attaccamento sicuro”. Bowlby, uno dei più grandi psicoanalisti del ventesimo secolo, definisce questo stile di attaccamento come proprio di quei bambini sicuri nell’esplorazione del mondo grazie alla presenza di un genitore sensibile ai segnali del bambino.  Pensiamo che quando nascono i nostri piccoli sono incompetenti e completamente dipendenti da noi  genitori.  Quindi, il bimbo scopre prima di tutto, il valore di sé nel sentirsi amato e desiderato dai suoi genitori. D’altro canto, è anche vero che esistono bambini che hanno maggiore capacità di resilienza, cioè di resistere anche all’impatto emotivo negativo di eventi traumatici o  di situazioni familiari complesse preservando un’ immagine positiva di sé».

Ci sono altri presupposti o condizioni utili per fare crescere l’autostima di un individuo dalla nascita in avanti?

«Se partiamo dalle primissime fasi di vita, un genitore in grado di rispondere in modo sufficientemente adeguato agli sguardi e ai primi bisogni anche fisiologici del proprio bambino  manda già a lui un messaggio essenziale per riconoscersi come soggetto in grado di meritare amore. Nei primi anni di vita, poi, sarà essenziale sostenere quel naturale orgoglio di crescere del bambino stimolandone le prime autonomie, responsabilizzandolo con incarichi comunque alla sua portata ma che possano essere per lui una sfida . Troppe volte i genitori si sostituiscono ai figli , anche nell’espletamento dei compiti scolastici , ma il vero supporto alla crescita e all’autostima nasce quando il bambino conosce la fatica, si attiva per affrontarla e per selezionare le opportune strategie. Dobbiamo imparare a tollerare le loro fatiche e a rimanere a quella distanza ottimale per cui loro possano sentire comunque la nostra presenza». 

Come aiutare i ragazzi a costruire un’ immagine positiva, ma anche realistica di sé? 

«Questo aspetto è molto importante, ancora di più oggi dato l’irrompere dei social network nella vita dei nostri figli. Faccio riferimento, ad esempio, all’immagine di genere veicolata  in ambito televisivo, con modelli di perfezione fisica e sessualizzazione della  donna e di virilità fisica dell’uomo Occorre aiutare i nostri ragazzi a dare una lettura critica dei messaggi a cui sono esposti, ma anche stimolarli  a “muoversi” maggiormente nel mondo reale, fatto di relazioni con i pari. Certamente, da una certa età in poi, oltre ai genitori, in questa direzione, diventano essenziali anche altre figure educative, come l’ insegnante o l’ allenatore sportivo, per aiutare i nostri figli a scoprire i propri talenti e le proprie risorse, ma anche ad accettare la frustrazione dell’ imperfezione e dell’ errore. Purtroppo spesso in tali ambiti l’errore è considerato una colpa piuttosto che una possibilità di migliorarsi.  Non è infrequente osservare allenatori o insegnanti molto rigidi e punitivi che instillano un senso di vergogna rispetto all’errore o alla performance non eccellente. Rimaniamo sempre vigili rispetto anche  alle figure adulte che ruotano intorno ai nostri figli».

I ragazzi tendono a postare spesso immagini di sé sui social network o a proporre un’immagine falsata di sé. Quando dobbiamo preoccuparci in tal senso?

Occorre innanzitutto vigilare su come i nostri ragazzi utilizzano i social network; non possiamo lasciarli soli anche se tendono spesso a rivendicarlo. Oggi cinque adolescenti su dieci postano ciò che fanno o foto personali sui social network e nelle chat. Lo fanno  per lo più per mostrarsi e ricevere approvazione dai pari. Non avendo ancora una struttura identitaria profonda, postano un’immagine di sé, che a volte passa attraverso la pericolosa esposizione del proprio corpo, alla ricerca di consenso. Entro un certo limite, può essere una sperimentazione di sé importante. Quello che occorre tuttavia fare come adulti è sostenere la ricerca identitaria del ragazzo passando fuori dal social network, quindi in famiglia, nei rapporti con i pari. Occorre particolare attenzione se notiamo che nostro figlio pubblica commenti o immagini che rimandano ad un’immagine molto diversa rispetto a quella che abbiamo noi di lui. Talora infatti ciò può essere un segnale di una scarsa accettazione di sé o della presenza di un sé ideale puramente fantastico e sganciato dal sé reale del ragazzo.

I ragazzi tendono a postare spesso immagini di sé sui social network o a proporre un’immagine falsata di sé. Quando dobbiamo preoccuparci?

«Occorre innanzitutto vigilare su come i nostri ragazzi utilizzano i social network; non possiamo lasciarli soli anche se tendono spesso a rivendicarlo. Oggi cinque adolescenti su dieci postano ciò che fanno o foto personali sui social network e nelle chat. Lo fanno  per lo più per mostrarsi e ricevere approvazione dai pari. Non avendo ancora una struttura identitaria profonda, postano un’immagine di sé, che a volte passa attraverso la pericolosa esposizione del proprio corpo, alla ricerca di consenso. Entro un certo limite, può essere una sperimentazione di sé importante. Quello che occorre tuttavia fare come adulti è sostenere la ricerca identitaria del ragazzo passando fuori dal social network, quindi in famiglia, nei rapporti con i pari. Occorre particolare attenzione se notiamo che nostro figlio pubblica commenti o immagini che rimandano ad un’immagine molto diversa rispetto a quella che abbiamo noi di lui. Talora infatti ciò può essere un segnale di una scarsa accettazione di sé o della presenza di un sé ideale puramente fantastico e sganciato dal sé reale del ragazzo».

Quali sono gli atteggiamenti da evitare, invece, per aiutare l ‘ autostima dei nostri figli?

«Certamente, atteggiamenti troppo  rigidi o che umiliano il bambino possono già incrinare il suo senso di sé, anche quando è molto piccolo. Inducono spesso una veloce sottomissione  impregnando l’immagine di sé  in maniera spesso indelebile. Prediligiamo allora gli incoraggiamenti e di fronte a certe difficoltà o insuccessi, accompagnamoli  nello scoprire cosa possono migliorare di sé con delicatezza. Utile è spesso raccontare anche le nostre debolezze e non porci come modelli di perfezione per i nostri figli. Aiutare l’autostima dei minori non è semplice,  perché implica avere a nostra volta una buona immagine di noi stessi, accettare che nostro figlio cada senza perdere la fiducia che si possa rialzare. È bene anche evitare linee educative diverse tra i genitori, anche in caso di separazione coniugale, valorizzando, in particolare da una certa età in poi,  il rapporto con il genitore dello stesso sesso».

La presenza di un sé ideale può essere da stimolo alla crescita? 

«Certamente, è un importante indicatore il fatto che il bambino possa immaginare in un futuro di potersi realizzare nei vari ambiti della propria vita.  Spesso li osserviamo raccontarci le loro fantasie lavorative e non solo . Significa che c è in loro una spinta verso il futuro ed una positività nella visione di sé, nel potercela fare. Ci sono bambini che in ciò non riescono, proprio perché la loro immagine di sé è già connotata da emozioni di vergogna e di disvalore. Diverso è il discorso se il bambino struttura un’ immagine di sé ideale, spesso ipertrofica, come fuga da vissuti di inferiorità. Ciò appare spesso evidente in atteggiamenti anche relazionali incentrati sul disprezzo e l arroganza verso l’altro, come spesso si nota nei cosiddetti “bulli” in ambito scolastico».

Come riconoscere segnali di scarsa autostima e quando può essere il caso di rivolgersi ad uno specialista?

«Occorre essere degli osservatori attenti ed ascoltare anche ciò che gli altri adulti di riferimento osservano nei nostri figlioli, nei diversi contesti della loro vita. I bambini o i ragazzi con scarsa autostima possono evidenziare perfezionismo, ansia, spesso intensi sensi di colpa, elevata autocritica, emozioni ricorrenti di vergogna, sintomi psicosomatici.
Può essere normale avere momenti di scoraggiamento o sfiducia ma se tali vissuti appaiono pervasivi nei vari ambiti di funzionamento, forse è il caso di rivolgersi ad uno specialista per avere un confronto in merito. Si possono osservare umore irritabile o depresso, fino ad arrivare a movimenti di chiusura rispetto al mondo esterno. È un meccanismo protettivo che permette al minore di evitare il confronto con le sfide della vita che teme di non riuscire ad affrontare. È sempre meglio cogliere tali segnali prima dell’ ingresso in preadolescenza, fase già di per sé complessa per i ragazzi , in cui fragilità precedenti potrebbero sfociare in problematiche comportamentali più complesse. L’irrompere delle modificazioni corporee rischia di incrinare ulteriormente equilibri già instabili. Il corpo può essere vissuto come un qualcosa da nascondere e rispetto al quale provare vergogna». 

Ci sono delle situazioni di vita o dei fattori che possono predisporre più facilmente  a un’ autostima molto fragile?

«Certamente, ci sono situazioni familiari complesse, in cui  i bisogni fondamentali del minore di protezione e cura vengono violati. Se il bambino viene esposto a conflittualità di coppia, sperimenterà un vero e proprio terrore e sentimenti intensi di impotenza che spesso possiamo ritrovare anche in età adulta. Ci sono altre situazioni a rischio: i casi di divergenze educative molto forti, in cui il bambino o il ragazzo si ritrova spesso smarrito, confuso e solo nel cercare la propria strada, con il rischio, in adolescenza che manchi un recinto di protezione importante con possibile sviluppo di problemi comportamentali non indifferenti. Non parliamo poi delle separazioni in cui tra i coniugi continua a circolare rabbia e spesso i figli sono utilizzati come veicolo nella loro battaglia.  Si pensi ai figli mandati dal genitore con gli scontrini delle spese sostenute e la richiesta di avere la metà della spesa o ai genitori che richiedono implicitamente al figlio di controllare se l’ex coniuge ha un altro compagno. Altre volte, se un genitore è ancora molto sofferente, il figlio sente di doversi occupare di lui e anche ciò lo mette in una situazione di responsabilizzazione molto complessa.  Se nei bambini, in questi casi, possiamo osservare un aumento marcato dell’insicurezza, cali di umore o iperattività, nei ragazzi spesso si nota anche forte rabbia ed il rischio di comportamenti devianti. In tali casi, comunque, sono principalmente i genitori ad avere bisogno di un supporto. E per i nostri figlioli, in tali momenti,  sarà ancora più preziosa la presenza di una figura esterna supportiva: un nonno, un professore, un allenatore sportivo o un amico fidato. Da grandi, non potendo cancellare certo dolore, dovranno trovare modo di ripercorrerlo per capire che quella sofferenza non era legata alla loro essenza di bambini ma che è stato un difficile retaggio di chi ha cercato di prendersi cura di loro».



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