di Emanuele Giangi
Si è riaperto il caso Manuela Orlandi, una delle pagine di cronaca più dolorose e che hanno lasciato il segno nella memoria degli Italiani. Emanuela Orlandi, figlia di un commesso della Prefettura della casa pontificia, sparì il 22 giugno 1983 a Roma. Quello che all’inizio poteva sembrare un comune allontanamento volontario da casa di un’adolescente, si trasformò presto in uno dei casi più oscuri di cronaca che coinvolse lo Stato Vaticano, quello Italiano, l’Istituto per le opere di religione, la Banda della Magliana, il Banco Ambrosiano e i servizi segreti di diversi Paesi, insomma troppe istituzioni e organizzazioni importanti, con propaggini internazionali che resero le indagini una missione praticamente impossibile. Alla scomparsa di Emanuela fu collegata la quasi contemporanea sparizione di un’altra adolescente romana, Mirella Gregori, scomparsa poco prima di Emanuela, il 7 maggio 1983 e mai più ritrovata.
Aperte oggi, per cercare nuovi indizi, le due tombe nel cimitero del Vaticano
Stamattina, a distanza di 36 anni dalla scomparsa di Emanuela, era prevista l’apertura di due tombe nel cimitero Teutonico del Vaticano che avevano lasciato un filo di speranza. «Non ci sono sepolture e non ci sono ossa: le due tombe sono completamente vuote, è incredibile». Lo ha detto l’avvocato Laura Sgrò, legale della famiglia Orlandi, al termine delle operazioni di apertura delle due tombe nel cimitero Teutonico. «Le operazioni si sono concluse: una tomba è in fase di chiusura per l’altra è stato disposto l’ordine che resti aperta ancora per qualche ora. L’unica certezza – sottolinea Sgrò lasciando la città del Vaticano con Pietro Orlando – è che non ci sia nessun cadavere sepolto in nessuna delle due tombe. Siamo tutti quanti siamo rimasti tutti meravigliati di questa cosa». Giovanni Arcudi, professore di Medicina legale all’Università di Tor Vergata, incaricato di esaminare i reperti e prelevare i campioni per l’esame del Dna, in un’intervista al direttore editoriale dei media vaticani Andrea Tornielli aveva detto: “Da questa prima analisi delle ossa in merito alle operazioni che verranno effettuate domani possiamo proporre una datazione, certamente approssimativa, ma per i periodi che a noi servono, di 50, 100, 200 anni, la possiamo fare. Possiamo fare già la diagnosi di sesso. Potremmo anche arrivare, dopo questo primo esame, ad escludere l’ipotesi che i resti scheletrici appartengano a persone diverse da quelle che sono state sepolte lì”. Invece ancora una volta per la famiglia Orlandi si sono riaperte le porte del dolore, quello più straziante perché resta senza risposta e riscontri.
Cosa accadde
Il giorno della scomparsa, Emanuela si recò a lezione di musica attorno alle 16, per uscirne come di consueto attorno alle 19, dopodiché telefonò a casa, dove parlò con una delle sorelle riguardo a una proposta di lavoro che avrebbe ricevuto da un uomo, retribuita con la somma di 350 000 lire (equivalenti, paragonando il potere d’acquisto, a circa 500 euro odierni) per un lavoro di poche ore come promotrice di prodotti cosmetici di una nota marca durante una sfilata di moda nell’atelier delle Sorelle Fontana, di lì a pochi giorni; tuttavia, la sorella le sconsigliò di dar retta a una proposta simile e le suggerì di tornare quanto prima a casa per parlarne con la madre. Questo fu l’ultimo contatto che Emanuela ebbe con la famiglia. In seguito, fu accertato che la ditta di cosmetici in questione – che peraltro impiegava solo personale femminile – non aveva nulla a che vedere con l’offerta di lavoro fatta alla giovane e risultò anche che, nello stesso periodo, altre adolescenti dell’età di Emanuela erano state adescate da un uomo con il pretesto fasullo di pubblicizzare prodotti cosmetici in occasione di eventi quali sfilate di moda o altro. Dopo la telefonata, Emanuela raggiunse due compagne di corso, tali Maria Grazia e Raffaella alla fermata dell’autobus in Corso Rinascimento. A detta delle ragazze, Emanuela alluse a una proposta di lavoro molto allettante ricevuta e, messa in guardia da loro, disse che avrebbe chiesto prima il permesso di partecipare ai propri genitori e che avrebbe comunque fatto attenzione per evitare brutte sorprese. Attorno alle 19,30, prima Maria Grazia e poi Raffaella salirono su due autobus diversi dirette a casa, mentre, a detta di Raffaella, Emanuela non salì a sua volta sul mezzo pubblico perché troppo affollato e disse che avrebbe atteso quello successivo. Da questo momento, della ragazza si perdono le tracce. Secondo un’altra versione, dopo la telefonata Emanuela confidò a un’amica e compagna della scuola di musica, Raffaella, che sarebbe rimasta ad attendere l’uomo che le aveva fatto l’offerta per avvisarlo che avrebbe chiesto prima il permesso di partecipare ai propri genitori. Raffaella dichiarò che Emanuela l’avrebbe accompagnata alla fermata dell’autobus, lasciandola alle 19,30 per salire sul mezzo pubblico. L’amica poi riferì di aver visto dal finestrino che Emanuela parlava con una donna dai capelli ricci che non fu mai identificata, anche se alcuni suggerirono che si trattasse con ogni probabilità di qualche altra allieva della scuola di musica.
Tante le proposte finalizzate a ottenere la liberazione della ragazza, ma senza una valida conclusione
Dallo scambio con Mehmet Ali Ağca, l’uomo che aveva sparato al Papa in Piazza San Pietro un paio di anni prima, che prevedeva la liberazione di quest’ultimo in cambio di quella di Emanuela, all’ipotesi di un altro tipo di baratto proposto dalla Banda della Magliana che invece avrebbe previsto la restituzione del denaro investito nello IOR attraverso il Banco Ambrosiano, come ipotizzato dal giudice Rosario Priore, in cambio della liberazione della Orlandi. Probabilmente oggi con la chiusura della tombe trovate vuote si è chiuso anche l’ultimo filo di speranza della famiglia Orlandi.
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