di Matteo Ciacci
“Oggi ricordiamo il giudice Borsellino, ucciso 27 anni fa assieme agli agenti della scorta. Le sue parole e il suo coraggio sono sempre vivi nella nostra memoria, nella nostra coscienza. Ricerca della verità e contrasto alle mafie sono per noi un imperativo, un impegno quotidiano”, ha scritto il premier Conte stamattina su Facebook. Il presidente del Governo proprio 2 giorni fa, sempre su Facebook, aveva espresso il suo compiacimento per la desecretazione di tutti i lavori dei giudici del pool antimafia. “Oggi la Commissione parlamentare Antimafia ha desecretato tutti gli atti dei suoi lavori fino al 2001, offrendo così un patrimonio prezioso all’intera collettività. Grazie a questa scelta di trasparenza, oggi possiamo riascoltare le parole amare del giudice Paolo Borsellino e la sua denuncia in anni cruciali per la lotta alla mafia. Le sue parole potranno risuonare nelle coscienze di tutti noi. La decisione dell’Antimafia è un passo importante, utile a consolidare il rapporto di fiducia tra le istituzioni e i cittadini, a pochi giorni dall’anniversario della strage di via D’Amelio. È un bel segnale affinché nessuno sia lasciato solo nella lotta contro la mafia”.
Peccato che dalle parole ai fatti, non ovviamente quelle di Conte, nel passato si fosse creato un vuoto incolmabile che Falcone e Borsellino cercarono di coprire facendosi carico di una mole di lavoro divenuta quasi impossibile da portare avanti anche per due eccellenti magistrati come sono loro. A un certo punto abbandonati a se stessi e al loro destino. Queste le parole di Borsellino in una vecchia audizione quando venne convocato dalla Commissione antimafia. “Voglio sottolineare – dice Borsellino alla Commissione antimafia nel 1984 – la gravità dei problemi di natura pratica che ogni giorno dobbiamo affrontare. Con la gestione dei processi di mole incredibile, è diventato indispensabile l’uso di attrezzature più moderne, come i computer: il pc è finalmente arrivato ma non sarà operativo se non tra qualche tempo, ci sono problemi gravi di installazione, è stato messo in un camerino. Deve servire per la gestione dell’enorme processo che stiamo portando avanti. E’ indispensabile, c’è una mole di dati incredibile, il processo impegna ben 4 magistrati. Non bastano più le rubriche artigianali”. “Quanto al personale – prosegue il magistrato – non si tratta solo di dattilografi e segretari di cui avremmo bisogno di aver garantita la presenza per tutta la giornata, non solo per la mattinata; ma mi riferisco anche agli autisti giudiziari: la mattina con strombazzamento di sirene la gran parte di noi viene accompagnata in ufficio dalle scorte ma il pomeriggio c’è una sola macchina blindata e io sistematicamente vado in ufficio con la mia auto per poi tornare a casa verso le 21-22”. “La libertà la riacquisto – dice infine Borsellino rispondendo ad un esponente della Commissione – ma non vedo che senso ha perdere la libertà la mattina per essere libero di essere ucciso la sera”.
Oggi alla cerimonia nella città siciliana, per commemorare papà Paolo, la figlia Fiammetta è arrivata ma è rimasta solo pochi minuti. La sua rabbia per quello Stato che suo padre ha servito al costo della morte l’ha raccontata in un’intervista sul Quotidiano del Sud, parlando della lettera ricevuta alla vigilia della morte del padre dall’ex pg della Cassazione Riccardo Fuzio coinvolto nell’inchiesta sulle nomine pilotate nelle procure: “Non ha fatto niente per individuare i colpevoli del depistaggio. Non ha mai indagato perché era occupato a pilotare nomine“, ha detto. “Una lettera”, continua la Borsellino, “che vengono i brividi a leggerla, che mi indigna e che indignerebbe anche mio padre e tutti i magistrati”. L’ex procuratore Fuzio le aveva scritto di non essere riuscito a far nulla per avviare un’indagine per l’azione disciplinare nei confronti dei pm coinvolti nell’inchiesta sul depistaggio, indagati dalle procure di Messina e Caltanissetta, perché era impegnato in altre vicende giudiziarie. “Quali lo abbiamo scoperto in queste ultime settimane”, ha proseguito la Borsellino, “perché era occupato a pilotare con Luca Palamara le nomine dei procuratori di Roma, Torino ed altre procure”. L’attentato, di stampo mafioso, organizzato per Borsellino avvenne quasi due mesi dopo a quello organizzato per Giovanni Falcone il 23 maggio 1992, rimasto ucciso nella strage di Capaci. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato l’anniversario della morte di Borsellino scrivendo una breve nota: “Nel ventisettesimo anniversario della strage di via D’Amelio, in cui persero la vita, insieme a lui, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, rivolgo nei loro confronti un pensiero commosso e rinnovo la solidarietà ai loro familiari, tra i quali, per il primo anno, manca Rita Borsellino che ne ha continuato in altre forme lo stesso impegno. Rimane forte l’impegno per Paolo Borsellino, e per tutte le vittime di mafia, di assicurare, oltre al tributo doveroso della memoria, giustizia e verità”.
19 luglio 1992 che cosa accadde…
Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D’Amelio, dove vivevano sua madre e sua sorella Rita. Alle 16:58 una Fiat 126 imbottita di tritolo, che era parcheggiata sotto l’abitazione della madre, detonò al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, scampato perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.
Il 24 luglio circa 10.000 persone parteciparono ai funerali privati di Borsellino. I familiari rifiutarono il rito di Stato: la moglie Agnese accusò il governo di non aver saputo proteggere il marito, e volle una cerimonia privata senza la presenza dei politici, celebrati nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, disadorna e periferica, dove il giudice era solito sentir messa, quando poteva, nelle domeniche di festa. L’orazione funebre fu pronunciata da Antonino Caponnetto, il vecchio giudice che aveva diretto l’ufficio di Falcone e Borsellino: «Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi». Pochi i politici: il presidente Scalfaro, Francesco Cossiga, Gianfranco Fini, Claudio Martelli. Il funerale commosso e composto, venne interrotto solo da qualche battimani. Qualche giorno prima, i funerali dei 5 agenti di scorta si erano svolti nella Cattedrale di Palermo, ma all’arrivo dei rappresentanti dello Stato, compreso l’ex Presidente della Repubblica Italiana, Oscar Luigi Scalfaro, una folla inferocita sfondò la barriera creata dai 4.000 agenti chiamati per mantenere l’ordine, e si mise a gridare: “Fuori la mafia dallo Stato”. Il Presidente della Repubblica venne tirato fuori a stento dalla calca, venne spintonato anche il capo della polizia. La salma di Borsellino è stata tumulata nel Cimitero di Santa Maria di Gesù a Palermo.
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