di Peter O’Sullivan
C’era da aspettarselo che poco prima dell’arrivo di settembre, mese in cui era previsto lo scatto di altri dazi, Pechino non restasse solo a guardare gli affondi di Trump. Difatti l’annuncio dell’imminente varo di nuove tariffe sull’importazione di prodotti statunitensi per 75 miliardi di dollari, comunicato dal Comitato per la politica doganale del Consiglio di Stato cinese, che ha colto Trump alla sprovvista, lo ha fatto andare su tutte le furie, costringendolo a organizzare una riunione lampo con la sua squadra commerciale nell’ufficio ovale prima di partire per la Francia per il G7 (N.d.R.: di oggi). Funzionari dell’amministrazione, tra cui il rappresentante commerciale degli Stati Uniti Robert Lighthizer, il consulente Peter Navarro e il segretario al tesoro Steve Mnuchin, di ritorno dalle vacanze, (che si è unito alla conversazione via telefono) hanno così discusso delle possibili opzioni alle ritorsioni cinesi.
L’aumento delle tariffe imposte dai cinesi oscilleranno tra il 5 e il 10% e verranno introdotte in due fasi, il 1° settembre e il 15 dicembre, in corrispondenza con il varo dei dazi annunciati Trump sulle importazioni di prodotti cinesi per 300 miliardi di dollari. Il Global Times scrive che questa è la risposta alla politica unilaterale e di protezionismo commerciale degli Stati Uniti, auspicando la soluzione del conflitto commerciale “sulla base del rispetto reciproco, dell’uguaglianza e dell’affidabilità nelle parole e nelle azioni”. Ma la rabbia di Trump è incontenibile, e nelle prime invettive prima chiede alle aziende americane di tagliare i ponti con Pechino e poi torna all’attacco con l’aumento dei dazi: “La Cina non avrebbe dovuto introdurre nuove tariffe su prodotti americani per 75 miliardi di dollari. A partire dal primo ottobre, beni e prodotti cinesi per 250 miliardi, attualmente con tariffe al 25%, saranno tassati al 30%”, scrive su Twitter. “Inoltre”, aggiunge Trump, “i rimanenti beni e prodotti cinesi per 300 miliardi di dollari, che dal primo settembre sarebbero stati tassati al 10%, saranno tassati al 15%. Grazie per la vostra attenzione su quest’argomento”. Ieri la guerra dei dazi tra Usa e Cina ha fatto sprofondare le Borse. Wall Street ha archiviato la sua peggior seduta dallo scorso 14 agosto, con il Dow Jones che ha bruciato 623 punti con un calo del 2,4%. E Trump, che oggi già arrivato in Francia per il G7, se l’era presa anche con Jay Powell alla guida della Fed, (Federal Reserve System, conosciuto anche come Federal Reserve), la banca centrale degli Stati Uniti d’America al quale ha beffardamente attribuito la caduta di Wall Street di 573 punti per non essere riuscito a tagliare abbastanza i tassi d’interesse : “…La mia unica domanda è: chi è il nostro più grande nemico, Jay Powell o il presidente Xi“. E poi ha aggiunto: ” “Il nostro Paese ha perso centinaia di miliardi di dollari all’anno a causa della Cina e tristemente le precedenti amministrazioni hanno consentito alla Cina di andare cosi’ avanti… Come presidente non posso più consentire che ciò accada e con la volontà di ottenere un commercio equo dobbiamo equilibrare questa relazione commerciale squilibrata. “Non ho scelta”, ha detto ieri sera ai giornalisti della Casa Bianca, “non perderemo quasi un trilione di dollari all’anno in Cina. I dazi stanno funzionando molto bene per noi. La gente non lo capisce ancora”.
Poi il presidente ha attaccato la Fed per non aver abbassato i tassi durante in una riunione informale a Jackson Hole, nel Wyoming. Powell, parlando con i banchieri centrali, ha dato vaghe garanzie che la Fed avrebbe agito per sostenere l’espansione economica della nazione, ma ha osservato che la banca centrale disponeva di strumenti limitati per affrontare i danni causati dalla controversia commerciale.
“È impossibile per le aziende pianificare il futuro in questo tipo di ambiente”, ha affermato David French, vice presidente senior delle relazioni governative presso la National Retail Federation. “L’approccio dell’amministrazione chiaramente non funziona”.
E ai tweet di Trump di venerdì nei quali Trump dichiarava dichiarava: “Alle nostre grandi aziende americane verrà ordinato di iniziare immediatamente a cercare un’alternativa alla Cina, incluso portare … le tue aziende a casa e realizzare i tuoi prodotti negli Stati Uniti”, il ministero delle finanze cinese, ha risposto dicendo che proseguirà la guerra innescata da Trump anche con i dazi all’importazione precedentemente rinviati su auto e ricambi di fabbricazione americana.
Se sia realistico o meno uscire dalla seconda economia più grande del mondo a Trump poco importa. Ma le proteste di chi commercia con la Cina si fanno sentire sempre di più e a gran voce. Jay Foreman, CEO di Basic Fun !, una società di giocattoli della Florida che importa dalla Cina, scrive Ap, ha dichiarato che la richiesta di Trump alle società americane di non fare più affari con la Cina, è stata scandalosa, “una dichiarazione senza precedenti per un presidente quando non c’è alcun problema di sicurezza nazionale”, ha detto. Ap sottolinea anche che BMW, Tesla, Ford e Mercedes-Benz saranno probabilmente i più colpiti dalle tariffe automobilistiche cinesi. Nel 2018, la BMW ha esportato circa 87.000 SUV di lusso in Cina da uno stabilimento vicino a Spartanburg, SC . e assieme, Ford, BMW, Mercedes e altri hanno esportato circa 164.000 veicoli in Cina dagli Stati Uniti nel 2018, secondo il Center for Automotive Research. Tesla, che sta costruendo un impianto in Cina, lo scorso anno ha ottenuto circa il 12% delle sue entrate esportando circa 14.300 auto elettriche e SUV dalla California alla Cina. La maggior parte delle esportazioni Ford proviene dal marchio di lusso Lincoln, ma la maggior parte dei veicoli che vende in Cina sono realizzati in fabbriche di joint-venture. Una guerra commerciale senza precedenti che molti temono diventi involutiva per gli Usa che potrebbe correre il rischio di una prossima recessione. Sempre nella giornata di ieri Trump, ha scritto anche un tweet per il Brasile: “Ho appena parlato con il presidente Jair Bolsonaro. Le nostre prospettive commerciali sono entusiasmanti e il nostro legame è forte, forse più di sempre. Gli ho detto che se gli Usa possono aiutare il Brasile con gli incendi dell’Amazzonia, siamo pronti ad assisterli!”
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