di Martina Migliavacca
Ci sono dei momenti della vita, durante i quali è possibile perdersi, e il riferimento non è all’innamoramento, ma a quella sensazione che si prova quando ci sente un pesce fuor d’acqua, quando le nostre sicurezze vengono meno perché tutto ci sembra cambiato attorno a noi, anche le persone per le quali prima avremmo messo una mano sul fuoco. Sul lavoro e nella vita privata. Oppure per l’esatto contrario ossia perché maturiamo dentro di noi la necessità di cambiare solo alcune cose e poi quella di cambiare sempre di più il nostro stile di vita, prendendo le distanze da quello vecchio che viviamo ogni giorno che passa come un paio di scarpe strettissime. Di che cosa si tratta? Di una crisi esistenziale che non va minimizzata, ma nemmeno si deve mettere sotto farci sentire sotto scacco. Per capire come comportarsi e cosa fare per trovare la via giusta da intraprendere What-u ha intervistato Silvia Penati, psicologa e psicoterapeuta. «Di prassi per nostra consuetudine attribuiamo al temine “crisi” un fondo di negatività in considerazione dei vissuti dolorosi di ansia e incertezza», spiega … «invece i giapponesi scrivono la parola “crisi” affiancando i due ideogrammi: pericolo e opportunità“, un bel dilemma da risolvere, perché la crisi, in un’accezione ottimista, e di questo ce ne accorgiamo solo quando la crisi è ormai alle spalle, può costituire un’utile opportunità per una rinascita e un rinnovamento del sé», spiega Penati.
Che cosa è una crisi esistenziale?
Una crisi esistenziale si determina per l’imprevista irruzione nella nostra vita di nuovi fattori che sovvertono la nostra realtà; è come se i punti di riferimento, sui quali ci basavamo fino a quell’istante, venissero bruscamente spazzati via. Ci chiediamo: “ E adesso che faccio? In che direzione mi muovo? ”, mille dubbi e domande affollano la nostra mente. Pensiamo ad esempio, alla scoperta di un tradimento sentimentale all’interno di una coppia o o ad aspetti scomodi derivanti dalla rapida evoluzione di crescita di nostro figlio: dal bambino affettuoso e amorevole che era, ci ritroviamo davanti un preadolescente scontroso e lunatico. In entrambi i casi, crisi di coppia e crisi adolescenziale, viene sovvertito lo status quo e l’adattamento cui si era pervenuti nel tempo.
Come si fa a riconoscerla?
Le nostre emozioni si destabilizzano, virano verso la malinconia, la confusione e soprattutto l’ansia per un futuro che non ci appare più né prevedibile, né controllabile, quanto piuttosto incerto e nebuloso. Davanti al ribaltamento delle nostre sicurezze restiamo attoniti, disorientati (freezing) dal vortice di emozioni: sorpresa, smarrimento, dubbio, sconforto, impotenza. Anche il nostro corpo, che spesso capisce prima della mente, ci invia segnali inequivocabili: difficoltà di addormentamento, risvegli frequenti e successiva difficoltà a riprender sonno, inappetenza, astenia, sensazione di cerchio alla testa. Il linguaggio comune definisce questo malessere con il termine di “ esaurimento nervoso”, prevale il desiderio di ritirarsi dalla vita sociale, come un animale ferito che si rintana per proteggersi. La vita quotidiana diventa pesante perché le nostre energie mentali sono assorbite interamente dal nostro “problema”, la mente valuta e rimugina possibili strategie per recuperare sicurezze, che in ogni caso, non torneranno mai più quelle precedenti. Chiediamo aiuto alle persone a cui teniamo di più e che coinvolgiamo in discorsi monotematici riferiti a quello che ci attanaglia la mente, alla ricerca di rassicurazione, un consiglio, una soluzione, una luce in fondo al tunnel che ci risollevi dal baratro in cui brancoliamo .
Perché succede?
I momenti di crisi sono connessi alle sfide che normalmente si affrontano nelle varie tappe di crescita. Le persone devono affrontare e risolvere dei compiti evolutivi: momenti di ” transizione chiave ”, passaggi cruciali come l’ingresso in famiglia di nuovi membri ( matrimonio, nascite, adozioni), perdita ( morti, separazioni, malattie gravi, fallimenti economici), costruzione di nuovi rapporti col mondo sociale (inserimento scolastico dei figli o personale nel mondo del lavoro) o cambiamenti più sfumati, come la transizione alla condizione adulta. Tutto ciò sollecita la ricerca di nuovi equilibri e organizzazioni. Quando si transita da una fase evolutiva ad un’altra, si determina dapprima un periodo di disorganizzazione in cui si reagisce in modo disfunzionale e caotico. A ciò segue un periodo di ricerca di una soluzione. Poi si perviene ad una riorganizzazione. Diversamente, la crisi può protrarsi in una posizione di stallo o impasse paralizzante. Quando ciò avviene si può scivolare verso vissuti depressivi che tendono a cronicizzarsi e che possono necessitare di un supporto psicologico e /o farmacologico.
Quali sono i soggetti più predisposti? Ne sono soggetti più le donne o gli uomini?
Le donne sono in genere più predisposte a vivere stati di crisi perché sono più sensibili ed emotive e dunque maggiormente esposte a situazioni di fragilità. I motivi che determinano una crisi femminile sono sovente riferibili all’area affettiva, ad esempio la fine di una relazione sentimentale o un figlio che ci delude, a seguito dei tanti sforzi educativi e dell’investimento affettivo. Sul piano biologico, poi, la donna attraversa delle fasi connesse al ciclo ormonale, come il menarca, il puerperio, la menopausa, in questi casi il rischio è di cadere nella depressione post partum e la menopausa, che di per sé richiedono un riadattamento non solo fisiologico, ma anche psicologico. Per gli uomini la crisi tende spesso si origina nell’area del lavoro: una delusione professionale, un’aspettativa di crescita mancata, uno scarso riconoscimento dopo tanti anni di impegno e sacrificio (il cosidetto burn out) . Anche l’uscita dal mondo del lavoro e il conseguente pensionamento, possono rappresentare una fase di crisi, a meno che la persona non abbia saputo costruire valide alternative ,come vedremo dopo (giardinaggio, sport, hobby, volontariato, seguire i nipotini). L’identità maschile, infatti, nonostante il cambiamento avvenuto della nostra società, che vede la donna sempre più dedita al lavoro, a seguito di brillanti studi, si individua ancora molto nel conseguimento del successo professionale ed economico.( Ad es. prova ne è il fatto che non molti gli uomini accettano di buon grado che la moglie percepisca uno stipendio superiore al proprio).
Il comune denominatore che lega tutti?
Per tutti, infine, l’invecchiamento rappresenta una fase delicata, percepirsi rallentati nella mente e nel corpo, constatare di non riuscire più a reggere i ritmi di una volta, può avviare sentimenti di malinconia, come se la vita non avesse più in serbo per noi prospettive e dovessimo solo tirare i remi in barca. Invecchiare è un privilegio riservato a pochi, dunque anche questa fase di vita può risultare gratificante, soprattutto perché, dopo tanti anni di lavoro , si può disporre di tempo per sé . Non solo le persone, ma anche le famiglie attraversano momenti di crisi. Ne è un esempio la transizione alla genitorialità, evento critico legato alla nascita dei figli, che comporta per la coppia la necessità di affrontare e superare numerosi compiti di sviluppo: creazione e definizione del ruolo genitoriale, cambiamento nella relazione di coppia, adattata alle nuove esigenze, ridefinizione dei rapporti con la generazione precedente, ovvero rispetto ai genitori della coppia stessa.
Esistono dei periodi di età più a rischio? E perché?
Durante la cosiddetta crisi evolutiva adolescenziale i ragazzi, per esempio, sono impegnati nel delicato compito di ricercare una nuova identità, definire nuove forme relazionali, esterne alla famiglia, imparare ad accettare, “mentalizzare”, un corpo in veloce cambiamento, con la relativa scoperta della sessualità (N.d.R: l’identità di genere che non è detto che corrisponda all’identità biologica). Questa fase di cambiamento comporta nel giovane incertezza e turbamento che spesso possono portare a una crisi esistenziale.
Una crisi di questo tipo è l’anticamera della depressione oppure può arrivare anche se non si è depressi?
Una crisi non costituisce assolutamente l’anticamera della depressione, ma un momento di impasse che una volta superato può addirittura rinforzarci e indirizzarci verso obiettivi proficui.
Come si può superare la crisi ?
La parola chiave è resilienza. Si tratta di un concetto mutuato dall’ambito scientifico, secondo cui un corpo è in grado di conservare la forma, nonostante le pressioni subite (N.d.R.: per lo stress). In termini psicologici, è la capacità di resistere, superare, prosperare dopo una profonda avversità, andare avanti senza arrendersi nonostante le difficoltà, persistere nel perseguire obiettivi sfidanti, mantenendo salda la motivazione. Essere consapevoli dei nostri punti di forza e delle nostre qualità positive ingenera una maggiore padronanza nel condurre la propria vita.
Le caratteristiche del resiliente
- è ottimista perché legge gli eventi negativi come momentanei e circoscritti
- consapevole di avere ampio margine di controllo degli eventi della propria vita e ambiente
- fortemente motivato a raggiungere obiettivi prefissati, perseverante nei compiti
- interpreta il cambiamento come sfida e opportunità, curioso, aperto nuove esperienze (piuttosto che come minaccia)
- di fronte a sconfitte ha abitudine alla speranza,pensiero positivo verso futuro
- tollera la frustrazione, non scoraggiabile
- crea una rete sociale: relazioni strette e tendenzialmente estroversi
- dispone di una maggiore apertura mentale ed elevata autostima
C’è il rischio di recidiva?
Certo, il rischio è sempre in agguato, soprattutto se tendiamo a mantenere nei confronti della vita e del futuro un atteggiamento poco flessibile e rigido.
Come si fa di prassi a ritrovare la direzione “per noi ideale” della nostra vita?
La psicologia positiva ha individuato delle “risorse generali di resistenza“ fisiche, psichiche, interpersonali, socioculturali: un potenziale di cui dispongono gli individui, una sorta di competenza di superamento per affrontare in maniera costruttiva tensioni e difficoltà. Se sapremo mobilitare le nostre “risorse di resistenza”, imparare a guardare al cambiamento come a una stimolante opportunità, anziché una minaccia, conservare un atteggiamento positivo verso la vita, preservare l’ottimismo, mantenere l’attitudine alla speranza, sapremo oltrepassare la crisi. fondamentale prendere coscienza del proprio funzionamento, poiché la consapevolezza delle nostre risorse positive genera forza e permette alla persona di meglio gestire al crisi, esercitando un adeguato controllo della componente emotiva . La dimensione positività, intesa come soddisfazione della propria vita, orientamento positivo verso gli altri e verso il futuro, ha effetti preventivi e terapeutici: potenzia il sistema immunitario, allunga la vita, motiva a mettere in atto comportamenti flessibili, adattivi e sani.
Ecco alcune teorie analizzate in studi della psicologia positiva o del benessere, filone recente della psicologia che intende prevenire il disagio anziché curarlo a posteriori
Broaden and build theory ( Isen, 2000)
Le emozioni positive ampliano le potenzialità cognitive delle persone, costruiscono le loro “risorse di sopravvivenza” , fungono da segnale interno che spinge all’apertura e all’esplorazione dell’ambiente e alla prosecuzione di un’attività . Le risorse che si accumulano durante le esperienze positive sono durature.
Ipotesi di neutralizzazione: ( Fredrickson,2001)
Le emozioni positive possono influenzare e modificare effetti successivi di emozioni negative- anche in caso di avversità di grado elevato ( es. Dopo il crollo delle Torri gemelle si riprendevano prima i superstiti che sapevano sperimentare emozioni positive), funzionano come una sorta di antidoto in grado di regolare e lenire conseguenze negative e stressanti a lungo termine delle emozioni negative ( es. a livello fisiologico riducono livello di attivazione cardiovascolare ).
Antonowsky (1923 – 1994) ha individuato le “cause di salute” (salutogenesi ), ovvero le condizioni che ci permettono di elevare il nostro livello di benessere. Lo studioso aveva incontrato in Israele donne sane di oltre 60 anni, sopravvissute ai traumi dei campi di sterminio, che manifestavano segni esemplari di salute e apparivano del tutto integre sotto il profilo psicofisico. Ricercando i fattori che avevano consentito loro di sopravvivere, l’autore riscontrò nelle persone analizzate la capacità di mantenere nel tempo una resistenza alle avversità. Come diceva Nietzsche :“ Se hai un perché puoi resistere a qualsiasi come”.
PAROLA D’ORDINE: FLESSIBILITÀ
Un elemento essenziale per superare la crisi è la flessibilità , la capacità, cioè, di non irrigidirsi su un’unica strategia, bensì riuscire a modificarla, qualora si dimostri inefficace e disadattiva. Charles Darwin diceva :“ Non sopravvive la specie più forte, ma quella più adattabile al cambiamento”. Animali preistorici come il coccodrillo o lo squalo sono sopravvissuti fino ad oggi perché estremamente flessibili, hanno imparato a nutrirsi di ogni cosa e ad adattarsi ai diversi climi. Del resto, anche la specie umana ha saputo superare epidemie, calamità naturali, guerre e avversità di ogni tipo, dimostrando risorse al di là di ogni limite.
Ulteriori soluzioni adattive per fronteggiare la crisi
- trovare aree di rinforzo e benessere ( viaggi , praticare sport e hobby, rilassamento, mindfulness e yoga, fare volontariato). Le persone infatti possono aumentare il loro benessere psicologico e la loro salute fisica coltivando esperienze di emozioni positive per affrontare successivamente esperienze negative. E’ come se formassimo una sorta di “tesoretto” personale cui attingere in momenti di difficoltà.
- approcciarsi alle varie situazioni sviluppando il senso dell’umorismo, attribuire il giusto peso alle cose , saper osservare le situazioni da una giusta distanza ,come se le stesse vivendo un nostro amico (Molto probabilmente gli diremmo : “ non prendertela così, su ,dai, è una crisi passeggera, sono altre le cose che contano, hai già superato momenti ben peggiori…”).
- Imparare a controllare la sfera emotiva ci mantiene più lucidi e razionali nella decisione: a volte, infatti, drammatizziamo le situazioni di vita, perdendo di vista la realtà. ( ad es. ci sono persone che vanno in crisi anche solo per fare i necessari controlli sanitari preventivi)
- guardare al futuro con fiducia, mantenendo un margine di speranza (“learned hopefulness “ Zimmerman, 2000), consapevoli di poter esercitare un controllo sugli eventi e di indirizzarli verso gli esiti sperati.
- Costruire una rete relazionale di supporto e protezione, coltivando amicizie che si dimostrino nel tempo realmente solide
- Essere lungimiranti nel prevenire alcune crisi ( ad es. la crescita dei figli o l’uscita dal mondo del lavoro) intercettando a monte nuove chiavi di lettura, evitando di farci cogliere impreparati.
Non possiamo eliminare il dolore o modificare alcune situazioni esistenziali, possiamo solo subirle e imparare a entrare in contatto con le nostre emozioni, passando attraverso la sofferenza. Disperarsi dopo un lutto doloroso è una reazione sana, poi con il tempo la mente riesce a elaborare questo fatto naturale e a integrarlo alla coscienza. Citando una parafrasi di Carofiglio (tratta dal suo splendido libro “Il silenzio dell’onda”), quando l’onda ci travolge non possiamo che constatare la nostra impotenza, inutile lottare, siamo destinati a finire nel vortice, poi, una volta usciti dalla corrente, potremo risollevarci e, pur con qualche graffio, tornare di nuovo sulla cresta dell’onda.
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