di Colin Anthony Groves
Non c’è pace nel Regno Unito. Ieri dopo la firma della regina, il cosiddetto Royal Assent, sulla legge anti-no deal, promossa dal fronte contrario alla linea di Boris Johnson sulla Brexit, ultimo passaggio chiave per il completamento del suo iter c’è stato un grande fermento alla Camera dei Lord. Il testo, che mira a imporre al primo ministro la richiesta di un rinvio dell’uscita del Regno Unito dall’Ue oltre il 31 ottobre in caso di mancato accordo con Bruxelles, ora in vigore non darebbe tante vie di scampo al premier Boris Johnson perché non rispettando questa legge rischierebbe il carcere, con vari capi di imputazione. Unica via di uscita per lui le elezioni e difatti è proprio su questo versante che il premier Tory continua a battere chiodo in Parlamento. Ne ha parlato proprio ieri sera rilanciando la sfida delle elezioni per sciogliere il nodo della Brexit ripresentando una mozione per il voto anticipato. Toni accesi e scambi di accuse tra Boris e gli avversari, in particolare con il leader laburista Jeremy Corbyn, che a lungo ha invocato le elezioni e ora invece fa passi da gambero dopo l’approvazione della legge anti-no deal, chiamata da Johnson “legge della resa”. “L’unica ragionevole spiegazione è che hanno paura che vinceremo noi”, ha gridato Boris durante un suo speech alla Camera dei Lord. L’opposizione laburista britannica in realtà vorrebbe le elezioni, ma non vuole farsi mettere “in trappola” dal primo ministro Tory, Boris Johnson, e vuole essere sicura che il Paese non esca dall’Ue il 31 ottobre con una Brexit no deal. Questa la risposta di stanotte del leader del Labour a Johnson che ha ribadito il rifiuto del suo partito come delle altre forze di opposizione di sostenere la mozione del governo per un voto anticipato il 15 ottobre.
Corbyn ha poi accusato il primo ministro di aver deciso la sospensione del Parlamento da domani per “sfuggire allo scrutinio delle sue azioni” e di voler “fermare la democrazia” e lo ha ammonito a rispettare la legge anti-no deal, che impone la richiesta di un rinvio della Brexit in mancanza di accordo con l’Ue e a rispettare il ruolo del Parlamento. La seconda bocciatura sulla mozione presentata da Boris per il voto immediato è arrivata stanotte anche dalla Camera dei Comuni che l’ha respinta al mittente con 293 sì contro 46 no e numerosi astenuti nel rispetto della legge pro-rinvio appena varata. “Le opposizioni pensano di capire le cose meglio del popolo, credono di poter rinviare la Brexit senza chiedere al popolo britannico di dire la sua in una elezione”, ha detto Johnson dopo il no dei Comuni alle elezioni immediate. “Questo governo andrà avanti per trovare un accordo con l’Ue”, ha comunque ribadito il premier Tory, escludendo però “invii” oltre il 31/10 e invitando le opposizioni a “riflettere” durante la sospensione dei lavori parlamentari da oggi al 14 ottobre. Il Parlamento è stato quindi sospeso – o prorogato – su richiesta del governo fino al 14 ottobre, una mossa drastica che darà a Johnson una tregua da legislatori ribelli e l’opportunità di pianificare la sua prossima mossa.
Durante una visita a Dublino, Johnson ha affermato che “preferirebbe in modo schiacciante trovare un accordo” e ha ritenuto che un accordo potrebbe essere raggiunto entro il 18 ottobre, quando i leader di tutti i 28 paesi dell’UE si riuniranno a Bruxelles. Il primo ministro irlandese, Leo Varadkar ha avvertito Johnson che “non esiste una vera e propria pausa” e che se la Gran Bretagna crollasse, “causerebbe gravi perturbazioni sia per gli inglesi che per gli irlandesi”. Lo speaker della Camera dei Comuni, John Bercow, ha annunciato l’intenzione di rinunciare all’incarico in caso di elezioni anticipate e comunque di dimettersi al più tardi dopo la scadenza della Brexit il 31 ottobre, definendo la linea seguita dal governo di Boris Johnson sulla sospensione del Parlamento come “distruttiva”.
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