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“MUORI? E IO RIDO”, COME PREVENIRE E COMBATTERE CERTI COMPORTAMENTI?


di Paola Fringipane

Sempre più spesso i casi di cronaca ci fanno riflettere su situazioni che a volte hanno dell’inverosimile. Non tanto per la straordinarietà dell’evento, ma per la mancanza di umanità e di rispetto che li mette immediatamente all’indice visto che umanità e rispetto devono restare un must alla base di qualsiasi rapporto umano. What-u, alcuni giorni fa, ha raccontato il caso del ragazzo di origini albanesi, residente a Castelfiorentino, travolto in un passaggio a livello dal treno che arrivava da Siena, che mentre veniva soccorso da alcuni, veniva deriso da altri per il suo gesto sicuramente azzardato, ma certamente non comico. Un caso questo come tanti altri, come quelli che hanno come protagonisti “bulli e bullizzati”, ma che non devono restare più ingiustificati. Lo ha deciso anche recentemente la Cassazione che ha accolto il ricorso dei genitori di un adolescente calabrese bullizzato contro la condanna a risarcire uno degli ‘aguzzini’ del figlio al quale la vittima aveva finito per tirare un pugno. “É doveroso che l’ordinamento si dimostri sensibile verso gli adolescenti vittime di bullismo che hanno reazioni aggressive dopo essere state lasciate sole dalla scuola e dalle istituzioni”, hanno scritto i giudici nella sentenza, “nell’affrontare il conflitto e che non hanno avuto il sostegno della condanna pubblica e sociale dei bulli”. Per capire perché certi episodi accadono, e che cosa fa scaturire certi comportamenti, What-u ha intervistato la psicologa e psicoterapeuta Chiara Pozzi che ci ha spiegato che cosa c’è alla radice di certe dinamiche.

Sempre più spesso le notizie di cronaca ci raccontano di come una generale irresponsabilità e superficialità dei ragazzi si possa trasformare in tragedia. Cosa sta alla base di tali comportamenti? 

«In effetti, il Dipartimento di Giustizia Minorile ha reso ultimamente noti alcuni dati secondo i quali molto numerosi sarebbero i casi di minori presi in carico dai servizi sociali per reati contro il patrimonio (furti e rapine), contro persone (lesioni, violenze e minacce), spaccio di stupefacenti, violazioni del codice della strada e quant’altro. Nel 2017 sarebbero stati 7142 i casi, la maggior parte di ragazzi di 16 e 17 anni. Le caratteristiche fondamentali che accomunano questi ragazzi autori di reato sono, oltre al non rispetto delle regole, la scarsa capacità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni e la mancanza di senso di colpa. Si tratta di difficoltà nella regolazione del proprio comportamento che sembra derivare da deficit nell’empatia e nella valutazione emotiva delle proprie azioni. Colpisce spesso, in tali situazioni di cronaca, la superficialità del pensiero ed il distacco emotivo non solo dell’autore di reato ma anche di coloro che assistono alla scena. Pensiamo al recentissimo fatto di cronaca in provincia di Firenze in cui alcuni ragazzi, dopo avere assistito alla scena di un ragazzo travolto dal treno, hanno riso  dell’accaduto riferendosi alla disattenzione del ragazzo. Ciò appare davvero allarmante, quasi a descrivere una vera e propria alienazione emotiva dall’accaduto. Accade anche spesso che nei ragazzi che commettono gesti efferati ci sia una grossa fatica a tollerare le normali frustrazioni della vita. Pensiamo al recente caso del ragazzo di Novara che ha accoltellato un suo “amico” perché, rifiutato da una ragazza, quest’ultimo gli stava dicendo che non poteva pretendere di essere da lei voluto. Colpisce la difficoltà a tollerare un rifiuto ed un punto di vista diverso dal proprio, in generale la frustrazione di un proprio bisogno. Colpisce anche che il ragazzo sia uscito quella sera di casa con un coltello, senza apparente ragione, come un gesto qualsiasi. E, non da ultimo, anche il fatto che il ragazzo, avvenuto il fatto, non abbia chiamato i soccorsi e non abbia realizzato la gravità dell’accaduto, ma abbia come prima cosa pensato di giustificare il proprio gesto su Facebook con un “l’ho fatto per amore”». 


Quest’ultimo fatto apre anche il capitolo dei social network e del mondo virtuale. Pare quasi che i ragazzi oggi abbiano perso una visione della realtà. Quanto questi nuovi sistemi di comunicazione sono responsabili di  ciò?

«Non darei la responsabilità di ciò ai social network, anche se è innegabile che alcuni ragazzi più fragili trovino nella vita on line un sostituto alla vita reale e rischino di agire davvero senza consapevolezza emotiva le situazioni della quotidianità. Quindi, il mondo dei social network diviene, in questi casi, un pericolo in più. Pensiamo quello che è avvenuto a epilogo dell’ omicidio prima citato: la ragazza che aveva rifiutato colui che poi ha accoltellato l’amico, è stata nei giorni successivi vittima di insulti sui social network, come ad incolparla di quanto accaduto. Pensiamo agli effetti della cosa su quella ragazza , la quale ha dovuto chiedere pubblicamente di essere lasciata tranquilla. Purtroppo i nuovi sistemi di comunicazione sono molto potenti e perciò pericolosi. Tuttavia, la responsabilità di tutto rimane comunque di noi adulti, purtroppo, quando deleghiamo l’educazione dei nostri ragazzi al mondo on line o quando non li addestriamo , fin da piccoli, a sviluppare quella che si chiama “intelligenza emotiva”, definita da Salovey e Mayer come la capacità di guidare il nostro comportamento a partire da una conoscenza emotiva di sè e dell’altro. Molti ragazzi di oggi sarebbero caratterizzati da ciò che il filosofo U.Galimberti chiama analfabetismo emotivo, cioè quello stato per cui non si riesce a distinguere le proprie emozioni e a riconoscere o intuire ciò che potrebbe provare l’altro. Ciò comporta incapacità di provare compassione, quindi freddezza ma anche imprevedibilità nei gesti e nelle relazioni, a volte una certa “apatia morale” con incapacità a distinguere il bene dal male, a provare rimorso. Pensiamo alle conseguenze di tutto ciò». 


In che modo possono i genitori allenare queste importanti competenze emotive nei figli?

«Partiamo dal presupposto che viviamo in una società molto complessa, in cui, rispetto ad una volta, vengono spesso veicolati messaggi confusivi, in cui non sempre è chiara la distinzione tra il il bene ed il male; pensiamo a come i mezzi di comunicazione paiono pompare personaggi pubblici che hanno commesso atti illeciti. Viviamo in una società in cui anche le modalità di comunicazione tra gli adulti sono inoltre spesso caratterizzate da toni violenti, scarso rispetto dell’altro. Pensiamo a come tutto ciò possa creare confusione nella mente dei nostri ragazzi, creare modelli distorti. Diviene quindi ancora più importante creare intorno ai nostri figli contesti educativi forti e coerenti che sappiano fare educazione emotiva. Il presupposto è che i sentimenti vanno appresi e non sono purtroppo una bagaglio di cui già disponiamo dalla nascita. Il rispetto di sè e dell’altro si impara certamente prima di tutto nelle interazioni familiari. Ormai da tempo le neuroscienze hanno evidenziato che l’intelligenza emotiva si sviluppa a partire dai primi anni di vita del bambino grazie ad interazioni rispettose, in cui il genitore, pur non essendo certo perfetto, risponde ai bisogni del piccolo. La prima forma di rispetto il bambino la apprende cioè nel sentirsi ascoltato e rispettato; la sintonia con l’altro la apprende grazie a scambi sintonici con l’adulto. È in particolare importante poi insegnare al bambino a riconoscere le proprie emozioni e a differenziarle, ma anche a tollerare di convivere alcuni momenti con emozioni più difficili come la tristezza, la paura e la rabbia. Troppo spesso chiediamo ai nostri bambini di bloccare o rimuovere certe emozioni con il rischio che anche da grandi la tendenza sarà ad agire comportamenti impulsivi, non pensati, come modalità per scappare da emozioni intollerabili. La narrazione è un’ottima strada, cioè raccontare storie con protagonisti personaggi con cui il bambino si possa immedesimare e che consenta di riflettere sui vissuti. Con i più grandi, si può partire dalla narrazione di propri fatti di vita o dai fatti di cronaca. Ciò che serve è un’educazione sentimentale, un’attenzione rispetto al mondo interiore dei nostri figli che non è sempre facile avere. Spetta ai genitori, ai nonni e alle altre figure adulte di riferimento aiutare i bambini ad esprimere liberamente le loro emozioni e a parlare di ciò che gli accade. Se non si parla con i bambini e con i ragazzi delle emozioni è più facile che queste vengano agite senza pensiero. I bambini ci fanno anche tante domande, ci portano tante situazioni a cui è importante dare risposta. Pensiamo banalmente ad un bambino che esce da scuola e ci racconta concitato di una situazione di litigio con un compagno. È una grande occasione per allenarlo a riconoscere non solo le emozioni, ma anche il punto di vista dell’altro, a cercare delle modalità di risoluzione del conflitto. Dietro a certi atti efferati, c’è anche una marcata difficoltà a regolare le emozioni, specie la rabbia. Come genitori dovremo imparare a regolare i comportamenti dei nostri figli. Non sempre è facile, specie con i preadolescenti che si trovano in un’età in cui a livello cerebrale c’è una forte attivazione dei circuiti del piacere e non ancora un pieno sviluppo dei circuiti preposti al ragionamento razionale. Vedo molti genitori che si sregolano anch’essi faticando a calmare certe emozioni dei figli. In questo modo, non aiuteremo i nostri figli a costruire uno spazio interno in cui l’emozione sia gestibile e modulabile. I minori apprendono anche da come gli stessi genitori esprimono i propri sentimenti e da come li esprimono all’interno della coppia, non dimentichiamolo. Tutto questo lungo processo dovrebbe aiutare i nostri figli a passare da gesti impulsivi a gesti in cui le emozioni vengono ascoltate, accolte e gestite. Ciò porta alla capacità di instaurare relazioni profonde dove domina il sentimento, in cui cioè sento e rispondo ai bisogni anche dell’altro. I bambini, e ancora di più i ragazzi, devono imparare che esistono forme di forza più evolute rispetto a quella fisica, ad esempio la forza di rispettare gli altri, di gestire la propria rabbia invece di agire con la prepotenza». 

Altri contesti come la scuola oppure le associazioni sportive, come possono aiutare i nostri figli in questo senso?

«La scuola potrebbe fare molto nell’ educare l’affettività dei ragazzi ed in parte lo fa, forse purtroppo più a livello di scuola primaria. A questo riguardo, certo, è sempre più frequente l’attivazione di corsi sull’affettività nelle scuole anche se credo che la vera differenza sarebbe avere una scuola media o superiore che attui una didattica che tocca davvero l’anima dei ragazzi. Pensiamo a come la letteratura potrebbe toccare certe corde intime ed educare ai sentimenti. Pensiamo ancora al cinema e alle arti visive, anche quelle classiche: insegnare ad un ragazzo ad apprezzare un quadro di Caravaggio equivale ad un viaggio con lui nei sentimenti. I ragazzi hanno bisogno di adulti capaci di trainare ed appassionare i ragazzi. Purtroppo spesso la scuola è lontana anni luce da questo modello; le neuroscienze da anni dimostrano tuttavia che non esiste apprendimento cognitivo senza un coinvolgimento emotivo. La scuola è anche una comunità che potrebbe essere un contesto ottimale per lavorare sul rispetto dell’altro e sulla solidarietà, sull’accettazione delle differenze. A fronte di fatti di cronaca che raccontano di ragazzi che picchiano i neri o ragazzi con handicap, a volte mi chiedo come mai il mondo adulto abbia lasciato soli questi ragazzi nella crescita. Lo sport è sicuramente un altro aspetto molto importante. Buoni allenatori sportivi possono essere allenatori alla vita. In particolare, gli sport di squadra favoriscono le abilità di cooperazione ma anche una competizione che sia rispettosa verso l’avversario ed in generale l’accettazione dei propri limiti e dell’ insuccesso. La musica e la danza promuovono il contatto con il proprio mondo emotivo. In Sud America ci sono programmi con scuole di musica per recuperare bambini di strada. Alcune ricerche hanno dimostrato che quando i bambini fanno musica in orchestra il bullismo diminuisce. La danza presuppone regole ed il rispetto degli spazi dell’altro per creare una coreografia condivisa».


Quali sono i segnali a riguardo da non sottovalutare nel corso della crescita dei nostri figli e quando dobbiamo davvero preoccuparci?

«Dico sempre che è utile che noi genitori manteniamo un dialogo aperto e curioso verso gli adulti di riferimento dei nostri figli (insegnanti, allenatori sportivi, parroco della parrocchia …) perché una visione esterna è sempre utile per integrare aspetti che noi fatichiamo a notare. Spesso i genitori riferiscono che ciò che l’insegnante riporta rispetto al figlio non collima con l’immagine che loro invece hanno di lui. Teniamo presente che i contesti sociali o le richieste prestazionali attivano nei nostri figli aspetti della loro personalità che magari è più complesso notare in famiglia quindi poniamoci sempre come ascoltatori attenti. Poi occorre mantenere un occhio attento sul mondo emotivo del figlio, attenzione ai piccoli segnali. Se il dialogo con lui è stato sempre aperto e lui sa che siamo adulti che lo possono aiutare, il più delle volte troverà il modo di farci sapere se ha qualche difficoltà. Direi ai genitori di prestare attenzione alla capacità del figlio di esprimere le sue emozioni, fin da quando è piccolo. Ci sono bambini più riservati che hanno bisogno di uno sguardo adulto più attento e di maggiore incoraggiamento per esternare le proprie emozioni. Ma anche di più ampie esperienze con i pari. Osserviamo poi quanto i nostri ragazzi sanno regolare le loro emozioni, come reagiscono alle sconfitte o ai divieti e la capacità che hanno di leggere i bisogni dell’altro che sia un fratello, il cugino o lo stesso genitore. Ma se notiamo marcati sbalzi di umore, condotte di isolamento dai pari, brusche cadute nel rendimento scolastico o rifiuto ad andare a scuola occorre intervenire al più presto, anche magari rivolgendosi ad uno specialista. Attenzione anche a marcata difficoltà nel rispettare le regole e a condotte di prevaricazione verso i coetanei. Sono segnali certamente di qualcosa che non va nel mondo emotivo del nostro ragazzo, che può facilmente predisporre a disturbi della condotta. Affidiamoci alle mani di un professionista che ci aiuti a capire e ad intervenire». 



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