di Colin Anthony Groves
Da quando il giorno prima delle elezioni nel 2016 ha mollato l’ufficio del 10 di Downing street, l’ex primo ministro del Regno Unito David Cameron, ha sempre preferito mantenere un profilo molto defilato. Ora, a distanza di 3 anni, torna a fare parlare di sé per l’uscita del suo libro di memorie che si intitola “For the record“, magari non proprio nel periodo politico migliore, ma sicuramente il più indicato per farsi maggiore pubblicità visto che la Brexit, come quando se ne andò, è rimasta l’argomento che scalda il cuore e non solo dei britannici.
Nell’intervista rilasciata al Times ieri David Cameron chiede scusa al Paese e si dice “profondamente dispiaciuto” per le divisioni provocate dalla Brexit, e pure difendendo la sua decisione di persona a favore del referendum, ammette di avere fallito e confessa che le conseguenze di quel voto sono nei suoi pensieri “ogni singolo giorno” e di essere “disperatamente” preoccupato su ciò che accadrà in futuro. Poi attacca i vecchi amici e compagni di gioventù che nel 2016 lo ‘tradirono’, passando dall’altra parte della barricata nella battaglia del referendum sulla Brexit. In particolare, cita Boris Johnson e Michael Gove, oggi rispettivamente primo ministro e ministro, impegnati nei preparativi di un’ipotetica Brexit no deal, ai quali contesta “comportamenti orribili” nel corso della campagna referendaria e li accusa di avere “fatto a pezzi il governo di cui facevano parte”. I suoi rimpianti per i negoziati europei e la campagna referendaria riempiono due capitoli.
For 3 years I have kept relatively quiet about politics. But I think it’s right former PMs write their memoirs, to explain what they did and why. For the Record is out Thursday. Serialisation starts in today’s @thetimes https://t.co/rsFKeY4jSV
— David Cameron (@David_Cameron) September 14, 2019
“In quella sfida “Boris e Michael lasciarono a casa la verità”, accusa oggi Cameron, rimproverando loro d’aver cavalcato esagerazioni e bugie sull’immigrazione lasciando intendere un fantomatico ingresso futuro della Turchia, nell’Ue. “La loro fu la campagna “più eccitante” ed “emotiva”, ma quella pro Remain era più solida dal punto di vista “tecnico ed economico”, prosegue l’ex inquilino di Downing Street. E Cameron nonostante critichi le scelte più controverse di Boris, dalla sospensione del Parlamento all’espulsione dalle file Tory dei 21 dissidenti moderati di spicco dissociatisi da lui sulla Brexit, sottolinea: “Io non lo sostengo. E non credo che nessun accordo sia una buona idea”. Parlando del suo impegno da primo ministro, contrariamente alla sua reputazione di chillaxer, Cameron oggi racconta che ogni mattina si alzava alle 5.30 o alle 5.45 per prepararsi agli incontri. Tornando a parlare del libro spiega di avere scritto nella prefazione di essere consapevole che alcune persone non gli perdoneranno mai di avere voluto un referendum. Altri per avere temuto di perderlo. “Ci sono, naturalmente, tutte quelle persone che volevano un referendum e volevano andarsene e sono contente che sia stata fatta una promessa e sia stata mantenuta una promessa. Quello che ho cercato di fare nel libro è stato spiegare perché lo ritenevo inevitabile. La questione doveva essere affrontata e sapevo che saremmo arrivati a un referendum per cercare di ottenere alcune riforme di cui avevamo bisogno. Poi ho capito e lo accetto, che quello sforzo è fallito. Capisco che alcune persone sono molto arrabbiate perché non volevano lasciare l’UE. Nemmeno io. Nel 2014 eravamo il paese in più rapida crescita nel G7. Abbiamo creato un numero record di posti di lavoro. Gli investimenti delle imprese erano in forte crescita. L’economia britannica era in una posizione molto forte, a causa delle decisioni sul deficit. L’ultima cosa che volevo fare era tagliare qualsiasi cosa”. Poi le cose sono cambiate. E Cameron nell’intervista prosegue dicendo: “ Ci siamo trovati di fronte a un deficit di bilancio più grande che in qualsiasi altra parte del mondo, l’11% del PIL [prodotto interno lordo] e un vero pericolo per il pubblico britannico. Questo problema doveva avere la precedenza su tutto il resto. Abbiamo dovuto prendere decisioni difficili per invertire l’economia. Abbiamo dovuto prendere le redini sul controllo della spesa pubblica. Abbiamo dovuto fare dei tagli difficili in alcuni punti. Abbiamo dovuto mettere delle tasse”. E dopo si è palesata la prospettiva del referendum se restare nell’Eu o andarsene. “Alcune persone volevano appassionatamente andarsene, alcune persone volevano appassionatamente restare. Alcune persone erano molto arrabbiate per le promesse fatte nel referendum che poi non sono mai state realizzate. Ma questo”, sottolinea l’ex premier, “sembra il peggiore dei tempi. Riconosco pienamente che l’incertezza è stata dolorosa e difficile. È stato difficile per tutti i tipi di persone in tutti i tipi di ceti sociali. Ci penso ogni giorno. Ogni giorno penso al referendum e al fatto che abbiamo perso, alle conseguenze e alle cose che avrebbero potuto essere fatte diversamente e mi preoccupo disperatamente di ciò che accadrà dopo”. Cameron ipotizza dice che spera in un’uscita dall’Eu che permetta di mantenere buoni rapporti di vicinato. “Possiamo arrivarci, ma mi piacerebbe che il tempo scorresse più velocemente per arrivare rapidamente a quel momento perché è doloroso per il Paese ed è doloroso osservare tutto quello che sta accadendo ora”. Tutti però ricordano che quando lui diede le dimissioni da Downing Street se ne andò canticchiando. E anche su quell’episodio oggi Cameron svela al Times: “Dopo le dimissioni credevo di potere restare a Downing Street per un periodo di tre o quattro mesi, per aiutare a consolidare il passaggio del nuovo primo ministro, invece improvvisamente tutto è crollato e sono stato obbligato ad andarmente nel giro di pochi giorni. Capisco perfettamente l’impressione delle persone”. E sul suo “addio canticchiato” dice: “Questo è stato semplicemente perché ho pensato, ‘La porta non si aprirà’, e stavo cercando di calmarmi perché c’erano stati momenti in cui sono tornato davanti a quella porta e non si è mai aperta. Non ero felice di andarmene. Ero infelice nel rinunciare al lavoro che amavo e nel lavoro per il paese che amavo”. E riguardo al referendum spiega: “Non è stata una decisione presa alla leggera. Sono molto frustrato quando leggo – cosa che faccio spesso – che il referendum è stato voluto a causa dei risultati delle elezioni europee del 2014 [che sono state un disastro per i Tories, e al contrario positive per l’Ukip], perché non è vero. Il referendum è stato annunciato un anno prima [nel 2013] ed è stata una decisione meditata più di qualsiasi altra che ho preso, perché sapevo che era una decisione enorme. Mi è sembrato che ci fosse un problema tra la Gran Bretagna e l’UE a causa della crisi dell’eurozona e dello sviluppo dell’euro che andava risolto. Ma se avessi potuto immaginare quello che poi è accaduto, ossia che il referendum avrebbe diviso il Paese, fatto cadere il partito Tory, messo Boris Johnson al potere e lasciato la Gran Bretagna in una situazione di stallo, sicuramente non sarei andato avanti con quella decisione”. Su Johnson nonostante non condivida le sue attuali decisioni Cameron spende altre buone parole: “Voglio che abbia successo. Ho lavorato bene con lui, come ho detto nel libro. Dico anche che era un sindaco capace. Era facile lavorare con lui. Pensavo avesse molto talento. Lo volevo nel mio Governo. Abbiamo avuto problemi. Anche prima della Brexit c’erano a volte tensioni e disaccordi ma, nel complesso, siamo andati d’accordo. E voglio che abbia successo. Il suo non è l’approccio che avrei adottato, ma voglio che abbia successo”. Pungolato di nuovo sull’uscita del Regno Unito senza accordo Cameron chiosa: “Penso che sia un brutto risultato. Spero vivamente che non accada”. E riguardo l’ipotesi di chiedere un secondo referendum precisa:”È da escludere perché siamo bloccati”.
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