di Colin Anthony Groves
Non si può dire che sia un bel momento per Donald Trump. Più che dire “make America great again” dovrebbe augurarsi di uscirne a testa alta da questa alta altrimenti passerebbe alla storia tra i peggiori presidenti che gli Stati Uniti hanno avuto. Basta accendere Bbc e soprattutto Cnn per non sentire parlare prettamente di altro. Nemmeno la carta della caccia alle streghe senza fare più presa sugli americani che sono davvero stanchi di questa storia e molto più insensibili o menefreghisti delle sue “lagnose prediche”. Tutte le indagini della Camera sui rapporti commerciali di Trump, le sue dichiarazioni fiscali e una varietà di scandali amministrativi, per molti americani, sono state una serie di indagini molto confusionarie e senza alcuna chiarezza di scopo.
Ora però per Trump sembra tirare un’aria diversa rispetto al passato. Prima la denuncia di informatore anonimo, poi la trascrizione approssimativa di una telefonata in cui Trump che promette aiuto in denaro al presidente ucraino chiedendo in cambio il favore di indagare sul rivale democratico Joe Biden. Poi la lettera dettagliata del whistleblower relativa alla Casa Bianca che cercava di nascondere la telefonata. Poi l’inchiesta di impeachment con gran parte delle prove già di dominio pubblico. Insomma tutto ciò sembra davvero troppo per un’America che nel panorama internazionale, per dirla alla Trump, vuole essere sempre “First”.
Senza dimenticare la precedente indagine del consigliere speciale Robert Mueller, membro del Partito Repubblicano, in passato nominato dall’ex presidente Usa George W. Bush, e poi riconfermato per altri 2 anni dal suo successore Barack Obama a capo dell’FBI e nel 2017 nominato dal Dipartimento di Giustizia procuratore speciale per le indagini sul Russiagate. L”inchiesta giudiziaria nacque a seguito di sospette ingerenze da parte della Russia nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America del 2016 che hanno poi determinato la chiacchierata sconfitta di Hillary Clinton e la vittoria di Trump. Le indagini condotte dal procuratore speciale Robert Mueller dovevano fare luce su ipotetici reati segnalati dalla stampa statunitense, che prefigurava la possibilità che potessero essere stati commessi reati di spionaggio a favore di potenze estere, o addirittura di tradimento. Una storia finita con il lieto fine per Trump visto che il 24 marzo scorso, quando è stato reso noto il contenuto del rapporto finale di Mueller, non sono emerse prove che il presidente e la sua campagna elettorale avessero volutamente coinvolto la Russia nelle elezioni del 2016. «Il rapporto non conclude che il presidente abbia commesso un crimine, ma neanche lo esonera», con le parole finali di Mueller che chiusero questa vicenda.
Ora però lo spettro dell’impeachment sembra più reale. Perché se nell’inchiesta precedente Mueller ha trascorso due anni in silenzio, consentendo al presidente di colmare il vuoto con affermazioni che descrivevano l’inchiesta come una “bufala” e una “caccia alle streghe” e i dettagli dell’inchiesta sono emersi quando praticamente era già stato deciso di chiuderla, ora le cose stanno andando ben diversamente.
L’Ap scrive che secondo un sondaggio (durato un giorno per la precisione mercoledì 25 settembre) di NPR/PBS NewsHour/Marist il 49% degli americani approva la Camera e vuole dare l’avvio formale a un’indagine di impeachment su Trump e tra i democratici, l’88% approva l’inchiesta, mentre il 93% dei repubblicani disapprova. Evidentemente le parole di Nancy Pelosi che i giorni scorsi ha esortato il mondo politico a mettere da parte gli interessi di partito per favorire quelli della Patria, non hanno fatto molta presa.
Tornando indietro con il nastro della storia quella di Trump sembra una vicenda che si ripete, visto che viene spontaneo pensare, e collegare questo fatto, allo scandalo Watergate, (N.d.R.: il caso che prese il nome dal Watergate Complex, un complesso edilizio di Washington che ospitava il Watergate Hotel, l’albergo dove furono effettuate le intercettazioni) partito per l’appunto da un’inchiesta giornalistica di due reporter, Bob Woodward e Carl Bernstein, e che all’epoca suscitò la crescente attenzione dell’opinione pubblica sulla vicenda, iniziata come un modesto reato compiuto da personaggi secondari, ma che poi coinvolse gli uomini più vicini al presidente e lo stesso Richard Nixon (N.d.R. 37º Presidente degli Stati Uniti d’America, vincitore delle elezioni presidenziali del 1968 e del 1972, rimase in carica dal gennaio del 1969 all’agosto del 1974, quando si dimise a seguito dello scandalo Watergate) ossia tutto il suo sistema di governo incentrato su attività illegali di controllo e spionaggio interno attuate allo scopo di mantenere il potere.
L’unica differenza tra ieri e oggi al momento è che all’epoca di Watergate sia i repubblicani sia i democratici erano davvero preoccupati che il presidente fosse coinvolto in azioni criminali, mentre oggi evidentemente, la maggior parte dei politici americani, questo sforzo bipartisan non lo sente come un dover di Patria ed evidentemente questo caso lo vive con minore coinvolgimento e preoccupazione.
Trump, al contrario di ciò che è accaduto a Nixon, è ben consapevole che solo il suo partito può e vuole proteggerlo. Non a caso la scorsa settimana, riporta l’Ap ha scritto su Twitter: “Resta unito, gioca e combatti duramente per i repubblicani”. Un tweet poi cancellato. E sempre su Twitter Trump continua la sua battaglia contro i detrattori, e scrive: “Stanno cercando di fermarmi perché io sto combattendo per Voi”.
They are trying to stop ME, because I am fighting for YOU! pic.twitter.com/xiw4jtjkNl
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) September 28, 2019
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