di Daniel Lee
Quando Prince il 21 aprile 2016, morì a causa di un’overdose di droga, sembrava che la sua morte avesse portato via molto di lui.
Invece le sue chiacchierate con lo scrittore newyorkese Dan Piepenbring, scelto dal musicista di Minneapolis come coautore del suo libro, di cui aveva già scelto il titolo “The Beautiful Ones”, che è uscito martedì da Spiegel & Grau, sono riuscite a regalare ai suoi fan chicche inedite. Non segreti tenuti nel cassetto che rivelano chissà quali notizie sensazionalistiche, ma semplici racconti, di tanti momenti della sua vita che Prince ha raccontato a Piepenbring durante i loro vis à vis dalle 12 alle 15 durante la sua tournée a Minneapolis, a New York e a Melbourne. Il libro include testi scritti a mano, fotografie, scarabocchi – artefatti che facevano parte del processo creativo di Prince – cose che faranno di sicuro far sentire un lettore come se fosse nella stanza con Prince mentre le stava creando. “Prince aveva tante idee per il suo primo libro, tanto che non sapeva da che parte cominciare. Forse voleva concentrarsi sulla sua infanzia, contrapposta al suo presente. O forse voleva fare un libro sul funzionamento dell’industria musicale. O forse dovrebbe scrivere di sua madre: avrebbe voluto spiegarne il ruolo nella sua vita. Si chiedeva cosa avesse in comune la scrittura di un libro con la scrittura di un album. Voleva conoscerne le regole, così da comprendere quando poteva infrangerle”, ha raccontato lo scrittore. L’unica cosa certa è che Prince voleva che “The Beautiful Ones” fosse il più grande libro di musica di tutti i tempi”. Con questo libro voleva sorprendere, provocarle, motivarle le persone. Disse: “Voglio qualcosa che sia passato da un amico all’altro, tipo, conosci ‘Waking Life’?”, riferendosi al surreale film del 2001 di Richard Linklater. Al di là del contenuto del libro, Piepenbring oggi racconta che Prince espresse il desiderio di averne la sua completa proprietà e di “riservarsi il diritto di toglierlo dagli scaffali, in modo permanente, in qualsiasi momento in futuro.
L’ultima conversazione tra Price e Piepenbring è avvenuta appena quattro giorni prima della morte del musicista e l’argomento di punta quel giorno furono i genitori dell’artista, e le loro influenze contrastanti nella sua vita. Suo padre, John L. Nelson, era un musicista jazz disciplinato e timoroso di Dio ma con un carattere esplosivo. Sua madre, Mattie Della Shaw, era una bellissima ragazza amante del divertimento, testarda e irrazionale. Il rapporto tumultuoso con suoi genitori ebbe un impatto forte nella sua vita.”Le ferite dei tuoi genitori che si fanno la guerra sono terribili quando sei un bambino”, scrisse Prince. Non solo un libro, ma anche un film. Prince aveva immaginato di interpretare sia sua madre che suo padre nelle scene di flashback. Il film finito, non scritto da Prince, prevede un tentativo di suicidio con una pistola alla quale sopravvive il padre.
L’inchiesta sulla sua morte si è conclusa senza colpevoli
Purtroppo la sua morte è rimasta impunita. L’inchiesta aperta dopo la sua scomparsa dal procuratore Mark Metz della contea di Carver in Minnesota ha stabilito che non c’erano prove per determinare chi procuro’ all’artista gli antidolorifici oppiacei che causarono il suo decesso, sebbene il suo medico accettò comunque di pagare 30mila dollari per accordi. L’autopsia stabili’ che la sua morte fu causata da un’overdose accidentale di Fentanyl (oppiaceo sintetico 50 volte più potente dell’eroina) che il musicista assunse involontariamente credendo di curarsi con un’altra tipologia di farmaci.
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Overdose? Prince non era un tossicomane…
Certo Antonio, ma Prince prendeva pillole di Fentanyl pensando di assumere altri farmaci. L’inchiesta sulla sua morte si chiuse senza colpevoli, anche se il suo medico, inizialmente accusato di avergli prescritto illegalmente degli oppiacei, accettò di pagare 30mila dollari come accordo. L’autopsia stabilì che il decesso fu provocato da un’overdose di Fentanyl,che un oppiaceo sintetico 50 volte più potente dell’eroina.