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TRUMP ALLE STRETTE, MA MANCANO INDIZI FONDAMENTALI PER L’ACCUSA DI IMPEACHMENT


Il presidente Donald Trump parla ai giornalisti durante la Giornata Nazionale dei Campioni NCAA alla Casa Bianca, venerdì 22 novembre 2019, a Washington. 
(Foto AP / Evan Vucci)

di Colin Anthony Groves

Dopo due settimane di audizioni pubbliche nell’indagine sull’impeachment del Parlamento contro il presidente Donald Trump, ora pare che ci sia una montagna di prove che il “quid pro quo”  ormai sia fuori discussione.

Trump ordinò esplicitamente ai funzionari del governo degli Stati Uniti di lavorare con il suo avvocato personale Rudy Giuliani su questioni relative all’Ucraina, un paese fortemente dipendente dall’aiuto di Washington per respingere l’aggressione russa. Il presidente ha spinto l’Ucraina a fare indagini sui rivali politici, appoggiandosi a una teoria della cospirazione screditata contestata dai suoi stessi consiglieri. Questi fatti sono stati confermati da una dozzina di testimoni, per lo più funzionari statali in carriera e non, che hanno prestato servizio sia nelle amministrazioni democratiche sia in quelle repubblicane e che hanno fatto affidamento su e-mail, messaggi di testo e note scritte per sostenere i loro ricordi dell’anno passato. Eppure una falla nei resoconti dei testimoni c’è e potrebbe ancora rappresentare l’unica ancora di salvezza per Trump e i suoi alleati del GOP. Nessuno dei testimoni ha mai potuto attestare personalmente che Trump ha condizionato direttamente lo stanziamento di 400 milioni di dollari in aiuti militari all’apertura di indagini sui Biden. Così ora anche i Repubblicani sono divisi. Da una parte quelli che difendono Trump, ma lo criticano (alcuni) per avere compito azioni non impeccabili e dall’altra coloro che lo difendono a spada e definiscono “una bufala” tutta la vicenda.

Gli americani, secondo gli ultimi sondaggi, sono divisi sul fatto che Trump debba essere messo sotto accusa per i suoi rapporti con l’Ucraina e rimosso dall’incarico. Alla domanda su quali siano le conseguenze se il Congresso decidesse di consentire a un presidente americano di chiedere a un governo straniero di indagare su un rivale politico, i pareri della maggior parte delle persone che hanno risposto sono stati univoci: “Sarebbe un pessimo precedente”. Quello che invece ora è certo è che i democratici una volta completate le audizioni pubbliche, pianificheranno con urgenza la strada da seguire. L’inchiesta sull’impeachment non riguarda solo il futuro di Trump, ma anche ciò che gli americani dovrebbero aspettarsi dal loro presidente, che è il quesito che in sembra assumere sempre più importanza.

Trump ieri ha risollevato la questione già a lungo dibattuta, e anche questa definita da lui come una “bufala” e una “caccia alle streghe”, riguardo le indagini dell’FBI sui legami tra la Russia e la sua campagna presidenziale del 2016, “tutte bufale per fare cadere la presidenza”. Ora nell’occhio del mirino di Trump è finito un avvocato dell’FBI è sospettato di avere alterato dei documenti: “Questo stava spiando la mia campagna,”, ha dichiarato Trump venerdì a “Fox & Friends”. “Qualcosa che non è mai stato fatto nella storia del nostro paese. Hanno cercato di rovesciare la presidenza”.

L’accusa contro l’avvocato è stata segnalata per la prima volta dalla CNN. Il Washington Post ha successivamente riferito che il comportamento dell’impiegato dell’FBI non ha alterato le prove documentali. Nel 2016 l’FBI aveva ottenuto un mandato di sorveglianza segreta per monitorare le comunicazioni di Page, che non è mai stato accusato nelle indagini sulla Russia o accusato di aver commesso un illecito. Il mandato, che è stato rinnovato più volte e approvato da diversi giudici nel 2016 e all’inizio del 2017, è stato uno degli elementi più controversi e dibattuti da democratici e repubblicani nel Comitato di intelligence della Camera .

Il direttore dell’FBI Chris Wray ha dichiarato al Congresso di non avere mai considerato la sorveglianza dell’FBI come “spionaggio” e di non avere prove che l’FBI abbia monitorato illegalmente la campagna di Trump durante le elezioni del 2016. Wray ha difeso l’operato dell’FBI precisando che ha sempre avuto fini investigativi.

Russiagate

Il Russiagate è stata un’inchiesta giudiziaria nata a seguito di sospette ingerenze da parte della Russia nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America del 2016. Le indagini condotte dal procuratore speciale Robert Mueller avevano l’obiettivo di riscontrare indizi di possibili attività spionaggio a favore di potenze estere, o indizi che potessero addirittura avvalorare un possibile tradimento. Mentre Trump emergeva nella primavera 2016 come l’improbabile favorito per la nomination repubblicana, secondo il New York Times l’ingerenza russa si sviluppò lungo tre direttrici: intercettazione e divulgazione di documenti del partito rivale; massicce attività fraudolente mediante profili Facebook e Twitter; contatto con associati alla campagna presidenziale di Trump. A tal proposito, il New York Times divulgò anche la notizia di un incontro avvenuto alla Trump Tower il 9 giugno 2016 tra l’omonimo figlio del presidente, Donald J. Trump e l’avvocata russa Natalia Veselmitskaya, che aveva rapporti diretti con il Cremlino.

L’inchiesta portò all’incriminazione di dodici cittadini russi funzionari del GRU, l’intelligence militare russa. Per Paul Manafort, che era stato il capo della campagna elettorale di Donald Trump, prima vennero decisi gli arresti domiciliari, poi il 15 giugno 2018 venne trasferito in carcere. Anche Rick Gates, socio d’affari e collaboratore di Paul Manafort, si è dichiarato colpevole di alcuni reati finanziari raccontando di aver aperto, insieme a Manafort, quindici conti bancari all’estero, anche a Cipro, e di non averli dichiarati al governo “su richiesta di Manafort”.

Il procuratore speciale Robert Mueller – nominato il 17 maggio 2017 dal Dipartimento della Giustizia, dopo lo scalpore prodotto dall’estromissione dalla guida del FBI del direttore James Comey iniziò a fare indagini anche su Michael Thomas Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che poi confessò di avere mentito all’FBI, e su Michael Cohen, all’epoca legale di Trump, che pure lui ammise di aver mentito al Congresso. La questione anche in questo caso per Trump si è risolta con un niente di fatto, perché anche sulla base di alcuni indizi questi non hanno potuto essere la chiave di volta per decidere di incriminare il presidente. Happy end che c’è da aspettarsi anche per la questione a lungo dibattuta sull’impeachment.



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