di Patricia Sinclair
Era l’8 dicembre 1980 quando John Lennon venne ucciso da quattro colpi di pistola sparati dal 25enne Mark Chapman, un suo fan di lunghissima data. Lennon aveva da poco compiuto 40 anni, precisamente il 9 ottobre e da poche settimane aveva dato alle stampe quello che fu il suo ultimo album, il settimo, grandioso ‘Double Fantasy’, che segnò il suo ritorno sulle scene, insieme a Yoko Ono, dopo un ritiro dalla musica durato cinque anni. Una morte assurda quella di Lennon soprattutto se si vanno a leggere le cronache dell’epoca.
L’omicidio di John
l’8 dicembre 1980, Mark Chapman, l’omicida di John, si appostò davanti all’entrata della residenza di Lennon, il palazzo The Dakota in Central Park a Manhattan a New York. Quando il musicista uscì di casa, Chapman gli strinse la mano e si fece firmare un autografo sulla copertina di ‘Double Fantasy’, ultimo album di Lennon. Ad assistere alla scena c’era il fotografo Paul Goresh, che immortalò la scena in una celebre fotografia che passò alla storia perché ritraeva l’assassino assieme alla sua futura vittima. Chapman poi rimase in attesa del rientro di John sul posto per altre quattro ore. Alle 22.52, quando finalmente vide Lennon rientrare assieme alla moglie Yoko Ono, lo chiamò, e rivolgendosi a lui dicendogli: «Ehi, Mr. Lennon!» e gli sparò contro cinque colpi di pistola. Dei cinque, quattro proiettili colpirono Lennon e solo uno di questi fu letale, quello che trapassò l’aorta. Lennon ebbe appena il tempo di fare ancora qualche passo e dire «I was shot…» (N.d.R. Mi hanno sparato) prima di cadere al suolo e perdere i sensi. Nonostante il trasporto d’urgenza al Roosevelt Hospital, John morì un quarto d’ora dopo, ossia alle 23.07.
Chapman, di nazionalità statunitense, faceva la guardia giurata a Honolulu nelle Hawaii. Aveva trascorsi piuttosto movimentati; era stato tossicodipendente ed era stato ricoverato in una struttura ospedaliera per malati di mente. Dichiarò di essere stato fortemente influenzato dal romanzo di Salinger, ‘Il giovane Holden’, al punto di decidere di seguire il modello antisociale rappresentato dal protagonista, Holden Caulfield. Per anni fu un fan dei Beatles, e di Lennon in particolare: nella sua ossessione, arrivò al punto di sposare nel 1979 una donna americana di origine giapponese, Gloria Hiroko Abe, perché gli ricordava Yōko Ono. Col tempo si convinse che Lennon aveva tradito gli ideali della sua generazione e si sentì investito della missione di punirlo
Al momento dell’omicidio, Chapman aveva con sé una copia de ‘Il giovane Holden’. Dopo aver sparato, rimase impassibile sulla scena del crimine, tirò fuori la sua copia del libro e si mise a leggere fino all’arrivo della polizia. Il custode del Dakota Building, Mr. Perdomo, gridò a Chapman: «Lo sai che cosa hai fatto?», e Chapman, che in quel momento nella sua lucida follia pensò di essersi guadagnato un po’ di quella fama che fondamentalmente invidiava al celebre musicista, rispose con lucida freddezza: «Sì, ho appena sparato a John Lennon».
Esattamente come accade in quelle storie di amori malati dove il più delle volte c’è un lui che spara a una lei trovando pretesti senza né capo né per giustificare un gesto assurdo
I primi poliziotti ad arrivare furono Steve Spiro e Peter Cullen, di pattuglia sulla 72ª Strada e la Broadway, che avevano appreso la notizia secondo cui un uomo era stato ferito da colpi d’arma da fuoco nei pressi del Dakota. Gli agenti accorsi sul luogo del delitto si accorsero subito che le ferite riportate da Lennon erano molto serie quindi non potendo aspettare l’arrivo dell’ambulanza, decisero di caricare il corpo del musicista nell’auto di servizio per condurlo al vicino Roosevelt Hospital. Chapman fu arrestato senza opporre resistenza e tre ore dopo il suo fermo disse: «Sono sicuro che una grossa parte di me sia Holden Caulfield e una piccola parte di me deve essere il diavolo».
Chapman in seguito dichiarò di essersi già recato a New York un’altra volta, in passato, con l’obiettivo di uccidere Lennon, ma di non esserci riuscito. Affermò anche che le sue azioni avevano lo scopo di ottenere attenzione
Fu accusato di omicidio di secondo grado (secondo la legge statunitense) e, dichiaratosi colpevole, fu condannato alla reclusione da un minimo di 20 anni al massimo dell’ergastolo (quindi meno della possibile pena massima applicabile, che consisteva in almeno 25 anni). Nel 2000, scontato il minimo della pena, fece richiesta di scarcerazione che venne rifiutata. Dopo 30 anni trascorsi nel carcere di Attica (a favore dei cui detenuti, per ironia della sorte, John Lennon aveva cantato in un brano di Some Time in New York City, Attica State), nel 2012 Chapman è stato trasferito in quello di Wende, sempre nello Stato di New York, senza che fosse fornita una motivazione specifica che spiegasse il trasferimento. Chapman, nonostante il folle gesto, si è sempre dichiarato un fervente cristiano, ma in realtà Mark al momento del delitto non era affatto religioso, lo è diventato successivamente durante il periodo di detenzione. Nell’agosto del 2014 Chapman, tramite un’associazione religiosa, provò a chiedere la scarcerazione anticipata, ma Yōko Ono e numerosi fans di Lennon, al contrario, hanno chiesto che non venga mai scarcerato. Il 29 agosto 2016, per la nona volta, la commissione giudicante dello stato di New York ha negato a Chapman la libertà condizionata.
Chapman riferì al giornalista Jack Jones che quando disse alla sua “piccola gente” che era intenzionato a recarsi a New York per uccidere John Lennon, loro lo pregarono di non farlo
In una intervista del 2000 venne chiesto a Chapman il motivo del suo gesto omicida verso Lennon: “Perché proprio lui?” chiese l’intervistatore, e la risposta di Chapman fu: «Mi sembrò l’unico modo per liberarmi dalla depressione cosmica che mi avvolgeva. Ero un nulla totale e il mio unico modo per diventare qualcuno era uccidere l’uomo più famoso del mondo, Lennon. A otto anni ammiravo già i Beatles, come tanti altri ragazzini. Ma mi sentivo tradito John, anche se a un livello puramente idealistico”. All’epoca Mark vagando per le biblioteche di Honolulu lesse il libro tratto dall’omonimo brano di Lennon ‘John Lennon: One Day at a Time’.
«Quel libro mi ferì» , raccontò dopo l’omicidio Chapman, «perché mostrava un parassita che viveva la dolce vita in un elegante appartamento di New York. Mi sembrava sbagliato che l’artefice di tutte quelle canzoni di pace, amore e fratellanza potesse essere tanto ricco. La cosa che mi faceva imbestialire di più era che lui avesse sfondato, mentre io no. Eravamo come due treni che correvano l’uno contro l’altro sullo stesso binario. Il suo “tutto” e il mio “nulla” hanno finito per scontrarsi frontalmente. Nella cieca rabbia e depressione di allora, quella era l’unica via d’uscita. L’unico modo per vedere la luce alla fine del tunnel era ucciderlo». Poi Chapman disse anche che non poteva tollerare l’affermazione fatta da Lennon nella sua canzone ‘God’ secondo la quale «Dio è solo un concetto col quale misuriamo il nostro dolore», o quella inserita in ‘Imagine’, dove lo stesso John affermava di sperare in un futuro dove non esistessero più religioni a dividere il mondo. In aggiunta Chapman non sopportava il fatto che Lennon predicasse nel testo del brano l’abolizione della proprietà privata («Imagine no possessions…»), quando lo stesso Lennon era invece un ricchissimo milionario. Chapman raccontò di aver ascoltato l’album ‘John Lennon/Plastic Ono Band’ nelle settimane antecedenti l’omicidio e di aver pensato: «Più ascoltavo quella musica e più diventavo furioso verso di lui, perché diceva che non credeva in Dio… e che non credeva nei Beatles. Questa era un’altra cosa che mi mandava in bestia, anche se il disco risaliva a dieci anni prima. Volevo proprio urlargli in faccia chi diavolo si credesse di essere, dicendo quelle cose su Dio, sul paradiso e sui Beatles! Dire che non crede in Gesù e cose del genere. A quel punto la mia mente fu accecata totalmente dalla rabbia».
Il vero motivo dell’omicidio risiedeva non nel presunto ateismo di Lennon ma, come più volte ripetuto dallo stesso Chapman, in un suo enorme complesso di inferiorità ed in una malsana invidia verso lo status di star mondiale del cantante, cosa questa che il suo biografo, Jack Jones gli ricorda in una intervista quando conferma che la ragione per cui ha ucciso John Lennon vada ricercata nell’idea di “rubargli” la fama, diventare “qualcuno” perché non poteva sopportare di essere un “signor nessuno”
Chi era John Lennon
John Lennon era un musicista e un uomo dalla lungimiranza quasi senza eguali, che lo poneva un gradino sopra la media dei comuni mortali. Nato il 9 ottobre 1940 al Liverpool Maternity Hospital, cresciuto con una zia, dopo la separazione dei genitori, frequentò prima la Dovedale Primary School poi la Quarrybanck Grammar School e quindi il Liverpool College of Art. Il 23 luglio 1962 si sposò con Cynthia Powell che era già in attesa di Julian che nacque l’8 aprile 1963. Un matrimonio burrascoso quello di John e Cynthia, sicuramente perché il musicista era ancora troppo giovane e immaturo all’epoca, e soprattutto troppo impegnato a suonare in giro per il mondo, per essere un marito e papà modello. Così nonostante la dolce e paziente Cynthia le avesse tentate tutte per tenersi stretto il suo John, l’8 novembre 1968 lui e la Powell divorziano. John nel frattempo aveva già intrecciato una relazione con l’artista Yoko Ono che poi sposò in Gibilterra il 20 marzo 1969. Ma anche con Yoko non fu tutto “rose e fiori”. Nel 1973, Lennon e Yoko Ono si separarono, e Lennon e ebbe una relazione che durò circa 18 mesi, con la sua assistente personale, May Pang una scrittrice statunitense, che in seguito scrisse della sua relazione con John nel libro “Lost Weekend” (Weekend perduto). E poi in altri due libri: ‘Loving John’ (Warner, 1983) e nel libro fotografico ‘Instamatic Karma’ (St. Martins, 2008). Al termine di quella storia John tornò da Yoko e il 9 ottobre 1975, esattamente il giorno del trentacinquesimo compleanno di John, nacque il secondo figlio del musicista Sean Lennon. Dopo il suo decesso John è stato cremato e una parte delle ceneri sono state sparse nell’oceano Atlantico
John viene tuttora ricordato dai figli Julian (N.d.R. talvolta con rancore per via di un abbandono vissuto più drammaticamente e quando era ancora troppo piccolo) e Sean che successivamente hanno instaurato un buon rapporto di fratellanza. Sean il giorno della morte del padre ha pubblicato due post su Instagram, uno che lo ritrae in una foto ancora piccolo con mamma Yoko e papà John e uno dove scrive un breve sunto della commemorazione del papà. “Oggi la mia bella cugina Akiko ha organizzato una cerimonia con del tè giapponese per mia madre, mio zio, mia sorella e altri miei cugini, in onore di mio padre. Dietro di lei c’era un rotolo personalizzato che aveva ricavato da un vecchio disegno che mio padre le aveva regalato quando eravamo bambini. Sulla tazza da tè che ha dato a mia madre ha disegnato e decorato per questo giorno con esattamente 9 segni di pace. Quando il matcha è finito, c’è stata un’altra sorpresa sul fondo della tazza si leggeva: “I ii iii”, qualcosa che i fan di @yokoonoofficial riconosceranno perché significa le parole “ti amo” dal suo pezzo di Onochord. Il livello di ponderazione e considerazione, la meticolosità e la bellezza erano davvero mozzafiato. Ciò che era iniziato come un giorno difficile per la nostra famiglia mi ha lasciato incredibilmente grato. Grazie Akiko e grazie a tutti per le vostre gentili parole”.
Anche Julian ha pubblicato una foto con papà John, poi una con Sean (in segno di vicinanza al fratello minore, in questo giorno così particolare per entrambi) e poi una bellissima foto di una ‘piuma bianca’, che per Julian ha un significato molto particolare. Julian in passato aveva raccontato che suo padre pochi giorni prima di morire gli aveva detto:
“Se mi dovesse succedere qualcosa, ritornerò sotto forma di una piuma bianca e saprai che sono lì per te”. E così è stato
Durante una cerimonia antica con una tribù aborigena in Australia Julian, che oltre ad essere un bravissimo musicista è anche un eccellente fotografo, raccontò di essersi profondamente emozionato, quando un anziano della tribù all’inizio della cerimonia gli donò una piuma bianca che gli fece tornare alla mente le parole di papà John
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