di Patricia Sinclair
L’incontro con Carol Sudhalter, una delle più note musiciste nel panorama della musica jazz, polistrumentista, avviene all’Ottava Nota di Milano. Di lei avevo letto molto, ma questa è la prima volta che la sento suonare dal vivo. Un’occasione unica che non voglio perdere anche se piove a dirotto e la voglia di uscire di casa è pari a zero. Ma il desiderio di vederla va oltre le mie reticenze. Difatti mi basta arrivare, e sentire le prime note suonate col sax per capire che mi sarei persa un’occasione d’oro. E poi sul palco assieme a lei ci sono alla chitarra Giovanni Monteforte, alla batteria Mimmo Tripodi, e la più giovane Maria Torelli al contrabbasso. Aspetto la fine dell’esibizione per fermarmi con Carol e iniziare la mia intervista. Lei firma qualche autografo, parla con alcune persone del pubblico che si sono avvicinate per stringerle la mano e farle i complimenti per la sua esibizione e quello che mi colpisce guardandola è la sua semplicità. Ma soprattutto la gratitudine che manifesta nei confronti delle persone che sono venute a sentirla suonare. La prima domanda che mi viene da porle è come è riuscita a conquistarsi posto privilegiato nel panorama musicale e lei mi risponde parlando delle sue origini. «La mia è una famiglia di musicisti. Mio padre Albert suonava il sassofono contralto nella zona del New England con le band di Herbie Marsh, Eddy Duchin , Bobby Hackett e altri. Mio fratello maggiore Richard (Sudhalter), soprannominato “Dick”, ha suonato la tromba, la cornetta e ha scritto libri sulla storia del jazz. L’altro mio fratello James ha suonato il sassofono baritono. E così io ho iniziato a studiare il jazz a suonare il pianoforte per primo, esercitandomi per ore e ore fin da bambina. Poi assieme a loro ascoltavo musica jazz, ne studiavo gli stilemi, gli assoli. Così ho imparato man mano a improvvisare almeno mentalmente. E poi l’ho fatto usando gli strumenti. Non ho mai smesso di studiare musica e suonare, anche se i miei studi sono proseguiti verso la biolologia».
Ti sei laureata in biologia allo Smith College, ma poi ha frequentato anche il Conservatorio, insomma non potevi fare proprio a meno della musica jazz…
«Ho studiato biologia perché mi piaceva molto, era una materia che mi ha sempre appassionato, mi sono laureata in questa disciplina e poi ho continuato a studiare flauto con insegnanti privati a Washington DC, New York, Boston, Israele e Italia fino al 1978. Ho studiato teoria e musica di terzo flusso con Ran Blake e Phil Wilson al New England Conservatory of Music. E dagli anni Settanta ho iniziato a dare lezioni private di pianoforte, sassofono e flauto, al Mannes College e al NY Pops Salute to Music Program di New York. Era troppa la voglia di dedicarmi solo alla musica e così ho ripreso a suonare per tante ore. E sempre di più. Ricordo, pochi giorni dopo la laurea, di avere chiesto in prestito un flauto e di avere suonato un brano elaborando sul momento variazioni melodiche o armoniche. Quando è morto mio padre ho pensato che potevo suonare il sax e ho cominciato a suonare anche questo strumento e da allora non ho più smesso».
Non è stato difficile conquistarsi dei riconoscimenti in un mondo, come quello jazz, prettamente maschile?
«Io ho iniziato a suonare da professionista a 32 anni, quando c’erano altri generi musicali che andavano per la maggiore, ma questo non mi ha mai demotivato, ero convinta di ciò che stavo facendo e questo è un messaggio forte che le persone hanno percepito subito. Il rapporto iniziale con i musicisti, quasi sempre uomini, con i quali mi trovavo a condividere un palco inizialmente non è stato semplice, ma quando si instaura un rapporto professionale tutto diventa normale e di routine. Basta mettere dei paletti fin dal principio. Diciamo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta sono davvero cambiate le cose e oltre alla bellezza, veniva riconosciuta anche la bravura di una donna».
Poi hai formato la tua prima band…
«Nel 1978 mi sono trasferita da Boston a New York per unirmi alla prima band latina di sole donne, Latin Fever, poi nel 1986 ho dato vita alla mia prima band l’Astoria Big Band suonando in rinomati jazz club di New York e in molti festival».
Qual è stato il più bel complimento che hai ricevuto?
«Quando mi hanno detto che ero brava, e non hanno più puntato i riflettori solo sul fascino femminile ma sulla performance».
Non è facile formare una band e poi tutta al femminile, come sei riuscita in questa impresa?
«Io abitavo ad Astoria nel Queens e non c’erano luoghi adatti dove potersi esibire. Così ho dovuto attraversare ponti, andare lontano per cercare un posto ideale dove poter suonare. Un altro step difficile è stato trovare gli arrangiamenti giusti che a New York costavano parecchio. Per non parlare dell’organizzazione dei tempi per riuscire a vedersi per suonare assieme. Ma ero molto motivata e questo mi ha fatto superare molti ostacoli ».
Come riesce un’artista a dividersi al meglio tra vita sul palco e quella privata?
«Non è facile trovare il giusto equilibrio, ma bisogna farlo. Bisogna avere una vita privata soddisfacente oltre a una vita lavorativa soddisfacente, perché non sempre la carriera su un palco può andare bene. E viceversa ovvio».
Abbiamo parlato delle difficoltà delle donne a imporsi nel mondo del lavoro, anche in quello della musica jazz, che cosa ne pensi del movimento #MeToo? C’è chi lo esalta e chi lo critica per le accuse venute a galla dopo troppi anni…
«Io ritengo che chiunque abbia subito una violenza abbia il diritto di parlarne quando vuole, quando si sente di farlo. Non è mai troppo tardi per denunciare una violenza. E liberarsene parlandone. Weinstein aveva un potere illimitato e in forza di tanto potere evidentemente si è sentito autorizzato nella sua testa a fare certe cose… meccanismi perversi che hanno cambiato la vita a molte persone. Compresa la sua».
Tu non si sei mai sposata per scelta o perché non hai trovato l’anima gemella? «Ci sono uomini gelosi del successo della propria donna perché hanno la sensazione di perdere il ruolo di protagonista che l’uomo di prassi vuole avere e conservare, in famiglia, nel rapporto di coppia. E questo a volte può essere un problema. Per quanto mi riguarda non sposarmi è stata una scelta come quella di non volere avere figli. Non perché non ami i bambini visto che insegno musica proprio prettamente a loro. Ho tantissimi amici, ma l’idea del “per sempre insieme” mi ha sempre spaventato. Un’alleanza per tutta la vita per me è inimmaginabile»
C’è un musicista in particolare con il quale ti piacerebbe?
«Yo-Yo ma, un violoncellista cinese naturalizzato statunitense. Un vero talento musicale».
Se tu potessi tornare indietro nel tempo che cosa non rifaresti più? E che cosa faresti che non hai fatto?
«Non ho rimpianti particolari, l’unica cosa che mi piacerebbe fare potrebbe essere quella di cancellare le parole dette in momenti di rabbia che possono avere ferito le persone che ho amato».
Tu sei richiesta in tutto il mondo, ma dove ti trovi meglio a suonare?
«In Italia il pubblico è molto caloroso. E mi piace molto suonare qui. A New York siamo più commerciali, la gente credo abbia perso un po’ di sensibilità a forza di correre tutto il giorno e pensare principalmente al business. E poi mi piacerebbe suonare molto anche in Giappone».
Perché proprio in Giappone?
«Perché mi è capitato di esibirmi anche in questo Paese, e durante la mia performance tutti sono rimasti in perfetto silenzio, sembrava che non avessero particolare interesse per la mia musica, non percepivo la minima reazione e interazione da parte del pubblico mentre suonavo. Poi appena ho terminato di suonare mi hanno applaudita per 20 minuti».
Che cosa ti piace dell’Italia?
«Il paesaggio, le piazze, l’architettura dei monumenti, i colori, la preparazione del cibo, oltre che mangiare il cibo italiano».
È un momento molto difficile per il tuo Paese, si parla tutti i giorni principalmente dell’impeachment di Trump, cosa ne pensi?
«Premetto che non esprimerò pareri politici, ma ritengo che finora si è raccolto quello che è stato seminato. Gli americani sono stanchi di questi discorsi che portano solo alla disaffezione generale. Bisogna puntare i riflettori sui bisogni della gente».
Quali saranno i tuoi prossimi progetti?
«Dopo le feste tornerò a New York ci sono 30 allievi che mi aspettano per suonare assieme a loro il flauto, il clarinetto, non vedo l’ora di ricominciare le lezioni».
Qual è l’età giusta per cominciare a suonare uno strumento?
«Di prassi dai 5 anni in poi. Diciamo che l’età media è 7 anni. In ogni caso per iniziare a suonare uno strumento non è mai troppo tardi».
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