di Paola Croce
La riforma Bonafede, Legge n. 3/2019, che prevede lo stop alla prescrizione, dal primo grado di giudizio a partire dall’ 1 gennaio 2020 per effetto della legge Spazzacorrotti voluta dal precedente governo (gialloverde), ha sollevato non poche polemiche e discussioni. Oltre che un paio di scioperi dei penalisti italiani, uno a dicembre 2019 e uno a gennaio organizzato dall’Unione delle Camere Penali che ha proclamato l’astensione degli avvocati penalisti dalle udienze per il 28 gennaio e ha indetto per quella data una manifestazione nazionale davanti alla Camera dei Deputati emblematicamente intitolata “Non nel nostro nome”. Sull’argomento l’ex pm, avvocato Antonio Di Pietro ha detto: “La prescrizione deve cominciare quando si scopre il reato e non quando è commesso”. E poi ha aggiunto: “In un Paese civile, in uno Stato di diritto, una volta che c’è il rinvio a giudizio c’è un solo diritto, quello di vedere come va a finire il processo e quindi sapere se si è innocenti o colpevoli. Questo è l’obiettivo”. Antonio Di Pietro anche ai microfoni di Radio Cusano Campus, ha anche affrontato il discorso dell’interruzione della prescrizione e della riduzione dei tempi del processo: “Sono due gambe dello stesso corpo. Il corpo cammina bene se tutte e due le gambe sono efficienti, se una gamba la fai funzionare e una no ti ritrovi con un’anatra zoppa. Non è sufficiente interrompere la prescrizione per far funzionare la giustizia. I processi una volta che iniziano si devono fare, dopodiché chi non fa le leggi per far finire i processi nei tempi giusti è responsabile di non averle fatte. Ma da qualche parte bisogna iniziare, se no c’è sempre la scusa per non fare niente”.
Su un argomento tanto dibattuto What-u ha voluto sentire il parere di noti avvocati penalisti di tutta Italia. Ecco che cosa hanno detto.
«Attualmente la prescrizione è un istituto che regola sostanzialmente il termine massimo di durata del processo», spiega l’avvocato penalista Danilo Buongiorno (a Milano). «Nell’ambito penale, tale termine inizia a decorrere dalla commissione del fatto ed è pari alla pena massima prevista per il singolo reato, ma mai inferiore a 6 anni per i delitti e 4 per le contravvenzioni. Già ora ci sono degli eventi, per esempio il rinvio a giudizio, la sentenza di primo e secondo grado, che interrompono il decorso della prescrizione, tuttavia il termine massimo non può superare, a prescindere dalle interruzioni, di oltre un quarto il termine ordinario. Pertanto, viene dato un termine massimo, in modo da sollecitare i soggetti del processo, ed in primis il Pubblico Ministero, a svolgere celermente le proprie attività, in modo da non permettere che il cittadino sia sottoposto ad un infinito processo nei suoi confronti. La Riforma Bonafede ribalta tali principi, permettendo astrattamente ad un cittadino, dopo una sentenza solo di primo grado, di rimanere tutta la vita sotto processo. Infatti», prosegue Buongiorno, «non vi sarebbe più decorso di alcuna prescrizione dopo tale sentenza, sia che si tratti di condanna che di assoluzione. Premesso che è vero che attualmente molti processi si estinguono per prescrizione, ma non è questo lo strumento per combattere tale fenomeno, bensì ridurre le formalità del procedimento penale e soprattutto aumentare il numero di Magistrati ordinari o ordinari, in modo da permettere il più veloce svolgimento delle attività di indagine e processuali. Senza i termini di prescrizione, vi sarebbe un’ulteriore dilatazione dei tempi dei processi, in quanto le indagini potrebbero subire naturali allungamenti a discapito dell’indagato. Quindi poiché il cittadino non deve subire un’ingiusta vessazione per inefficienze e/o dilungamenti delle indagini e dei processi, allo stesso non imputabile. Tra l’altro», conclude Buongiorno, «la riforma presenterebbe anche profili di incostituzionalità per violazione del diritto di difesa e dell’equo processo, nonché conflitti evidente con la Carta Europea dei Diritti dell’Uomo». Il giro di pareri nella capitale lombarda prosegue con l’avvocato penalista Edoardo Franzini, che sulla cancellazione della prescrizione dice: «A mio avviso la cancellazione della prescrizione non porterebbe alcun apprezzabile vantaggio in termini di giustizia. A meno di non volere considerare un vantaggio processi infiniti e sentenze di condanna che possono colpire le persone accusate diversi lustri dopo la commissione del fatto. E ciò costituirebbe una regressione rispetto ai principi della funzione rieducativa della pena. Quello che più conta», prosegue Franzini, «sono i principi recepiti e fissati nella nostra Costituzione all’art. 27. Il tutto tra l’altro contrasterebbe con i canoni di giusto processo e le elementari regole della possibilità e affidabilità della prova. Le quali necessariamente svaniscono con il decorrere di tempi lunghi». E riguardo le tanto rievovate falle della giustizia aggiunge: «Le falle della giustizia sono le falle del Paese. Il problema è la grave mancanza di risorse: giudici, personale amministrativo, spazi e forze che possano assicurare un rapido compimento delle indagini e degli adempimenti processuali. Però i numeri che vengono riferiti dal ministro meritano un approfondimento. Perché è vero che la maggior parte dei processi si prescrive nella fase delle indagini preliminari ovvero prima che inizi una qualsiasi attività difensiva. Allora più che alle falle occorrerebbe pensare a dei rimedi che necessariamente devono incidere sul carico dei fascicoli che grava sulle procure. Quindi sarebbe quantomeno auspicabile un nuovo e decisivo intervento nel senso della depenalizzazione di alcune figure di reato piuttosto che un impegno maggiore per la mediazione, strumento che non ha mai trovato uno spazio adeguato nel campo della prassi penale. Riguardo il discorso sollevato dall’ex magistrato Antonio Di Pietro, che ha affermato che prima di pensare alla cancellazione della prescrizione occorrerebbe “lavorare sulla velocità dei processi”, conclude Franzini : «Il cittadino ha diritto a un processo giusto e rapido e la necessità che l’eventuale pena, per essere utile, intervenga in tempi ragionevoli. Non a caso esiste un principio universale di ragionevole durata del processo ed esiste una legge che prevede una sanzione quando questa durata ecceda. Tra l’altro va anche sottolineato che sostenere la riforma della prescrizione è offensivo nei confronti delle persone offese che hanno interesse a un processo rapido e a una sentenza che venga formulata in tempi accettabili».
«La prescrizione è un istituto giuridico non solo di alta democrazia, ma soprattutto posto a tutela del cittadino incolpato che, sino ad una pronuncia definitiva di eventuale condanna, è considerato “non colpevole”», afferma l’avvocato penalista Barbara Berardi del foro penale di Napoli. «Proprio in considerazione del fatto che un cittadino, all’esito del processo, possa essere dichiarato innocente, il nostro ordinamento prevede che questi non possa stare sotto processo per un tempo illimitato di tempo, ma che debba essere giudicato in un tempo congruo. L’art. 111 della nostra Costituzione impone, infatti, “il giusto processo”, che deve essere svolto nel più breve tempo possibile. Ciò ovviamente è anche a tutela della persona offesa dal reato, la quale chiede giustizia ed attende una risposta alle sue doglianze in un breve lasso temporale. Un’eventuale pronuncia di condanna, definitiva, deve intervenire in un tempo congruo al fine di garantire l’effettività della pena, perché altrimenti a cosa serve far espiare la pena ad un condannato a distanza di più di venti anni dai fatti ? Quindi», prosegue la Berardi, «alla luce di tali considerazioni, il mio parere in merito allo “stop” alla prescrizione è certamente negativo. A ciò si aggiunge che il nostro ordinamento ha dei tempi di prescrizione dei reati molto lunghi, è uno dei Paesi europei con i termini di prescrizione più alti. Ricordo che la prescrizione è un istituto rinunciabile e, pertanto, il cittadino innocente ben può decidere di rinunciarvi, facendosi giudicare nel merito. A tal proposito mi preme evidenziare un caso che ho seguito personalmente. Il Presidente pro tempore di una multinazionale americana, la G.E. Medical System Italia S.p.A., che si è trovato prima indagato e successivamente imputato nell’ambito di un procedimento penale, per un’ipotesi di turbata libertà degli incanti solo perché all’epoca dei fatti rivestiva la qualità di Amministratore Delegato, e dunque di legale rappresentante, della predetta società. Tale società aveva presentato un’offerta e si era aggiudicata una gara indetta da SO.RE.SA., la centrale di acquisti campana istituita per la razionalizzazione della spesa sanitaria regionale. L’ipotesi accusatoria posta al vaglio dell’organo giudicante, si fondava sul presupposto che il Presidente della G.E., in concorso con i componenti del tavolo tecnico della SO.RE.SA. e dei Referenti Tecnici Aziendali che si erano occupati della predisposizione e della stesura del disciplinare di gara e del capitolato speciale, era stato agevolato in quanto il bando, così come strutturato, aveva reso impossibile la partecipazione alla gara di altre società produttrici. Il mio assistito, sin dalla fase delle indagini preliminari – cominciata nel 2009 – si è sempre protestato innocente. Nel corso dell’udienza preliminare ha inteso sottoporsi ad interrogatorio al fine di dimostrare la propria innocenza, ma è stato ugualmente rinviato a giudizio. Nel corso del dibattimento, infatti, quando il Collegio giudicante, nel 2017, ha evidenziato lo spirare dei termini di prescrizione, il predetto, unitamente ad altri due imputati, ha personalmente rinunciato alla prescrizione. All’esito di tale udienza, il Collegio ha pronunciato una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di tutti gli altri imputati ed il processo è proseguito esclusivamente a carico dei soli tre imputati che avevano rinunciato alla prescrizione. Dopo ulteriori due anni e mezzo, il mio assistito è stato assolto con formula piena, “perché il fatto non sussiste”. Con questo voglio evidenziare che oggi rinunciare alla prescrizione, con le enormi disfunzioni del sistema giudiziario che certamente non tranquillizzano e non tutelano l’imputato, è un vero atto di coraggio. Non è da tutti, così come si è visto anche nel processo citato, rinunciare alla prescrizione perché il sistema giustizia è caratterizzato da una eccessiva “burocratizzazione” in danno della libertà di determinazione. Quindi», aggiunge la Berardi, «a fronte di un sistema certamente non idoneo a tutelare i cittadini non si può pensare di adottare un provvedimento che si pone in contrasto con il dettato costituzionale. Per non parlare, poi, del gran numero di ingiuste detenzioni alle quali lo Stato deve far fronte ed alle quali ha ovviato con un escamotage non condivisibile: se l’imputato sottoposto a misura cautelare carceraria, poi assolto in via definitiva, nel corso dell’interrogatorio di garanzia si è avvalso della facoltà di non rispondere (facoltà prevista e garantita dal nostro ordinamento), allora non avrà diritto al risarcimento per l’ingiusta detenzione in quanto non ha “collaborato” con lo Stato. Occorre una sana riforma del sistema giustizia», conclude la Berardi, «e soprattutto un potenziamento sia del numero magistrati sia di quello del personale amministrativo affinché venga garantita l’effettività della giustizia e del giusto processo».
Sul fronte del no riguardo la cancellazione della prescrizione si pone anche l’avvocato penalista Fabio Borriello di Napoli. «Sono fermamente contrario alla disciplina della prescrizione da poco entrata in vigore. L’estinzione del reato a causa del decorso del tempo dalla sua commissione è un istituto fondamentale di uno Stato di diritto. La giustizia non può pendere sulla testa di un cittadino per un tempo indefinito come accadrà grazie all’attuale riforma. Con la riforma dell’istituto, una volta conclusosi il primo grado di giudizio, il tempo non correrà più e il cittadino resterà imputato per un tempo indefinibile. Infatti, nella maggior parte dei casi, non ci sarà nessuna fretta a fissare il giudizio di appello, il quale potrebbe essere fissato anche dopo molti anni dal fatto. Le falle della giustizia sono evidenti a chiunque frequenti un’aula di giustizia. La situazione, soprattutto in alcuni Tribunali del Sud, è drammatica. Il personale amministrativo svolge un ruolo fondamentale e delicatissimo nell’arco dell’intero procedimento penale e per tale motivo gli organici vanno necessariamente ampliati. Altra carenza è nell’organico della magistratura in alcuni tribunali. Assistiamo ogni giorno ad udienze monocratiche in cui il giudice ha 35-40 processi da trattare con rinvii anche a distanza di anni. E’ una situazione intollerabile per tutti gli operatori del diritto e in primis per gli imputati e le persone offese. Condivido pienamente e ritengo che il processo penale possa essere velocizzato solo attraverso un ampliamento considerevole del personale amministrativo. Con l’attuale riforma della prescrizione non si velocizza affatto il processo. Accadrà proprio il contrario, invece. Si attuerà il processo infinito, un dramma sia per le vittime che per gli imputati, che ricordo sommessamente non possono essere considerati colpevoli fino alla condanna definitiva», conclude Borriello.
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