di Colin Anthony Groves
Chen Qiushi, Fang Bing e Li Zehua sono tre giornalisti cinesi che dopo avere divulgato notizie, report scioccanti su quanto stava avvenendo a Wuhan, rischiando tra l’altro la loro stessa vita per fare il loro lavoro di cronisti, sono scomparsi dalla circolazione. La Cina si sa è un paese che offre molto sotto tanti punti di vista, ma occorre sottostare a determinate ‘regole scritte e non’ e chiunque deroghi a questo principio paga sempre lo scotto. Perché in Cina il potere è centralizzato, l’autonomia del singolo è inesistente, queste sono le regole del Partito Comunista, sebbene Deng Xiaoping, durante il suo mandato, dal 1978 al 1992, fu il più lungimirante e nel contempo anarchico capo di Stato, visto che riuscì in un’impresa per molti impossibile e o inaccettabile, quella di favorire il riconoscimento costituzionale della proprietà privata e l’apertura del mercato a investimenti esteri, senza perdere il controllo dello Stato.
Tornando alla questione dei cronisti, il mistero della loro scomparsa si infittisce perché è da febbraio che nessuno è in grado di una risposta, riporta il Daily Mail. “Il loro errore è stato quello di divulgare la vera portata dell’epidemia a Wuhan caricando video su YouTube e Twitter, entrambi vietati nella Cina continentale”, riporta il Daily Mail, teoria confermata a What-u anche da un’anziano cinese da tempo residente in Italia.
Di Chen, 34 anni, secondo i post sul suo account Twitter, non si sa più nulla dalle 7 ora locale del 6 febbraio.
La sua scomparsa è stata rivelata da un post sul suo account Twitter, scritto da un amico autorizzato a parlare per suo conto che diceva: ‘Chi può dirci dove e come è Chen Qiushi in questo momento? Quando qualcuno potrà parlare di nuovo con lui? Chen Qiushi è rimasto fuori contatto per 68 giorni dopo aver coperto il coronavirus a Wuhan. Per favore, salvalo !!! ‘
Anche Fang Bin, residente a Wuhan, è scomparso dallo scorso 9 febbraio dopo aver pubblicato una serie di video, incluso uno che mostrava pile di cadaveri caricati su un autobus fuori dall’ospedale di Wuhan. C’è chi dice che sia stato arrestato, c’è chi dice che si trovi in un campo di rieducazione. Nel suo ultimo video, secondo quanto raccontato da Radio Free Asia (RFA) si vedono agenti che bussano alla sua porta per misurargli la temperatura corporea mentre Fang dice loro di andarsene rispondendo che non ne ha bisogno.
Infine, Li Zehua, 25 anni, è il più giovane dei tre e il reporter. Anche la sua scomparsa risale a febbraio, per la precisione al 26 febbraio.
È probabile che Li sia stato preso di mira dalla polizia segreta dopo aver visitato l’Istituto di Virologia di Wuhan, un centro costato 34 milioni di sterline, indicato secondo molte teorie del complotto come il centro dal quale il virus ha avuto origine. Ma queste sono solo ipotesi tuttora non supportate da evidenze certe. Motico per cui ovviamente What-u è più che disponibile a pubblicare la replica del Governo cinese.
Un membro del Congresso americano ha recentemente invitato il Dipartimento di Stato a sollecitare la Cina a indagare sulla scomparsa dei tre giornalisti. Anche il repubblicano Jim Banks ha chiesto al governo degli Stati Uniti di iniziare un’indagine. Gli amici di Chen, Fang e Li hanno chiesto l’aiuto di Trump. Oltre ai nomi dei tre reporter, nella lista degli scomparsi c’è anche quello del magnate ed eminente membro del partito comunista, Ren Zhiqiang, scomparso dopo aver definito il presidente Xi un “pagliaccio” per il modo in cui ha gestito della crisi.
Critica che gli è costata l’accusa di “grave violazione della disciplina e della legge”.
Nella lista dei ‘bad boys’ risulta anche un altro cittadino cinese, Xu Zhiyong che è stato arrestato dopo aver pubblicato una serie di post che criticavano gli interventi del Partito Comunista dopo lo scoppio del Coronavirus. Ora pare che Zhiyong, ex docente di legge, dal 15 febbraio, si trovi in carcere per l’accusa di “incitamento alla sovversione statale”. Ma c’è anche chi dice che possa trovarsi in un campo di rieducazione.
E allora se gli amici dei tre reporter invocano l’aiuto di Trump, ci è sembrato umano unirsi al loro appello, non per essere irrispettosi nei confronti del Governo cinese, ma per difendere un principio che riteniamo basilare in qualsiasi forma di governo esistente al mondo, quello della libertà di espressione.
La Cina e i 6 giorni di ritardo nel comunicare i contagi del nuovo virus
Ora la Cina viene accusata di avere avvisato con un ritardo di sei giorni che stavano affrontando un’epidemia causata da un nuovo coronavirus, il cui epicentro è stata la città di Wuhan.
Il presidente Xi Jinping pare abbia avvertito la popolazione dell’arrivo di questo virus il 20 gennaio, ma in realtà la notizia che il virus fosse già largamente diffuso a lui era già nota dal 14 gennaio. Sei giorni non sembrano tanti, in realtà visto la rapidità con la quale il virus ha contagiato così tante persone e tenuto conto dei milioni di persone che abitano Wuhan, è inconfutabile che questo sia stato un grande errore.
Ma quel ritardo non è stato né il primo errore commesso dai funzionari cinesi a tutti i livelli nell’affrontare l’epidemia, né il ritardo più lungo, visto che poi anche in altri paesi tanti altri capi di Stato non hanno affrontato il problema del Coronavirus con la dovuta immediatezza. Evidentemente nel tentativo di evitare il panico e il blocco economico non potendo prevedere in anticipi così tanti contagi, oltre 2 milioni di persone e oltre 133.000 vittime. Va anche detto che i rigidi controlli cinesi sull’informazione, gli ostacoli burocratici e la riluttanza a fare trapelare brutte notizie, non ha incoraggiato nessuno a dire la verità, soprattutto dopo la punizione di 8 dottori che hanno osato dire la loro.
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