di Matteo Ciacci
In Lombardia non si è passati ancora alla Fase 2. “Nell’ipotesi in cui l’evoluzione del virus dovesse andare in senso positivo e ci fossero le condizioni, noi il 4 maggio dovremo essere pronti per la riapertura, purché non prescinda mai dalla sicurezza dei nostri cittadini e lavoratori“, ha dichiarato il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, in collegamento con Mattino Cinque. “La condizione ineludibile per parlare di riapertura è che ci sia il via libera della scienza. Se la scienza ci dirà bisogna stare chiusi staremo chiusi, però allo stesso tempo non possiamo farci trovare impreparati”, ha aggiunto Fontana.
Ieri i dati resi noti dal vicepresidente della Regione Lombardia Fabrizio Sala hanno evidenziato che si è registrato un lieve miglioramento, ma Sala ha precisato: “Siamo ancora nella Fase 1”. Secondo i numeri di ieri i positivi in Lombardia hanno toccato quota 63.094 con un aumento di 941 nuovi casi, mentre il giorno precedente ossia il 15 aprile sono stati registrati 827 contagi. Sul fronte tamponi ieri ne sono stati eseguiti 10.706, mentre il giorno precedente poco più di 7000. I decessi sono saliti a 11.608 con un aumento di 231 vittime meno di quelli registrati il 15 aprile che sono stati 235. Calano i ricoverati sia in terapia intensiva (1.032) e soprattutto negli altri reparti (11.356).
Nel frattempo la polizia italiana sta indagando sui decessi avvenuti nella nota casa di cura Pio Albergo Trivulzio, dove sono morte 190 persone dall’inizio dell’epidemia causata dal Coronavirus. I pubblici ministeri hanno avviato un’indagine dopo che le accuse del personale sono state rese pubbliche secondo cui la direzione ha proibito a medici e infermieri di indossare maschere protettive, per paura di spaventare i residenti. Un medico ha affermato che la direzione ha minimizzato il rischio di infezione e attribuito erroneamente i decessi avvenuti a causa del Coronavirus ad altre cause di morte. Fontana ha dichiarato di aver aperto una commissione d’inchiesta sulle morti avvenute nella casa di cura. Gli investigatori hanno sequestrato molti documenti e in prim’ordine le cartelle cliniche dei deceduti. Ora i parenti chiedono risposte dopo aver saputo che al personale medico era stato proibito indossare indumenti protettivi. La direzione della casa, ha cercato di minimizzare, affermando che il numero di morti nelle ultime settimane era in linea con le cifre del 2019. Fontana ha precisato che che le autorità indagheranno anche sulla “situazione reale” nelle case di cura della regione, nel timore di perdere un gran numero di casi e morti.
‘Milano non è l’unico caso in Italia. Ci sono state situazioni simili vicino a Catanzaro, in Sicilia e nel Lazio. Non sto identificando un solo posto, stiamo controllando su tutta la linea”, ha aggiunto il vice ministro italiano della sanità Pierpaolo Sileri.”C’è stata una sottovalutazione dei decessi nelle case di cura, è inutile negarlo”, ha dichiarato Giovanni Rezza, epidemiologo responsabile dell’Istituto Superiore di Sanità. E visto che il bilancio dei decessi è stato così alto, l’Istituto Superiore di Sanità ha iniziato un’indagine specifica sulle case di cura a livello nazionale per cercare di capire cosa non ha funzionato.
“I numeri della mia Regione mi impongono la linea del rigore e della prudenza, ma nello stesso tempo continua il lavoro per mettere in sicurezza le attività produttive della nostra Regione e farci trovare pronti quando i medici ci diranno che si potrà ripartire”, queste le parole di Alberto Cirio presidente della Regione Piemonte a 24Mattino su Radio 24. “Quando l’interruttore si rialzerà dobbiamo farci trovare pronti a produrre e fare ripartire economia in sicurezza. La data di riferimento per una nuova normalità è il 4 maggio, ma saranno i dati del contagio e la scienza che ci diranno se ci saranno le condizioni per ripartire, credo che la prima decade di maggio possa essere il momento opportuno”.
Riaperture? “Invoco una strategia nazionale perché al momento non la vedo”, ha detto Cirio. “Io sono a disposizione, ma il governo non deve ripetere l’errore che ha fatto con le misure di contenimento di inizio marzo fatte per provincia. Abbiamo bisogno di omogeneità territoriale, di aree geografiche come il Nord Ovest. I numeri della mia Regione”, ha aggiunto, “mi impongono la linea del rigore e della prudenza, ma nello stesso tempo continua il lavoro per mettere in sicurezza le attività produttive della nostra Regione e farci trovare pronti quando i medici ci diranno che si potrà ripartire. Quando l’interruttore si rialzerà dobbiamo farci trovare pronti a produrre e fare ripartire economia in sicurezza. La data di riferimento per una nuova normalità è il 4 maggio, ma saranno i dati del contagio e la scienza che ci diranno se ci saranno le condizioni per ripartire, credo che la prima decade di maggio possa essere il momento opportuno”.
Nel frattempo la Regione Emilia-Romagna ha deciso che anche gli operatori del settore penitenziario saranno sottoposti allo screening sierologico per rilevare gli anticorpi per SarsCov2. Le Ausl proporranno i test alla polizia penitenziaria, ai dipendenti dell’amministrazione e della giustizia minorile, prendendo contatti con le carceri. A Bologna gli esami riguarderanno anche il provveditorato regionale. A Forlì e Piacenza, dove erano già stati fatti i tamponi, si valuterà in un secondo momento se procedere anche coi test. Si dicono soddisfatti i rappresentanti del sindacato Sappe: “E’ stata una nostra richiesta fin dall’inizio dell’emergenza epidemiologica, perché riteniamo che sia l’unico modo per preservare la salute di operatori ad alto rischio di contagio, ma anche per contenere la diffusione del virus all’interno del carcere, un ambiente chiuso, ma reso permeabile dall’esterno, attraverso coloro che vi accedono quotidianamente”, commenta Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto. “Celebrare la messa senza popolo è un pericolo”, ha detto Papa Francesco nell’omelia della messa a Santa Marta, “queste modalità a distanza sono legate al momento difficile, ma la Chiesa è con il popolo, con i sacramenti. Non si può ‘viralizzare’ la Chiesa, i sacramenti, il popolo. È vero che in questo momento occorre celebrare a distanza, ma per uscire dal tunnel, non per rimanere così, perché la Chiesa è familiarità concreta con il popolo. “Questa non è la Chiesa, è una Chiesa in una situazione difficile”.
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