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ISTAT, TURISMO IN ITALIA: PERSI QUASI 40 MILIARDI PER LA PANDEMIA COVID-19


“Per riportare su un sentiero di discesa deficit e debito dopo la crisi non serviranno misure lacrime e sangue ma una seria lotta all’evasione”, ha affermato il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, in audizione alla Camera sul Def. “La politica di bilancio sarà espansiva sia nel 2020 sia nel 2021 e negli anni successivi dovremo ridurre il deficit e il rapporto debito/Pil”

Uno degli effetti economici più immediati della crisi associata al Covid-19 è stato il blocco dei flussi turistici. I primi effetti sono già emersi a febbraio, con il diffondersi dell’epidemia in molti paesi, ma è agli inizi di marzo che si è giunti all’azzeramento dell’attività in corrispondenza dei provvedimenti generalizzati di distanziamento sociale. In base al DCPM n.19 del 25 marzo, le strutture ricettive di tipo extra-alberghiero sono state considerate attività non essenziali e, salvo eccezioni, hanno chiuso. Ricadute negative le hanno registrate anche impatti di rilievo: si tratta della ristorazione, di diverse componenti dei trasporti e, in misura più contenuta, del commercio. Poiché al momento l’orizzonte di ripresa delle attività connesse alla domanda turistica è del tutto incerto, è utile comporre un quadro delle informazioni statistiche relative a questo insieme di attività che rappresenti la dimensione economica del problema.

Dalle attività legate al turismo il 6% del valore aggiunto

La domanda turistica attiva un insieme di settori che concorrono a fornire i servizi richiesti dai visitatori, siano essi nazionali o stranieri. Ciò spiega perché circolano stime molto differenti del cosiddetto “impatto” del turismo sull’economia.

Dal punto di vista statistico, lo strumento internazionalmente riconosciuto e raccomandato per valutare la dimensione economica dell’industria turistica è il Conto Satellite del Turismo (CST) che considera in maniera specifica esclusivamente le attività produttive caratteristiche del turismo anche se ricadono in diverse branche di attività economica: alberghi, pubblici esercizi, servizi di trasporto passeggeri, agenzie di viaggio, servizi ricreativi e culturali, commercio al dettaglio e servizi abitativi per l’uso delle seconde case di vacanza. A queste si aggiungono quote di attività solo parzialmente legate alla domanda di prodotti caratteristici del turismo, quale ad esempio il trasporto pubblico su strada

La stima riferita al 2015 del CST è al momento l’ultima disponibile. Il valore aggiunto prodotto in Italia dalle attività connesse al turismo è stato in quell’anno pari a circa 88 miliardi di euro, ovvero il 6,0% del valore aggiunto totale dell’economia; il consumo turistico interno ammontava a circa 146 miliardi. L’Istat sta elaborando nuove stime riferite al 2017 che saranno diffuse a breve. Al momento i risultati preliminari indicano che l’incidenza del valore aggiunto attribuibile al turismo è rimasta pressoché invariata rispetto a quella di due anni prima.

Italia al primo posto in Europa per esercizi ricettivi

L’Italia è al primo posto in Europa per quota di esercizi ricettivi sul totale Ue, pari a più del 30% nel 2018.

La capacità ricettiva nel nostro Paese è caratterizzata da un ingente numero di piccole strutture extra-alberghiere. Per l’anno 2018, l’Istat ha rilevato infatti circa 183 mila esercizi extra-alberghieri e 33 mila esercizi alberghieri. Rispetto al 2015, i primi sono aumentati di oltre un terzo (+36,2%), mentre gli alberghi hanno subito una lieve riduzione (-0,9%)

I relativi posti letto sono 5,1 milioni (44,2% negli esercizi alberghieri), concentrati per circa la metà in cinque regioni: Veneto (15,4% del totale), Toscana (11,1%), Emilia-Romagna (9,0%), Lazio (7,6%) e Lombardia (7,3%).

Dopo un biennio di flessione (2008 e 2009) conseguente alla crisi economica, a partire dal 2010 il turismo ha registrato un trend di crescita costante nei 28 Paesi dell’Unione europea: nel 2019 sono state circa 3,2 miliardi le presenze di clienti negli esercizi ricettivi europei. L’Italia è il paese europeo con la quota maggiore di presenze di clienti di residenza estera dopo la Spagna (rispettivamente 50,6% e 63,8% nel 2019) ma prima di Regno Unito (43,9%) e Francia (30,5%), che hanno un turismo prevalentemente domestico.

Il 2019 anno positivo per gli esercizi ricettivi italiani

Nel 2019 il turismo in Italia ha fatto registrare 130,2 milioni di arrivi e 434,7 milioni di presenze negli esercizi ricettivi, con un aumento di 42 milioni rispetto al 2015. Nonostante la crescita sia stata trainata dal settore extra-alberghiero, le strutture ricettive alberghiere mantengono un ruolo prevalente con oltre il 64% delle presenze. Dal 2017 i clienti stranieri rappresentano la componente di maggior peso negli esercizi ricettivi italiani, 50,6% nel 2019: con un ritmo di crescita quasi doppio negli ultimi tre anni (+14,1 contro +7,3%), hanno capovolto la precedente situazione che assegnava alla clientela domestica la quota maggioritaria di presenze. A livello territoriale è il Veneto a detenere la quota maggiore di presenze turistiche nell’ultimo anno (16,4% sul totale Italia), seguono Toscana (11%), Emilia-Romagna (9,3%), Lombardia (9,2%) e Lazio (9). Nel Mezzogiorno nessuna regione raggiunge una quota pari al 5%, con l’eccezione della Campania (5%).

In primavera un quinto delle presenze turistiche dell’anno

L’arresto dei flussi turistici a partire perlomeno da marzo ha azzerato un’attività che proprio nel trimestre marzo-maggio ha la sua fase di rilancio stagionale, favorita dal susseguirsi di occasioni tra le festività pasquali e la Pentecoste (rilevante soprattutto per l’afflusso estero). Risulta quindi importante capire quale sia la dimensione della perdita associabile a tale periodo, facendo riferimento a ciò che  era accaduto  lo scorso anno. Nel trimestre marzo-maggio 2019 si sono registrate in Italia circa 81 milioni di presenze turistiche, pari al 18,5% del totale annuale. La media europea nello stesso trimestre è leggermente superiore (20,9%) perché tiene conto delle percentuali, più alte rispetto all’Italia, di alcuni paesi come la Germania (23,5%), il Regno Unito (22,5%) e la Spagna (22,4%), dove la distribuzione del turismo nell’arco dell’anno è meno caratterizzata dal picco della stagione estiva. La composizione della domanda di turismo in Italia indica che nella stagione primaverile la clientela estera è (con il 56% delle presenze) più rappresentata che nel resto dell’anno. Quanto alla tipologia di alloggio, a primavera le strutture alberghiere risultano di gran lunga le preferite, con una quota significativamente superiore a quella annua (70,6%). Nel complesso, in questo periodo si concentra il 20,3% delle presenze annuali nelle strutture alberghiere e circa il 23% delle presenze di clienti stranieri, a conferma dell’importanza di questo trimestre per il settore alberghiero e turistico. Gli alberghi a 4 e 5 stelle sono gli esercizi ricettivi nei quali le presenze del trimestre raggiungono la quota più elevata rispetto al totale annuo (22,3%): contrariamente alle strutture extra-alberghiere che, tra marzo e maggio, non vanno oltre l’11% delle strutture open air e il 19% di B&B e altri extra-alberghieri.

10 miliardi di euro la spesa “mancata” degli stranieri tra marzo e maggio

Una indicazione interessante riguardo all’impatto economico della drastica riduzione dei flussi di turismo proviene dai dati sulla spesa turistica effettuata negli scorsi anni dagli stranieri, la cui misura proviene dall’indagine del Turismo Internazionale della Banca d’Italia. Nel 2019, la spesa complessiva dei viaggiatori stranieri in Italia ammonta a circa 44,3 miliardi euro; al suo interno la componente più consistente è quella per i servizi di alloggio, che ne rappresenta circa la metà, seguono la ristorazione con oltre un quinto del totale e, con quote inferiori, lo shopping e il trasporto. Considerando il solo trimestre marzo-maggio del 2019, tale componente è risultata pari a 9,4 miliardi di euro. Quest’anno, nello stesso periodo, la quasi totalità del normale flusso di spesa effettuato da viaggiatori stranieri è destinato a risultare nullo. L’importanza della clientela straniera in questo periodo dell’anno è confermata anche dai dati di flusso della spesa turistica annua nella situazione pre-crisi: essi mostrano, tra marzo e maggio, un’incidenza della componente straniera (circa il 21,4% del totale annuo) significativamente più elevata di quella domestica (vicina al 16% sulla base di stime tratte dall’indagine su Viaggi e Vacanze).

Settore ricettivo: un fatturato da quasi 26 miliardi di euro

Una delle questioni cruciali per il settore turistico è che l’attuale crisi, provocata dal blocco necessario per contrastare l’emergenza sanitaria, è destinata a perdurare pur con forme attenuate anche nel prossimo futuro. Per valutare questi aspetti è importante conoscere le dimensioni del tessuto produttivo esposto direttamente agli effetti di tale crisi. Dal Registro esteso sulle imprese “Frame-SBS”, che contiene dati individuali su tutte le imprese industriali e dei servizi attive nel nostro paese (circa 4,4 milioni di unità) emerge che, nel 2017, il settore ricettivo in senso stretto è composto da oltre 52 mila imprese, di cui quasi 24 mila operanti nel comparto alberghiero e quasi 27 mila in quello degli alloggi e altre strutture per vacanze; completano il quadro circa 2 mila imprese attive nel campo dei soggiorni all’aria aperta. Questo insieme di imprese impiega quasi 283 mila addetti, di cui 220 mila dipendenti; la componente degli alberghi è del tutto prevalente in termini di occupazione (75% degli addetti). Dal punto di vista del risultato economico il comparto ricettivo registra un fatturato di 25,6 miliardi di euro, a cui le imprese alberghiere contribuisco per 20,1 miliardi. Un altro comparto del tutto dipendente dalla domanda turistica è quello dei servizi delle agenzie di viaggio, tour operator e servizi di prenotazione: oltre 17 mila imprese, che impiegano circa 50 mila addetti e hanno fatturato 12 miliardi di euro nel 2017.



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