di Patrizia De Lellis
A 2 giorni dall’inizio della tanto attesa fase 2, che ha celebrato la riapertura solo di alcune attività, proseguono le polemiche sulla mancanza di informazioni e anche su quello che doveva essere detto e fatto.
«L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha detto tutto e il contrario di tutto e aggiungerei anche che è corresponsabile in parte con la Cina per quello che è successo, per la diffusione dei contagi, potevano essere a mio avviso controllati se avessimo avuto informazioni più dettagliate”, questo è ciò che ha detto ieri sera il professor Andrea Crisanti, ordinario di microbiologia dell’Università di Padova e consulente scientifico della Regione Veneto, intervistato sulla ripartenza dell’Italia dopo settimane di lockdown e le differenze con il “modello svedese”, da Mario Giordano a “Fuori dal Coro”, in prima serata su Retequattro.
Il professor Andrea Crisanti, ordinario di microbiologia dell’Università di Padova e consulente scientifico della Regione Veneto
“Il “modello svedese” non credo che sia applicabile in altri luoghi e poi tenga presente che gli svedesi stanno pagando un prezzo altissimo, hanno una popolazione che è circa 6 volte inferiore a quella dell’Italia e hanno credo 2.400 morti, se lei moltiplica per 6 fa circa 20.000 morti, e hanno una delle mortalità più alte d’Europa rispetto al numero dei casi. E poi è un Paese completamente diverso, ha dei grandissimi spazi, è molto più grande dell’Italia, ha una densità di popolazione bassissima e hanno abitudini sociali molto diverse. Adesso non vorrei fare una battuta, ma sul distanziamento sociale probabilmente non hanno dovuto fare grandi sforzi per applicarlo, nel senso che i ragazzi escono da casa molto presto, i nonni non li vedono quasi mai, insomma non si può paragonare il tessuto sociale affettivo della Svezia, che è diverso da quello dell’Italia, della Spagna ma anche della Francia”. Sulla “Fase 2” avviata dall’Italia, il professor Crisanti ha poi aggiunto: «Io penso che le modalità della nostra ripartenza sono il risultato di una mancanza di informazione o di analisi sul rischio reale e di una serie di pressioni per riaprire, per questo sembra anche un po’ caotica e non razionale. Fatte queste considerazioni, è basata sulla prudenza perché in qualche modo dice “facciamo un pochetto alla volta, aspettiamo due settimane e vediamo cosa succede. Solo fra otto giorni sapremo qual è stato l’impatto di queste misure e poi gli effetti negativi si prolungheranno per altre due settimane. Quindi questo lo sapremo guardano il numero dei casi, il numero dei ricoveri. Io penso che uno degli aspetti più importanti della cosiddetta ripartenza sia avere una chiarissima visione dei dati e di come utilizzarli».
Rispetto all’eventualità che il virus riprenda forza, Crisanti ha precisato: «Ci sono due aspetti, uno è legato alla trasmissione e chiaramente c’è una minore trasmissione perché siamo stati tutti quanti in casa per tantissimo tempo e molte persone non si sono infettate. C’è una componente che penso molti incominciano anche a riconoscere che è dovuta a fattori ambientali, nel senso che in climi caldi e non umidi il virus perde capacità infettante. Sul fronte ‘virulenza’ chiaramente diminuendo il numero dei contatti, diminuisce anche la carica infettiva e la possibilità che le persone si infettino più di una volta». E riguardo la diffusione del Coronavirus tramite punture di zanzara, Crisanti ha aggiunto: «La ritengo una possibilità estremamente remota, la capacità delle zanzare di trasmettere malattie è il risultato di un processo evolutivo di decine e decine di migliaia di anni, non immagino possa accadere, altri Coronavirus non vengono trasmessi dalle zanzare». E sulla durata del Virus, che alcuni scienziati americani sostengono sarà di circa 18 mesi, Crisanti ha dichiarato: «Guardi, non faccio l’indovino, senza dei dati non mi pronuncio. La risposta è non lo so». Analizzando la cura sperimentale al plasma su cui la comunità scientifica sta dibattendo, Crisanti si è detto positivo: «E’ una cura che anche in passato su alcune malattie e situazioni ha dato risultati molto importanti. La somministrazione di immunoglobuline avviene ogni volta che una persona magari ha un incidente e fa la profilassi per il tetano, avviene nel caso di contatti con cani che si sospettano possano avere la rabbia. Diciamo che è una procedura che funziona, nel caso specifico del Coronavirus ci sono risultati molto promettenti. Alcuni pazienti, specialmente quelli che si sono ammalati in forma grave e che hanno superato la malattia producono anticorpi; questi anticorpi hanno la capacità di neutralizzare il virus in colture cellulari e hanno un effetto di guarigione, cioè accelerano, la guarigione nelle persone che stanno molto male».
Roberto Francese, sindaco di Robbio
Mentre la regione Lombardia ‘apre’ ai test sierologici nei laboratori privati, Roberto Francese, sindaco di Robbio, piccolo comune in provincia di Pavia e primo nella regione a effettuare questo tipo di esami ai suoi residenti, fa sapere di avere “400 ‘vaccini umani’” pronti a salvare vite attraverso la donazione del loro plasma ma che non possono farlo a causa della burocrazia. “Vogliono uccidere 400 persone perché il protocollo prevede che vadano bene solo i test fatti dalla Diasorin, unica accreditata dalla Regione. Dai nostri test non validati ma con marchio CE, alcuni già autorizzati dall’Emilia Romagna”, ha detto il sindaco all’AGI, “risultano 400 cittadini con valori altissimi di anticorpi IgG, cioé quelli che indicano un’infezione che si è verificata molto tempo prima. Hanno tutti espresso la volontà di donare il loro plasma al Policlinico San Matteo di Pavia, dove questa cura sta ottenendo eccellenti risultati, ma non possono. Ho scritto all’assessore Gallera chiedendogli perché non approfittiamo di questa opportunità di salvare delle vite. Se poi gli anticorpi diminuiranno di chi sarà la colpa dei morti? Possiamo salvare delle vite insieme, ma bisogna partire subito per rispettare i protocolli”.
Nei giorni scorsi, Ats, l’azienda territoriale sanitaria, ha scritto ai sindaci lombardi ‘ribelli’, che hanno eseguito di loro iniziativa i test, ribadendo che i loro esami “non risultano al momento validati dalle autorità competenti in materia” e “non sono coerenti con le indicazioni regionali”. Tuttavia, si legge nel documento, “a scopo precauzionale si raccomanda ai sindaci, ai medici competenti e alle aziende che vengano a conoscenza di un esito positivo a uno di tali test di porre in isolamento fiduciario la persona e i relativi contatti”
Francese ha poi aggiunto di avere “chiamato personalmente” la Diasorin, la società che produce i test accreditati dalla Regione “ma dicono che non me li vendono, sebbene mi sia offerto di pagarli di tasca mia per avere la conferma dei nostri test. La ragione non la conosco. Vogliono uccidere vite umane per un principio. Ora la Regione dice che farà eseguire i test ai privati, mi fa piacere”, aggiunge Francese. “Sono stati persi due mesi per fare esattamente quello che noi abbiamo fatto due mesi fa, spero che almeno chieda scusa”. Non è la prima volta che Robbio polemizza contro la regione Lombardia, sottolineando anche in questo caso un primato di Robbio sul fronte tempestività delle cure. Il 14 aprile aveva dichiarato all’Ansa: “Finalmente anche Regione Lombardia ha riconosciuto l’importanza dei test sierologici. Speriamo partano presto. Ci avevamo visto giusto e con un mese di anticipo”. What-u per correttezza di cronaca ha ovviamente contattato anche Giulio Gallera, l’Assessore al Welfare di Regione Lombardia per una replica, ma non ci ha risposto.
“Nel frattempo”, scrive La Gazzetta di Mantova, “continua la traiettoria discendente del contagio in provincia di Mantova, seppur con un andamento altalenante dovuto più che altro a un volume di raccolta e trattamento dei tamponi non tutti i giorni uguale”. Lo scorso 29 aprile, sono stati soltanto 8 i casi positivi in più rispetto al giorno prima, quando ne erano stati registrati 24. In tutto i mantovani colpiti dal Coronavirus (quelli accertati) sono stati 3.057. Nel frattempo, riferisce sempre il quotidiano di Mantova, “si è conclusa la prima sperimentazione sull’utilizzo del cosiddetto plasma convalescente nei pazienti critici affetti da Covid-19.
Giuseppe De Donno, direttore della Pneumologia dell’ospedale Poma di Mantova
Lo studio, condotto dal Poma assieme al Policlinico San Matteo di Pavia a partire da marzo, ha visto il coinvolgimento di varie strutture dell’ospedale di Mantova. L’Immunoematologia e medicina trasfusionale, diretta da Massimo Franchini, la Pneumologia, diretta da Giuseppe De Donno, la Medicina di laboratorio, diretta da Beatrice Caruso e Malattie infettive, diretta da Salvatore Casari. Procede intanto a pieno regime all’Immunoematologia e Medicina trasfusionale del Poma la raccolta del plasma da pazienti guariti, con un ritmo di 6-7 prelievi al giorno. Una gara di solidarietà da parte dei donatori, oltre 60, che si propongono anche da fuori provincia e da altre regioni.
A breve partiranno nuove sperimentazioni, alle quali l’Asst di Mantova aderirà per continuare a utilizzare questa terapia antivirale contro il coronavirus. Come funziona la sperimentazione di questa terapia? Da ogni prelievo di plasma da donatore guarito si ricavano due dosi da trasfondere ai malati. I potenziali donatori sono persone guarite, sottoposte a due tamponi a distanza di ventiquattro ore l’uno dall’altro che devono risultare negativi. La procedura viene eseguita con apparecchiature e dispositivi donati ad Asst da un’azienda specializzata, la Kedrion, ha spiegato il primario di Immunoematologia, Massimo Franchini alla Gazzetta di Mantova: “Ogni sacca di plasma, prima di esser trasfusa, viene virus inattivata con una metodica particolare che rende massima la sicurezza del prodotto”. Gli oltre sessanta donatori hanno permesso cinquanta infusioni a malati di Covid, con risultati che sembrano incoraggianti. La metà dei donatori di plasma iperimmune viene reclutata dall’Avis. Nel frattempo si sono mossi anche i NAS, il nucleo antisofisticazioni per chiedere informazioni all’ospedale di Mantova sulla donna incinta guarita con la terapia del plasma. De Donno ha replicato sia sul suo profilo Facebook sia parlando con vari media: «È tutto in regola» Ma il manager dell’Asst Raffaello Stradoni ha replicato: «È stata somministrata fuori protocollo in ambito compassionevole».
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