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L’EUROPA CHE NON C’È, AUSTRIA, PAESI BASSI, DANIMARCA, SVEZIA SÌ A PRESTITI NO A DONAZIONI


di Marco Gatti

Mai come adesso avremo la prova di quanto l”Europa sia davvero unita. John Fitzgerald Kennedy discutendo sull’etimologia della parola crisi scritta in cinese aveva osservato che era composta da due caratteri. “Uno rappresenta il pericolo e l’altro rappresenta l’opportunità”. Ed oggi siamo di fronte proprio a questo bivio.

I problemi da risolvere sono molti. Noi abbiamo bisogno di sanare alcune questioni storiche della nostra spesa pubblica e Mario Draghi un mese fa ha dato indicazioni molto chiare nella sua lettera al Financial Times e cioè aveva scritto che “questa è l’epoca in cui gli stati devono aiutare l’economia a non morire e per non morire vuol dire che sono gli stati che devono farsi carico attraverso le missioni di debito del mantenimento della vitalità dell’economia”. Sì perché oramai è abbastanza palese a tutti che se il ‘sistema Europa’oggi non si appresta a prendere decisioni immediate riguardo gli aiuti reali da dare ai paesi più colpiti dalla pandemia del Covid-19, tra sei mesi l’economia andrà a carte quarantotto.

Abbiamo bisogno di risorse e finanze immediate per riuscire a dare ossigeno a chi oggi deve poter resistere sul campo. Dai piccoli a i grandi esercenti, per non parlare di comparti chiave per il nostro Paese come il turismo

Sabato l’Austria, i Paesi Bassi, la Danimarca e la Svezia hanno presentato la loro visione del piano di risanamento per l’Europa: prestiti una tantum a condizioni favorevoli da concedere entro due anni. La proposta rifiuta la condivisione dei debiti e qualsiasi “aumento significativo” del bilancio dell’UE, come previsto dal piano Macron-Merkel

A Bruxelles l’Austria, i Paesi Bassi, la Danimarca e la Svezia sono chiamati i “quattro frugali” per dirla più terra terra i quattro avari perché negli ultimi mesi si sono opposti a un  progetto di bilancio europeo ritenuto troppo generoso rispetto ai Coronabonds e orgogliosi delle loro finanze pubbliche in eccesso, si sono detti felici di essere un esempio di eccellenza offrendo insegnamenti ai paesi in sofferenza economica dell’Europa meridionale. Lo scorso lunedì hanno cavalcato un nuovo cavallo di battaglia, rifiutando il piano di stimolo di 500 miliardi di euro in trasferimenti di bilancio verso i paesi più colpiti dalla crisi del Coronavirus che Angela Merkel ed Emmanuel Macron avevano appena proposto.

Così il passo storico di una forma di messa in comune dei debiti europei attraverso un fondo di solidarietà che al momento pare l’unica scialuppa di salvataggio pare prenda sempre più la deriva

Il premier Giuseppe Conte, che sin dall’inizio ha fatto una campagna pro “Coronabond”, aveva ovviamente accolto con favore il piano presentato da Emmanuel Macron e Angela Merkel, definendolo “il primo importante passo nella direzione desiderata dal “Italia”. Gli aveva fatto eco anche il premier spagnolo Pedro Sánchez ovviamente favorevole ad andare verso questa direzione dichiarandosi non favorevole al Mes. Ma mercoledì il primo ministro olandese  Mark Rutte è stato chiaro e dopo avere ricordato di avere accettato di “aiutare gli altri”, ha poi sottolineato che questo sostegno dovrà essere fatto con prestiti e non con donazioni.  Linea ribadita anche dal cancelliere austriaco Sebastian Kurz anche su Twitter ha scritto: “La nostra posizione rimane invariata. Siamo pronti ad aiutare i paesi più colpiti con prestiti. Ci aspettiamo l’aggiornamento #MFF riflettere le nuove priorità piuttosto che aumentare il massimale”.

“Siamo tutti coinvolti in un’emergenza che tocca la vita delle persone. Questa crisi deve spingere tutti noi, comprese le istituzioni, a dare il buon esempio ”, ha affermato il presidente del Parlamento europeo David Sassoli.

I cittadini europei devono essere posti al centro di un’ambiziosa strategia di ripresa. Questo è quanto hanno affermato i membri del PE in una risoluzione sul futuro bilancio a lungo termine dell’UE e sul piano di ripresa che seguirà alla pandemia di COVID-19. Il PE ha chiesto un pacchetto globale di investimenti pubblici e privati per 2.000 miliardi di euro incentrato sul fondo di ripresa, inteso a fornire assistenza principalmente sotto forma di sovvenzioni, ha chiesto che il fondo venga inserito nel prossimo bilancio settennale dell’UE, il cui avvio è previsto nel 2021. Per permettere all’UE di far fronte a queste aspettative, senza un aumento dei contributi degli Stati membri, il Parlamento ha insistito sul fatto che si trovino nuove fonti di entrate per l’UE. “Non è il momento di abbassare le nostre ambizioni e di accontentarci di un piano e di un bilancio che non siano all’altezza delle sfide che ci attendono”. I legislatori europei vogliono che l’economia dell’UE disponga di mezzi migliori per fronteggiare le emergenze emerse dopo la pandemia causata dal Coronavirus con la creazione di un nuovo programma sanitario europeo. Ma per ora di un fondo di ripresa che affronti le ineguaglianze e mitighi le ripercussioni economiche e sociali della crisi non ce n’è traccia nelle casse di nessuno. E il finale, quasi scontato, molto probabilmente sarà quello di una ritirata anche da parte della cancelliera tedesca, alla quale la Corte federale tedesca ha già contestato di aver supinamente accettato il Programma di acquisti di titoli di debito pubblico (PSPP) avviato da Mario Draghi, senza chiedere conto alla Bce della proporzionalità di questa misura, discostandosi dal criterio di riparto degli acquisti basato sul capital key della Banca centrale europea, ossia dalla suddivisione delle quote di partecipazione nel capitale dei diversi Stati membri.

I propositi dell’Unione Europea dall’inizio della pandemia fino ad oggi

Fino ad oggi sono stati mobilitati più di 3 miliardi di euro di aiuti dell’UE per l’acquisto di test e per sostenere i medici nella cura dei pazienti. Sul fronte promozione della ricerca, il programma Orizzonte 2020 dell’UE sta sostenendo 18 progetti e 151 team di ricerca per trovare un vaccino. Sul fronte fondi di solidarietà per coprire le emergenze sanitarie, quest’anno, si renderanno disponibili agli stati membri oltre 800 milioni di euro. Al Parlamento era stato chiesto di votare lo sviluppo di un importante pacchetto di ricostruzione e ripresa, ma non è stato raggiunto alcun accordo. L’UE ha offerto un pacchetto da 540 miliardi a sostegno di lavoratori, aziende e stati membri. La BCE 750 miliardi per ridurre il debito pubblico. Inoltre, gli eurodeputati hanno già approvato un pacchetto da 37 miliardi a sostegno di sanità, aziende e lavoratori. Per garantire ai lavoratori di conservare il posto in caso di crisi aziendale la Commissione ha proponendo nuove misure per consentire il lavoro a orario ridotto agevolato e ha sbloccato 1 miliardo per la garanzia dei prestiti consentendo alle banche di aiutare circa 100.000 aziende.




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