Alla fine del 2019, l’economia italiana presentava evidenti segnali di stagnazione, solo in parte mitigati, a inizio 2020, da alcuni segnali positivi sulla produzione industriale e il commercio estero. A partire da fine febbraio, il dilagare dell’epidemia di COVID-19 e i conseguenti provvedimenti di contenimento decisi dal Governo hanno determinato un impatto profondo sull’economia, alterando le scelte e le possibilità di produzione, investimento e consumo e il funzionamento del mercato del lavoro. Inoltre, la rapida diffusione dell’epidemia a livello globale ha drasticamente ridotto gli scambi internazionali e quindi la domanda estera rivolta alle nostre imprese. L’Istat ha tempestivamente messo in atto numerose attività per fornire informazioni utili a valutare gli impatti economici del COVID-19, predisponendo e diffondendo nuove basi di dati e analisi. Ecco il sunto.
Il quadro internazionale
Nella prima parte dell’anno, il ciclo economico internazionale è stato caratterizzato quasi esclusivamente dagli effetti delle misure di contenimento legate alla diffusione della pandemia di COVID-19. Il commercio mondiale ha registrato un crollo (-11,0% la flessione delle importazioni di beni e servizi in volume prevista dalla Commissione europea per il 2020, Prospetto 2) e le prospettive per i prossimi mesi segnalano diverse difficoltà nella ripresa degli scambi. La congiuntura internazionale, nonostante l’implementazione tempestiva di ingenti misure a sostegno dei redditi di famiglie e imprese, si presenta eccezionalmente negativa. I rischi associati allo scenario presentato sono prevalentemente al ribasso, legati all’incertezza sull’evoluzione dell’emergenza sanitaria e sulla resilienza dei sistemi economici. Le previsioni della Commissione europea indicano per quest’anno una riduzione della dinamica del Pil globale in termini reali (-3,5% dal +2,9% nel 2019) a sintesi di andamenti eterogenei tra i paesi: i mercati emergenti e in via di sviluppo dovrebbero sperimentare una performance meno negativa rispetto a quella dei paesi avanzati. I dati macroeconomici relativi ai primi tre mesi dell’anno sono stati molto negativi. Nel primo trimestre del 2020, il Pil cinese ha registrato una contrazione congiunturale record del 9,8% (-6,8% il dato tendenziale). La riduzione della diffusione del contagio nel paese e la conseguente riapertura di molte attività produttive hanno determinato, però, un moderato miglioramento a partire da marzo quando gli indici PMI dei servizi e della manifatturiera sono tornati al di sopra della soglia di espansione. Negli Stati Uniti, la stima del Pil del primo trimestre, che incorpora gli effetti del lockdown attuato nella maggior parte degli Stati dalla seconda metà di marzo, ha registrato un calo rispetto al trimestre precedente (-1,2%) dovuto ad ampie flessioni di consumi e investimenti fissi non residenziali. Nell’area dell’euro, la stima flash riferita al primo trimestre ha mostrato una decisa contrazione congiunturale del Pil (-3,8%): nel dettaglio nazionale, in Francia si è registrata una caduta del 5,8% e in Spagna del 5,2%. In Germania la flessione è stata meno forte (-2,2%), in linea con un lockdown più limitato per estensione e durata. Le recenti previsioni della Commissione europea stimano per l’area dell’euro una decisa contrazione dell’attività economica quest’anno (-7,7%) e un rimbalzo nel 2021 (+6,3%), a sintesi di performance eterogenee tra i paesi. Vista l’elevata incertezza che caratterizza la congiuntura internazionale e i numerosi rischi al ribasso, la Commissione europea ha presentato anche uno scenario caratterizzato dall’ipotesi di una seconda ondata della diffusione del virus, che determinerebbe una ulteriore contrazione del Pil per 2 punti percentuali rispetto allo scenario base. Le indagini sulla fiducia relative all’area euro, già deboli nei primi mesi dell’anno, hanno evidenziato a maggio, dopo il crollo senza precedenti di marzo e aprile, i primi segnali di recupero.
Nella media dello scorso anno, il tasso di cambio si è attestato a 1,12 dollari per euro mentre per il 2020, in base all’ipotesi tecnica sottostante la previsione, si stima un marginale deprezzamento dell’euro fino a 1,09 dollari quest’anno e poi una stabilizzazione l’anno successivo.
Previsioni per l’economia italiana
Il COVID-19 si è manifestato in una fase del ciclo economico italiano caratterizzata da segnali di debolezza (-0,2% la variazione congiunturale del Pil nel quarto trimestre 2019). Nei primi mesi del 2020 gli indici di fiducia delle imprese mostravano una sostanziale stabilità mentre quelli delle famiglie evidenziavano una limitata flessione. Inoltre la produzione industriale aveva registrato un deciso rimbalzo congiunturale a gennaio. In questo quadro le misure di contenimento adottate dal Governo hanno determinato a marzo la sospensione delle attività di settori in cui sono presenti 2,1 milioni di imprese (poco meno del 48% del totale), con un’occupazione di 7,1 milioni di addetti di cui 4,8 milioni di dipendenti. Sulla base dei dati riferiti al 2017 tali imprese generano il 41,4% per cento del fatturato complessivo, il 39,5% del valore aggiunto e rappresentano il 63,9% per cento delle esportazioni di beni.
Il blocco delle attività ha avuto effetti immediati sulla produzione. Secondo i dati di contabilità nazionale, nel primo trimestre dell’anno il Pil ha registrato una contrazione del 5,3% segnando arretramenti del valore aggiunto in tutti i principali comparti produttivi, con agricoltura, industria e servizi diminuiti rispettivamente dell’1,9%, dell’8,1% e del 4,4%.
Il proseguimento delle misure di contenimento ha caratterizzato l’intero mese di aprile mentre dal 4 maggio si è avviato il processo di riapertura. Dopo quella data le imprese appartenenti alle attività sospese d’autorità, concentrate prevalentemente nel terziario, erano circa 800mila (il 19,1% del totale), con un peso occupazionale del 15,7% sul complesso dei settori dell’industria e dei servizi di mercato (escluso il settore finanziario). Infine in questi giorni si sta procedendo alla riapertura di tutte le attività seppure condizionatamente al rispetto delle indicazioni previste dalla normativa.
Ad aprile gli indicatori statistici hanno registrato le difficoltà del tessuto economico nel fronteggiare i provvedimenti sul lockdown, segnalando una caduta delle vendite al dettaglio (-11,4% la variazione in volume rispetto a marzo), il crollo delle esportazioni verso i mercati extra-Ue (-37,6% la variazione congiunturale), un deciso calo dell’occupazione (-274mila unità rispetto al mese precedente) e una riduzione dei prezzi alla produzione sul mercato interno (-3,4% la variazione congiunturale), influenzati dai ribassi dei beni energetici (-0,1% la variazione al netto di questa componente) mentre l’inflazione al consumo si è azzerata.
Gli indicatori disponibili per il mese di maggio mostrano invece alcuni primi segnali di ripresa in linea con il processo di riapertura delle attività. I consumi di energia elettrica, calati in misura marcata nel mese di aprile, registrano una inversione di tendenza a partire dalla prima settimana di maggio. Nello stesso mese la fiducia di imprese e famiglie, che si è mantenuta su livelli storicamente molto bassi (Figura 1 e 2), presenta alcune specificità di rilievo. I livelli dell’indice di fiducia appaiono decisamente più bassi tra le imprese mentre le attese di disoccupazione risultano più elevate tra le famiglie se confrontate con le attese di occupazione espresse tra le imprese. La ripresa delle attività di produzione e consumo è attesa sostenere un miglioramento del clima economico con un effetto positivo sul Pil che, dopo una flessione ulteriore nel secondo trimestre, è previsto in aumento nel secondo semestre dell’anno.
In media d’anno il Pil è previsto segnare un calo significativo rispetto al 2019 (-8,3%), influenzato dalla caduta della domanda interna che, al netto delle scorte, contribuirebbe negativamente per 7,2 punti percentuali. Anche la domanda estera netta e le scorte fornirebbero un contributo negativo ma di intensità decisamente ridotta (-0,3 e -0,8 punti percentuali rispettivamente). Il percorso di ripresa, previsto rafforzarsi nei prossimi mesi, produrrà effetti positivi, in media d’anno, nel 2021, quando il Pil è previsto tornare ad aumentare (+4,6%) sostenuto dal contributo della domanda interna al netto delle scorte (4,2 punti percentuali) e in misura più contenuta dalla domanda estera netta (0,3 punti percentuali) e dalle scorte (0,1 punti percentuali). Nonostante la ripresa, alla fine del 2021 i livelli dei principali aggregati del quadro macroeconomico risulterebbero inferiori a quelli del 2019.
Caduta dei consumi
Nel corso del 2019, la spesa per consumi finali nazionali ha manifestato persistenti segnali di debolezza fino alla stagnazione segnata nel quarto trimestre. Al marginale aumento in media d’anno (+0,2% rispetto al 2018) è seguita la caduta dei consumi del primo trimestre 2020, collegata alle misure di lockdown. L’impatto congiunturale sulla spesa complessiva per consumi italiani (-5,1%) è stato di intensità simile a quello registrato in Spagna, ma peggiore rispetto a quanto avvenuto in Francia e Germania (rispettivamente -4,5% e -2,2%). Considerando il solo aggregato delle famiglie, la caduta dei consumi è stata invece più marcata in Spagna (-8,2%) rispetto all’Italia (-6,6%) e minore in Francia e Germania (-5,8% e -3,1% rispettivamente).
Il calo della spesa per consumi delle famiglie risulta fortemente influenzato dalla contrazione degli acquisti di beni durevoli e di servizi, più accentuate in Italia (rispettivamente -17,5% e -9,2%) rispetto agli altri paesi. I beni di consumo non durevoli hanno invece manifestato una sostanziale tenuta, segnando un aumento in Germania (+0,7%) e riduzioni contenute in Italia (-0,9%) e Francia (-1,1%).
Rispetto a marzo la diminuzione è ampia per il clima economico e corrente mentre il clima personale e quello futuro registrano diminuzioni di minore entità. Inoltre, le attese sulla situazione economica dell’Italia hanno segnato un miglioramento pur rimanendo a livelli molto bassi.
Le maggiori spese indicate dal Governo per fronteggiare la pandemia sono attese sostenere i consumi della PA nell’anno corrente (+1,6%) mentre nel 2021 si registrerebbe un sostanziale mantenimento dei livelli raggiunti (+0,3%).
Brusca frenata del processo di accumulazione del capitale
Nel 2019, in Italia gli investimenti hanno segnato una decisa decelerazione (+1,4% da +3,1% del 2018) segnando un aumento più contenuto rispetto ai principali paesi europei (Francia +3,6%, Germania +2,6% e Spagna +1,8%). Seppure in moderato aumento, la quota degli investimenti italiani sul Pil (18,1% nel 2019) si mantiene inferiore di circa un punto percentuale rispetto al livello raggiunto nel 2011 e di più di 2 punti rispetto al 2008.
Il recente allentamento delle misure di contenimento ha permesso la ripresa di alcune produzioni, ma le condizioni sfavorevoli legate all’incertezza sul recupero della domanda costituiranno un ambiente sfavorevole per il riavvio del processo di accumulazione del capitale anche in presenza di una ipotesi di assenza di restrizioni del credito. Il proseguimento della fase di contrazione della spesa in macchinari e in costruzioni determinerà una marcata riduzione degli investimenti totali (-12,5%) con una conseguente riduzione della quota di investimenti sul Pil. La normalizzazione delle attività produttive prevista a partire dal secondo semestre dell’anno è attesa sostenere la ripresa dell’attività di investimento anche nel 2021 (+6,3%) con effetti limitati però sulla quota rispetto al Pil che dovrebbe rimanere inferiore al 18%.
Crollo del commercio estero
Dopo un anno caratterizzato da un rallentamento degli scambi, all’inizio del 2020 sia le esportazioni sia le importazioni di beni e servizi dell’Italia hanno evidenziato un forte ridimensionamento. L’introduzione delle misure di lockdown per contrastare la diffusione del COVID-19 sia nel nostro Paese sia nei principali partner commerciali nonché il crollo dei flussi turistici a livello mondiale hanno inciso fortemente sull’andamento degli scambi dell’Italia. La domanda estera nel primo trimestre dell’anno ha fornito un contributo negativo alla crescita del Pil pari a 0,8 punti percentuali. Le esportazioni di beni e servizi in volume nello stesso periodo sono diminuite in termini congiunturali dell’8,0% mentre le importazioni si sono ridotte del 6,2%. Per l’anno corrente gli effetti dell’interruzione diffusa delle attività produttive tra i paesi si sono manifestati anche ad aprile con il crollo delle esportazioni verso i paesi extra-Ue (-37,6% rispetto al mese precedente) mentre le importazioni hanno segnato una riduzione più contenuta (-12,7% e -6,5% se considerate al netto dei beni energetici).
Mercato del lavoro in difficoltà
La lettura della crisi attraverso i dati del mercato del lavoro assume forme e intensità diverse rispetto al consueto andamento degli indicatori.
Rispetto ai non occupati, si amplifica la ricomposizione a favore dell’inattività (ad aprile in tasso di inattività è aumentato di 2 punti percentuali) mentre diminuisce la disoccupazione (-1,7 punti percentuali). Nel confronto con la media del 2019, nei primi 4 mesi dell’anno circa 500 mila persone hanno smesso di cercare lavoro transitando tra gli inattivi. Questo segnale presenta specificità di genere e fascia di età. Il tasso di inattività femminile è cresciuto di 2,3 punti percentuali mentre la disoccupazione è diminuita di 2,6 punti percentuali. L’aumento di inattività è stato più accentuato tra la fascia di età 35-49 (+10,4%, 278mila unità) e 25-34 anni (+8,8%, 172mila unità). La contemporanea riduzione della disoccupazione oltre che in queste classi di età (rispettivamente -26,9%, 182mila unità, e -17,0%, 90mila unità) si è manifestata anche tra i più giovani, 15-24 anni (-31,8%, 119mila unità).
La ricomposizione tra forze di lavoro e inattività è avvenuta in presenza di una decisa riduzione del numero di ore lavorate indotta dai provvedimenti a sostegno del mercato del lavoro e dalle definizioni utilizzate nell’indagine delle forze di lavoro che considera come occupato anche chi è assente dal lavoro (perché in Cassa Integrazione Guadagni – CIG). Il numero di ore settimanali effettivamente lavorate pro-capite, riferito al totale degli occupati, ha segnato quindi una decisa riduzione nei mesi di marzo e aprile quando si è attestato a 22 ore (34,2 la media del 2019, Figura 3). Il percorso di ripresa dell’occupazione appare quindi difficile e lungo ed è atteso evolversi congiuntamente ad un graduale aumento della disoccupazione e una riduzione dell’occupazione e dell’inattività.
Prezzi in flessione
In Italia il permanere di condizioni cicliche deboli ha determinato la conferma di un tasso di inflazione inferiore a quello medio dell’area euro. E nei prossimi mesi dovrebbero continuare a prevalere segnali deflativi. Oltre alle tendenze negative che caratterizzano al momento i prezzi nelle fasi a monte della distribuzione finale, alla produzione e soprattutto all’importazione, un contributo determinante sarà fornito dalla forte riduzione dei costi energetici. Nella media del 2020 il tasso di variazione del deflatore della spesa delle famiglie è previsto leggermente negativo (-0,3%; +0,5% nel 2019); il deflatore del Pil segnerà una crescita del +0,5% (quattro decimi in meno rispetto al 2019), come conseguenza della natura esogena delle spinte deflative. Il prossimo anno, in considerazione di una stabilizzazione delle quotazioni del petrolio e del cambio e nel quadro del miglioramento atteso per la fase economica interna, la dinamica dei prezzi riacquisterà un ritmo positivo. Nel 2021, il deflatore della spesa per consumi delle famiglie è atteso crescere dello 0,7% in media d’anno.
Revisioni del precedente quadro previsivo
Rispetto al quadro previsivo di dicembre 2019 l’attuale scenario presenta significative revisioni al ribasso legate alla diffusione della pandemia che ha inciso in misura significativa sul commercio mondiale e sulle attività economiche di tutti i paesi, creando i presupposti anche per una riduzione del prezzo del petrolio. In particolare, rispetto allo scenario previsivo presentato a dicembre, il tasso di crescita del commercio mondiale è stato rivisto al ribasso di 13,3 punti percentuali mentre le quotazioni del petrolio hanno segnato una correzione al ribasso di 27,2 dollari al barile. Il cambiamento dei valori delle esogene introdotto all’interno del modello MeMo-It ha determinato una conseguente revisione al ribasso di esportazione e importazioni (rispettivamente di -15,7 e
-16,1 punti percentuali).
Con riferimento alla domanda interna, le revisioni al ribasso sono collegate alla diffusione della pandemia che è stata fronteggiata sia attuando la sospensione delle attività di alcune categorie di imprese sia introducendo misure di distanziamento sociale con inevitabili conseguenze sulla produzione, gli investimenti e i consumi. In particolare la revisione al ribasso è stata più accentuata per gli investimenti (-14,2 punti percentuali) rispetto ai consumi (-9,3 punti percentuali). Nel complesso la revisione al ribasso del Pil è stata pari a circa 9 punti percentuali.
Le incertezze dello scenario previsivo:
Commercio estero, consumi e investimenti
Il calo degli investimenti previsto per l’anno in corso è atteso produrre una riduzione della quota degli investimenti sul Pil rispetto al 2019 aumentando le difficoltà del processo di accumulazione del capitale, che appaiono evidenti considerando il confronto con i principali paesi europei.
Nel 2019 in Italia la quota degli investimenti totali sul Pil era pari al 18,1%, decisamente inferiore alla media dei paesi dell’area euro (21,9%) e a quella dei principali paesi europei. Tale valore, seppure in recupero negli ultimi anni (era 16,9% nel 2015), rimane decisamente inferiore ai livelli del 2008 (21,3%). Negli stessi anni la quota degli investimenti mostrava decisi segnali di recupero ai valori pre-crisi per l’area euro (era 22,8% nel 2008), la Francia (23,6% lo stesso valore del 2019) e la Germania (20,3% nel 2008 e 21,7% nel 2019). La Spagna, caratterizzata dal crollo degli investimenti in costruzione durante la crisi finanziaria del 2009 costituisce l’unica eccezione (27,8% nel 2008 e 20,0% nel 2019).
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