Secondo una ricerca condotta da Istat sui consumi e di conseguenza sulla capacità di spesa degli italiani nel 2019, è risultato che la stima della spesa media mensile delle famiglie residenti in Italia si è assestata intorno ai 2.560 euro mensili ed è rimasta sostanzialmente invariata rispetto al 2018 (-0,4%) e sempre lontana dai livelli del 2011 (2.640 euro mensili), cui avevano fatto seguito due anni di forte contrazione non recuperata negli anni successivi. Considerando la dinamica inflazionistica (+0,6% la variazione dell’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale, NIC), in termini reali la spesa cala dell’1,0%, diminuendo per il secondo anno consecutivo dopo la moderata dinamica positiva osservata dal 2014 al 2017. Poiché la distribuzione dei consumi è asimmetrica e più concentrata nei livelli medio-bassi, la maggioranza delle famiglie ha speso un importo inferiore al valore medio. Se si osserva il valore mediano (il livello di spesa per consumi che divide il numero di famiglie in due parti uguali), il 50% delle famiglie residenti in Italia ha speso nel 2019 una cifra non superiore a 2.159 euro, sostanzialmente invariata rispetto ai 2.153 euro del 2018. La composizione della spesa corrente è stabile rispetto al 2018: la spesa per Abitazione, acqua, elettricità e altri combustibili continua ad avere la quota più rilevante (35,0% della spesa totale), seguita dalla spesa per prodotti Alimentari e bevande analcoliche (18,1%) e da quella per Trasporti (11,3%).
Coerentemente con le linee guida internazionali e con i Report precedenti, nella spesa per l’abitazione è compreso l’importo degli affitti figurativi (cfr. Glossario), cioè la spesa che le famiglie dovrebbero sostenere per prendere in affitto un’abitazione con caratteristiche identiche a quella in cui vivono e di cui sono proprietarie, usufruttuarie o che hanno in uso gratuito. Anche al netto di tale posta, nel 2019 la spesa media familiare in termini correnti (1.982 euro) è stabile rispetto al 2018.
Le famiglie hanno speso per prodotti Alimentari e bevande analcoliche in media 464 euro mensili, senza sostanziali differenze rispetto ai 462 euro del 2018. Più in dettaglio, un aumento significativo di spesa si registra per i vegetali (63 euro mensili, +2,0% rispetto all’anno precedente), che rappresentano il 2,5% della spesa totale, dopo carni (3,8% della spesa complessiva) e pane e cereali (3,0%). Solo la spesa per frutta (che pesa sulla spesa totale per l’1,6%) diminuisce significativamente nel 2019 (42 euro mensili, -2,5% sul 2018). Le stime preliminari del primo trimestre 2020 mostrano che le misure di contenimento della diffusione del Covid-19 hanno prodotto un calo di circa il 4% della spesa media mensile rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; in particolare, la marcata riduzione dell’offerta e della domanda commerciale al dettaglio ha determinato una flessione delle spese diverse da quelle per prodotti alimentari e per l’abitazione di oltre il 12% rispetto al primo trimestre 2019.
La spesa per beni e servizi non alimentari è pari a 2.096 euro mensili, anche questa stabile rispetto al 2018 (2.110 euro). Per Abitazione, acqua, elettricità e altri combustibili, manutenzione ordinaria e straordinaria la spesa resta invariata rispetto all’anno precedente e pari a 896 euro, di cui 578 euro di affitti figurativi. Tra le spese non alimentari, le quote più rilevanti dopo l’abitazione sono destinate a Trasporti (11,3%, 288 euro) e ad Altri beni e servizi (cura della persona, effetti personali, servizi di assistenza sociale, assicurazioni e servizi finanziari; 7,4% della spesa totale): questi ultimi, rispetto al 2018, crescono del 3,2%, attestandosi a 190 euro mensili. Seguono: Servizi ricettivi e di ristorazione e Ricreazione, spettacoli e cultura (entrambe le voci pari a circa il 5,0% del totale e leggermente al di sotto dei 130 euro mensili); Servizi sanitari e spese per la salute (4,6%, 118 euro mensili); Abbigliamento e calzature (4,5% della spesa complessiva, 115 euro mensili), in calo del 3,6% rispetto all’anno precedente, soprattutto nel Nord-ovest (-10,9%, da 129 a 115 euro mensili); Mobili, articoli e servizi per la casa (4,3%, 110 euro). Infine, la spesa per Comunicazioni (2,3% della spesa totale, pari a 59 euro mensili), che continua la contrazione iniziata nel 2018 (-2,5% rispetto al 2017): nel 2019, rispetto all’anno precedente, registra infatti un -4,4%, che diventa -6,2% nel Nord-est (dove si passa da 64 a 60 euro mensili).
Ancora ampi ma in leggero calo i divari territoriali
Nel 2019, anche se in lieve attenuazione, permangono i ben noti divari territoriali che si devono far risalire a un insieme di fattori di natura economica e sociale (redditi, livello dei prezzi al consumo, abitudini e comportamenti di spesa). I livelli di spesa più elevati, e superiori alla media nazionale, continuano a registrarsi nel Nord-ovest (2.810 euro), nel Nord-est (2.790) e nel Centro (2.754 euro); più bassi, e inferiori alla media nazionale, nelle Isole (2.071 euro) e nel Sud (2.068 euro). Rispetto a Sud e Isole, nel Nord-ovest si spendono, mediamente, in termini assoluti, circa 740 euro in più, quasi il 36% in più in termini relativi. Nel Sud e nelle Isole, dove le disponibilità economiche sono generalmente minori, a pesare di più sulla spesa delle famiglie sono le voci destinate al soddisfacimento dei bisogni primari quali, ad esempio, quelle per Alimentari e bevande analcoliche: rispetto alla media nazionale (18,1%), questa quota di spesa pesa il 23,3% nel Sud e il 21,4% nelle Isole mentre si ferma al 15,9% nel Nord-est.
Nel Sud si registra tradizionalmente anche la quota di spesa più elevata per Bevande alcoliche e tabacchi rispetto al resto del Paese (mediamente pari, tra il 2014 e il 2019, al 2,2%, contro l’1,8% a livello nazionale); tuttavia, nel 2019 questa spesa scende nel Sud da 48 a 45 euro mensili (-6,8% rispetto al 2018), fondamentalmente a causa del calo della spesa per sigarette, che passa da 27 a 24 euro mensili, segnando dunque una contrazione del 9,8% rispetto all’anno precedente.
Le regioni con la spesa media mensile più elevata nel 2019 sono Trentino-Alto Adige (2.992 euro), Lombardia (2.965 euro) e Toscana (2.922); in particolare, nel Trentino-Alto Adige si registra, rispetto al resto del Paese, la quota di spesa più alta destinata a Servizi ricettivi e di ristorazione (6,8%; la media nazionale è 5,1%). Puglia e Calabria sono le regioni con la spesa più contenuta, rispettivamente 1.996 e 1.999 euro mensili, quasi mille euro in meno del Trentino-Alto Adige. In Puglia si osserva la quota più bassa destinata a Ricreazione, spettacoli e cultura (3,2%, contro una media nazionale del 5,0%) e in Calabria la quota più alta per Alimentari e bevande analcoliche (25,0%). I livelli e la composizione della spesa variano a seconda della tipologia del comune di residenza. Anche nel 2019, nei comuni centro di area metropolitana le famiglie spendono di più: 2.909 euro mensili, +328 euro rispetto alle famiglie residenti nei comuni periferici delle aree metropolitane e in quelli con almeno 50mila abitanti (cioè il 12,7% in più, nel 2018 era l’8,6%) e +466 euro rispetto alle famiglie residenti nei comuni fino a 50mila abitanti che non appartengono alla cerchia periferica delle aree metropolitane (il 19,1% in più, nel 2018 era il 17,0%). Rispetto al 2018, i divari tra i comuni centro delle aree metropolitane e tutti gli altri comuni si sono dunque leggermente ampliati.
Nei comuni centro di area metropolitana si registra anche nel 2019 la quota di spesa più bassa destinata ad Alimentari e bevande analcoliche (15,2%, contro il 19,2% dei comuni fino a 50mila abitanti che non appartengono alla cerchia periferica delle aree metropolitane); lo stesso vale per le quote di spesa destinate ad Abbigliamento e calzature (rispettivamente 3,7% e 4,8%) e Trasporti (9,3% contro 12,1%).
Al contrario, nei comuni centro di area metropolitana si registrano le quote più elevate di spesa per Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili (40,5%, molto sopra il dato medio nazionale, contro il 32,9% dei comuni fino a 50mila abitanti che non appartengono alla cerchia periferica delle aree metropolitane) e per Servizi ricettivi e di ristorazione (rispettivamente 5,4% e 4,9%). Le quote di spesa destinate alle altre tipologie di beni e servizi non registrano, invece, particolari differenze al variare del tipo di comune di residenza.
Le famiglie limitano la spesa per abbigliamento e calzature
Le famiglie residenti possono mutare nel tempo le proprie abitudini di consumo, sia per il modificarsi della loro struttura sia perché intervengono cambiamenti nelle preferenze o nella disponibilità economica. Nondimeno, il cambiamento assume forza e contorni diversi a seconda della voce di spesa considerata. La spesa per visite mediche e accertamenti periodici, in larga misura incomprimibile, è quella sulla quale si agisce meno per provare a limitarne l’esborso.
Tra le famiglie che un anno prima dell’intervista sostenevano già questa spesa, il 15,5% ha dichiarato di aver speso meno (16,1% nel 2018), con forti differenziazioni territoriali, peraltro già osservate nel 2018: il 9,7% nel Nord, il 15,1% nel Centro e il 24,8% nel Mezzogiorno. Per contro, il 6,4% delle famiglie riporta di aver aumentato la spesa sanitaria. Tra le famiglie che già sostenevano spese per carburanti, quasi i tre quarti (74,2%) non hanno mutato il proprio comportamento di spesa (80,1% nel Nord, percentuale più alta rispetto al 2018, e 64,1% nel Mezzogiorno, dato analogo all’anno precedente); il 22,5% ha, invece, provato a limitare questa voce (il 26,3% nel Mezzogiorno).
Anche nel 2019 la voce di spesa che le famiglie cercano maggiormente di contenere è Abbigliamento e calzature, sebbene il dato sia in leggero calo rispetto al 2018. Il 45,1% di quante acquistavano già questi beni un anno prima dell’intervista ha infatti modificato le proprie abitudini, provando a limitare la spesa (48,9% nel 2018), anche in questo caso con forti differenziazioni territoriali: si prova a risparmiare di più nel Mezzogiorno (59,7% contro 62,7% del 2018) rispetto al Centro (42,4% da 47,6%) e soprattutto al Nord (36,6% da 40,3% nel 2018).
Il 37,5% delle famiglie che già sostenevano spese per viaggi e vacanze ha provato a ridurle, con un massimo del 52,8% nel Mezzogiorno. Tale spesa è comunque, tra le voci considerate, quella con la minore percentuale di famiglie che la sostenevano già un anno prima dell’intervista (58,5%).
Infine, relativamente alle abitudini in fatto di spesa alimentare, il 69,6% delle famiglie non le ha modificate rispetto a un anno prima, quota che sale al 76,5% nel Nord e scende al 57,7% nel Mezzogiorno.
In crescita la spesa delle famiglie numerose
La spesa media mensile aumenta al crescere dell’ampiezza familiare anche se, per la presenza di economie di scala, l’incremento è meno che proporzionale rispetto all’aumentare del numero di componenti. Nel 2019, la spesa media mensile per una famiglia di una sola persona è pari a 1.815 euro, ovvero il 69% circa di quella delle famiglie di due componenti e il 61% circa di quella delle famiglie di tre componenti.
All’aumentare dell’ampiezza familiare cresce il peso delle voci meno suscettibili di economie di scala (ad esempio, prodotti alimentari e bevande analcoliche) e diminuisce quello delle voci nelle quali è possibile ottenere le maggiori economie: ad esempio, per la quota di spesa destinata ad Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili si passa dal 42,9% delle famiglie monocomponente al 28,0% di quelle con cinque o più componenti.
Rispetto al 2018, solo le famiglie con cinque o più componenti hanno aumentato significativamente la propria spesa per consumi (+5,9%).
Per quanto riguarda le differenti tipologie familiari, i livelli di spesa più bassi si registrano per le famiglie di un solo componente con 65 anni e più (1.661 euro mensili). Rispetto al 2018, sono le persone sole di 35-64 anni ad aver aumentato significativamente la loro spesa complessiva (+5,4%).
La spesa per Alimentari e bevande analcoliche pesa soprattutto tra le famiglie composte da una coppia con tre o più figli (19,6% della spesa totale); la stessa voce di spesa assorbe, invece, appena il 12,7% tra le coppie senza figli con persona di riferimento di 18-34 anni, per le quali, quindi, il restante 87,3% è destinato a beni e servizi di tipo non alimentare.
Rispetto alle altre tipologie familiari, le coppie giovani senza figli spendono per Trasporti la quota più elevata (15,3%, pari a 447 euro mensili), seguite dalle coppie con almeno 3 figli (13,8%, per 481 euro al mese), anche a causa di una maggiore mobilità lavorativa, di studio e familiare. Le spese per Abitazione, acqua, elettricità, gas e combustibili pesano invece di più per le persone anziane sole (47,5% della spesa mensile) e meno per le coppie giovani senza figli e per le coppie con tre o più figli (28,0% per entrambe le tipologie).
Al crescere del livello di istruzione della persona di riferimento, misurata dal titolo di studio, aumentano le disponibilità economiche e, di conseguenza, il livello delle spese. Si passa infatti dai 1.678 euro mensili delle famiglie in cui la persona di riferimento ha al massimo la licenza elementare ai 3.587 euro di quelle con persona di riferimento con titolo universitario. Queste ultime riservano quote di spesa più elevate a Servizi ricettivi e di ristorazione (6,9%) e a Ricreazione, spettacoli e cultura (6,2%).
Le famiglie con persona di riferimento con la sola licenza elementare, generalmente meno abbienti e mediamente più anziane, hanno invece una struttura di spesa centrata soprattutto sui bisogni primari (23,0% per Alimentari e bevande analcoliche; 41,0% per Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili) e sui Servizi sanitari e le spese per la salute (6,3% contro una media nazionale del 4,6%).
La condizione professionale influenza i divari nelle spese
La spesa mensile è strettamente associata anche alla condizione professionale della persona di riferimento della famiglia, che ne caratterizza fortemente le condizioni economiche e gli stili di vita. A spendere di più sono le famiglie in cui la persona di riferimento è imprenditore o libero professionista (3.918 euro mensili), seguono quelle che hanno come persona di riferimento un lavoratore dipendente nella posizione di dirigente, quadro o impiegato (3.273 euro).
Queste famiglie, rispetto a tutte le altre, destinano quote più elevate a Servizi ricettivi e di ristorazione (rispettivamente 7,0% e 7,4%), a Ricreazione, spettacoli e cultura (6,0% e 6,4%), ad Abbigliamento e calzature (5,3% per entrambe) e all’Istruzione (1,4% e 1,0%).
I livelli di spesa più bassi si osservano nelle famiglie caratterizzate da condizioni economiche più precarie, vale a dire quelle con persona di riferimento inattiva ma non ritirata dal lavoro (1.805 euro mensili) o con persona di riferimento in cerca di occupazione (1.853 euro). In entrambi i casi, più di un quinto della spesa è destinato ad acquisti di Alimentari e bevande analcoliche.
Quasi mille euro in meno per la spesa delle famiglie di soli stranieri
Le capacità di spesa e le abitudini di consumo variano a seconda della cittadinanza dei componenti. Nel 2019, il divario tra la spesa delle famiglie composte solamente da italiani (2.615 euro) e quella delle famiglie con almeno uno straniero (1.995 euro) è di 620 euro (il 23,7% in meno), divario che sale a 952 euro (-36,4%) se si considerano le famiglie composte solamente da stranieri.
La spesa alimentare assorbe il 20,7% del totale tra le famiglie con stranieri (414 euro mensili), il 17,9%, tra quelle di soli italiani (469 euro) e il 21,8% (363 euro) se in famiglia sono tutti stranieri.
Per Abitazione, acqua, elettricità e altri combustibili le quote di spesa delle famiglie con almeno uno straniero sono in linea con quelle delle famiglie di soli italiani (rispettivamente 34,2% e 35,1%). Se si considerano invece le famiglie di soli stranieri, il peso relativo dell’abitazione sale al 37,0% (615 euro mensili).
Analogamente a quanto accaduto negli anni precedenti, la quota di spesa destinata alle Comunicazioni continua a mantenersi più elevata tra le famiglie con almeno uno straniero (2,9%, pari a 58 euro), in particolare tra quelle di soli stranieri (3,2%, 53 euro) rispetto alle famiglie di soli italiani (2,3%, 59 euro mensili); questo accade soprattutto per effetto dei contatti con la rete familiare e amicale nei paesi di origine.
Le quote destinate dalle famiglie con almeno uno straniero a Ricreazione, spettacoli e cultura sono decisamente più contenute rispetto a quelle delle famiglie di soli italiani (3,6% contro 5,1%; rispettivamente 73 e 132 euro mensili); lo stesso accade per Servizi sanitari e salute (3,5% contro 4,7%; rispettivamente 70 e 123 euro) e per Servizi ricettivi e di ristorazione (4,7% contro 5,1%; 94 e 133 euro). Osservando le famiglie di soli stranieri, le quote di spesa citate scendono ulteriormente: il 4,0% della spesa totale (67 euro mensili) è destinato a Servizi ricettivi e di ristorazione, il 3,1% alle spese sanitarie (51 euro) e appena il 3,0% a Ricreazione, spettacoli e cultura (49 euro).
Le famiglie in affitto destinano oltre il 20% della spesa al pagamento del canone
In Italia, il 18,4% delle famiglie paga un affitto per l’abitazione in cui vive. La percentuale va dal minimo delle Isole (14,5%) al massimo del Nord-ovest (20,7%). La spesa media per le famiglie che pagano un affitto è di 412 euro mensili a livello nazionale, più alta nel Centro (469 euro) e nel Nord (457 euro nel Nord-ovest e 435 euro nel Nord-est) rispetto a Sud (310 euro) e Isole (293 euro).
La quota più elevata di famiglie in affitto si registra nei comuni centro di area metropolitana (26,2%) e nei comuni periferici delle aree metropolitane e in quelli con almeno 50mila abitanti (21,5%), rispetto al 14,6% dei comuni fino a 50mila abitanti che non appartengono alla cerchia periferica delle aree metropolitane. Nei comuni centro di area metropolitana si paga mediamente un affitto pari a 493 euro mensili, 76 euro in più della media dei comuni periferia delle aree metropolitane e dei comuni con almeno 50mila abitanti, e 128 euro in più dei comuni fino a 50mila abitanti che non fanno parte della periferia delle aree metropolitane.
Paga un mutuo una famiglia proprietaria su cinque
Paga un mutuo il 19,7% delle famiglie che vivono in abitazioni di proprietà (circa 3,7 milioni). Tale quota è maggiore al Nord (26,6% nel Nord-ovest e 23,1% nel Nord-est) e nel Centro (20,5%) rispetto a Sud (10,9%) e Isole (11,6%). Dal punto di vista economico e contabile, questa voce di bilancio è un investimento, e non rientra quindi nel computo della spesa per consumi; ciononostante, per le famiglie che lo sostengono rappresenta un esborso consistente e pari, in media, a 545 euro mensili.
La spesa per consumi, comprensiva degli affitti figurativi (cfr. Glossario), è molto differenziata in base al titolo di godimento dell’abitazione (affitto; proprietà; usufrutto o uso gratuito): è di 2.787 euro mensili per le famiglie in abitazione di proprietà (di cui il 35,5% destinato ad Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili); si attesta a 2.150 euro mensili per le famiglie in usufrutto o uso gratuito (il 33,3% dei quali destinati al capitolo abitazione); per le famiglie in affitto è 1.882 euro mensili (con l’abitazione che pesa per il 33,2%, di cui due terzi per l’affitto dell’abitazione principale, pari a oltre un quinto della spesa complessiva).
Al netto degli affitti figurativi, la spesa per consumi sostenuta dalle famiglie scende a 2.065 euro per le proprietarie e a 1.612 per quelle in usufrutto o uso gratuito; conseguentemente, cambia anche la quota destinata all’abitazione: passa infatti, rispettivamente, dal 35,5% al 12,9% per le prime e dal 33,3% all’11,0% per le seconde.
Considerando, quindi, i soli esborsi monetari, le famiglie in affitto hanno, rispetto al resto delle famiglie, minori risorse da destinare agli altri capitoli di spesa; ciò vale in particolare per le quote destinate a Trasporti (11,2% rispetto al 15,3% delle altre famiglie proprietarie, in usufrutto o in uso gratuito), Servizi ricettivi e di ristorazione (5,1% contro 6,9%), Abbigliamento e calzature (4,6% contro 6,0%), Ricreazione, spettacoli e cultura (4,5% contro 6,8%), Servizi sanitari e per la salute (4,3% contro 6,3%), e Mobili, articoli e altri servizi per la casa (3,9% contro 5,9%).
In diminuzione la disuguaglianza della spesa per consumi
Un confronto tra le spese delle famiglie in termini distributivi può essere operato utilizzando la spesa familiare equivalente, che tiene conto del fatto che nuclei familiari di numerosità differente hanno anche differenti livelli e bisogni di spesa. La spesa familiare è resa equivalente mediante opportuni coefficienti (scala di equivalenza, cfr. Glossario) che permettono confronti fra i livelli di spesa di famiglie di diversa ampiezza. Se si ordinano le famiglie in base alla spesa equivalente, è possibile dividerle in cinque gruppi di uguale numerosità (quinti): il primo quinto comprende il 20% delle famiglie con la spesa equivalente più bassa (famiglie meno abbienti), l’ultimo quinto il 20% di famiglie con la spesa equivalente più elevata (famiglie più abbienti).
In un’ipotetica situazione di perfetta uguaglianza, ogni quinto avrebbe una quota di spesa pari al 20% della spesa complessivamente sostenuta dal totale delle famiglie residenti. Anche nel 2019, i primi tre quinti delle famiglie spendono, invece, meno del 20% mentre i due quinti più elevati spendono più del 20%. In particolare, le famiglie con spese più basse (primo quinto) spendono solo il 7,9% della spesa totale (7,8% nel 2018) mentre quelle dell’ultimo quinto il 39,4% (come nel 2018). Vista in altra maniera, il primo quinto delle famiglie spende meno del 40% di quanto avrebbe dovuto spendere perché ci si trovasse in una situazione di equidistribuzione, mentre l’ultimo quinto quasi il doppio.
Il rapporto tra la spesa totale equivalente delle famiglie del primo quinto e quella delle famiglie dell’ultimo quinto è un indice di disuguaglianza analogo al rapporto interquintilico, uno degli indicatori maggiormente utilizzati per la misurazione della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi. Le famiglie con una spesa più elevata hanno un livello di spesa equivalente complessiva pari a 5,0 volte quella delle famiglie del primo quinto (5,1 nel 2018, 5,2 nel 2017, 5,0 nel 2016, 4,9 sia nel 2015 sia nel 2014, 4,8 nel 2013). Nel 2019, quindi, si conferma la leggera diminuzione della disuguaglianza già registrata nel 2018 per la prima volta dal 2013.
Le famiglie si distribuiscono nei quinti di spesa equivalente, definiti a livello nazionale, in maniera differente sul territorio. Appartengono al quinto di spesa più elevato il 26,2% delle famiglie del Nord-ovest (27,4% nel 2018), il 23,0% di quelle del Nord-est (23,5% nel 2018) e il 24,5% delle famiglie del Centro (23,2% nel 2018), contro il 9,3% delle famiglie del Sud (l’8,7% nel 2018) e il 10,8% di quelle delle Isole (10,1% nel 2018).
Pur restando le famiglie del Centro-Nord caratterizzate da una maggiore presenza nei quinti di spesa più elevati, la distanza da quelle del Mezzogiorno sembra quindi ridursi. Tuttavia, più di un terzo delle famiglie del Mezzogiorno (35,2% nel Sud e 34,1% nelle Isole) si posiziona ancora nel primo quinto, contro il 14,4% del Centro, il 12,3% del Nord-ovest e il 12,9% del Nord-est.
Nei comuni centro di area metropolitana la distribuzione delle spese equivalenti è spostata sui quinti più elevati (32,8% delle famiglie nell’ultimo quinto, 14,7% nel primo), mentre nelle altre tipologie comunali la distribuzione è più equa (fermo restando che nei comuni più piccoli si è più spesso nel quinto più basso, 22,4%, che nel quinto più elevato, 16,1%).
Spesa reale giù a livello nazionale ma cresce per le famiglie meno abbienti
Negli ultimi due anni si è invertito il trend di aumento della disuguaglianza complessiva, registrato a partire dal 2013. Tuttavia, nello stesso arco temporale, si è anche invertita la moderata dinamica positiva delle spese per consumi in termini reali (a prezzi costanti con base 2013).
Infatti, deflazionando le spese per tenere conto della dinamica inflazionistica per classi di spesa delle famiglie (calcolata sull’indice armonizzato dei prezzi al consumo – IPCA), la spesa media nazionale è scesa dell’1,6% rispetto al 2017.
Solo le famiglie appartenenti al primo quinto mostrano un aumento significativo delle proprie spese equivalenti (+1,2%), nonostante il loro tasso di inflazione specifico sia stato il più elevato (+2,1%, contro una media nazionale del +1,9%). Per le famiglie del secondo e del terzo quinto l’andamento è sostanzialmente stabile rispetto al 2017, mentre per quelle dei quinti più benestanti le spese per consumi in termini reali diminuiscono (-2,1% il quarto quinto e -2,9% il quinto più elevato).
Estendendo l’analisi a partire dal 2013, anno di picco negativo dei consumi delle famiglie (dopo il quale si è registrato un periodo di moderata crescita positiva dei consumi reali fino al 2017), la situazione cambia. Tenendo conto della dinamica inflazionistica differenziata per classi di spesa delle famiglie, nonostante l’incremento dei prezzi nel 2019, rispetto al 2013, sia stato più accentuato per le classi di spesa più elevate (per il quinto più abbiente, +4,0%) che per le classi di spesa più basse (+2,8% per il quinto meno abbiente), le famiglie appartenenti al quinto più alto hanno aumentato le spese equivalenti reali del 3,0%, e sono le uniche a registrare un aumento maggiore rispetto al dato complessivo nazionale (+1,4%). Le famiglie del secondo e del terzo quinto mostrano aumenti intorno all’1%, mentre le famiglie del primo quinto hanno un calo della spesa equivalente dello 0,8%.
La lieve riduzione della disuguaglianza osservata nel 2018 e nel 2019 non compensa del tutto, quindi, l’ampliamento che si era registrato a partire dal 2013 fino al 2017, accentuatosi, in particolare, tra il 2016 e il 2017.
Tenendo conto dell’intero periodo, la moderata dinamica positiva delle spese equivalenti per consumi in termini reali è in larga misura determinata dalle famiglie con maggiore capacità di spesa (ultimo quinto) mentre le famiglie con spese basse (primo quinto) hanno visto, pur con l’inversione degli ultimi due anni, peggiorare la propria situazione. Le famiglie con spese medio-basse (secondo quinto) e con spese medie (terzo quinto) hanno leggermente migliorato la propria situazione (rispettivamente +0,8% e +1,0% sulle spese equivalenti), che invece è rimasta sostanzialmente invariata per quelle con spese medio-alte (quarto quinto) (-0,1%).
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