Il tema della sostenibilità, prima del lockdown ha avuto un crescente impatto sull’agenda politica e sui comportamenti di famiglie, imprese, istituzioni. In particolare, all’interno del perimetro organizzativo dell’impresa, questo tema ha indotto nuove pratiche, potenzialmente in grado di coniugare crescita e performance economica, sostenibilità sociale e ambientale. Le attività svolte dalle Nazioni Unite in tema di Sustainable Developments Goals, con riferimento in particolare al Goal 12 (Garantire modelli sostenibili di produzione e consumo) dell’Agenda 2030 e le iniziative dell’Oecd sulla ricognizione dei sistemi internazionali disponibili per la valutazione della responsabilità sociale dell’impresa, rappresentano esempi importanti di attenzione crescente al fenomeno.
A livello nazionale, negli ultimi anni l’Istat ha avviato una intensa attività per la definizione e la progressiva implementazione di un quadro statistico di riferimento in grado di fornire prime evidenze empiriche sulle caratteristiche dei comportamenti sostenibili delle imprese. Di conseguenza ora i dati del censimento permanente delle imprese permettono ora di misurare compiutamente il tema della sostenibilità nelle imprese e integrarlo in un quadro informativo estremamente ricco e articolato.
La rilevazione censuaria ha interessato un campione di circa 280mila imprese con 3 e più addetti, rappresentative di un universo di poco più di un milione di unità, corrispondenti al 24,0% delle imprese italiane che producono però l’84,4% del valore aggiunto nazionale, impiegano il 76,7% degli addetti (12,7 milioni) e il 91,3% dei dipendenti: si tratta quindi di un segmento fondamentale del nostro sistema produttivo. La rilevazione diretta è stata svolta tra maggio e ottobre del 2019, l’anno di riferimento dei dati acquisiti dalle imprese è il 2018.
Comportamenti “sostenibili” per sette imprese su 10
Nel 2018, 712 mila imprese (68,9% delle imprese con 3 e più addetti) hanno dichiarato di essere state impegnate in azioni volte a migliorare il benessere lavorativo del proprio personale; 688 mila (66,6%) hanno svolto azioni per ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività; 670 mila (64,8%) si sono attivate per migliorare il livello di sicurezza all’interno della propria impresa o nel territorio in cui operano. Rispetto al rapporto con altri soggetti e con il territorio, quasi un terzo (31,3%, ossia 323 mila imprese in valore assoluto) ha sostenuto o ha realizzato iniziative di interesse collettivo esterne all’impresa; una quota analoga di imprese ha supportato o realizzato iniziative a beneficio del tessuto produttivo del territorio in cui opera (303 mila imprese, pari al 29,4%). Nel complesso, l’84,3% delle imprese ha portato a termine almeno un’ azione di sostenibilità sociale e il 75,8% ha realizzato almeno una azione di sostenibilità ambientale. Tuttavia, analizzando il dettaglio per numero di azioni, risulta che le imprese abbiano dato maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale: il 10,3% ha realizzato più di 10 azioni di sostenibilità ambientale, il 2,7% ne ha compiute più di 10 e il 50,4% solo una.
L’impegno verso una riduzione dell’impatto ambientale è risultato più accentuato tra le imprese dell’industria in senso stretto (71,6%) e in quelle delle costruzioni (71,1%) rispetto alle imprese dei servizi (64,5%) tra le quali quelle attive nel settore della Sanità e assistenza sociale mostrano percentuali elevate (73,1%). Rispetto al miglioramento del benessere lavorativo non sono state evidenziate significative differenze tra macro settori di attività economica (70,0%, 70,4% e 68,4% rispettivamente le quote nell’industria in senso stretto, nelle costruzioni e nei servizi). Osservando i dettagli per attività economica, si rileva un impegno nel miglioramento del benessere lavorativo tra le imprese che operano nella Sanità e assistenza sociale (77,1%), e nell’istruzione (76,1%; Figura 2) che rivolgono anche una particolare attenzione nei confronti del territorio in cui operano: il 45,3% delle imprese ha dichiarato che tra il 2016-2018 ha realizzato o contribuito a realizzare iniziative di interesse collettivo e il 40,9% iniziative a beneficio del tessuto produttivo locale. L’attenzione alla sicurezza, all’interno dell’impresa o nel territorio (che è parte degli aspetti sociali della sostenibilità) è maggiore tra le imprese industriali (74,0%), rispetto a quelle dei servizi (61,0%).
I comportamenti sostenibili crescono all’aumentare della dimensione dell’impresa. Le unità produttive di grandi dimensioni (250 addetti e oltre) hanno presentato valori di oltre 10-20 punti percentuali superiori alla media nazionale in tutte le macro attività: +24 punti nell’ambito della sicurezza mentre tra le iniziative realizzate sul territorio i punti percentuali in più sono 25 per le iniziative di interesse collettivo e 20 per quelle a beneficio del tessuto produttivo locale. Significative le differenze anche nella riduzione dell’impatto ambiente (+18 punti percentuali) e per iniziative rivolte al benessere dei lavoratori (+13).
La morfologia della sostenibilità ha evidenziato altre interessanti differenze dimensionali: le micro imprese (3-9 addetti) hanno mostrato un orientamento più accentuato al miglioramento del benessere lavorativo mentre le imprese con 500 e più addetti sono risultate più attente alla sicurezza e alla riduzione dell’impatto ambientale. (Figura 3 e Tavola 1 dell’appendice statistica).
In questo quadro, le imprese meridionali mostrano un buon posizionamento anche osservando le iniziative di interesse collettivo, quelle a vantaggio del territorio (Figura 3 e Tavola 1 dell’appendice statistica) e le iniziative riguardo il benessere lavorativo. Combinando dimensione di impresa e ripartizione geografica emerge che sono soprattutto le imprese del Mezzogiorno di piccola e media dimensione ad aver scelto comportamenti sostenibili come la riduzione dell’impatto ambientale e il benessere del territorio.
La riduzione dell’impatto ambientale finalizzata in primis alla reputazione aziendale
Per gli obiettivi di sostenibilità, le imprese del Mezzogiorno e del Centro hanno optato per attività interne a titolo gratuito utilizzando personale dell’impresa (rispettivamente 14,2% e 14,1%) mentre quelle del Nord-est e del Nord-ovest si sono orientate maggiormente verso finanziamenti di tipo economico di progetti/iniziative (12,6% e 11,3%) (Tavola 6 dell’appendice statistica). La scelta del tipo di iniziativa invece è stata legata alla dimensione di impresa: quelle con 500 e più addetti hanno scelto i finanziamenti economici per le iniziative “sostenibili” nel 42,8% dei casi mentre il 13,9% delle microimprese ha fatto ricorso ad attività interne svolte a titolo gratuito o agevolato dal personale dell’impresa (Figura 5).
Per i finanziamenti di tipo economico delle iniziative di sostenibilità, il 90,7% delle imprese lo ha fatto in modo autonomo, l’8,6% in partnership con soggetti privati, il 5,5% in congiunzione con soggetti misti (pubblico, privato, terzo settore), il 4,9% con soggetti pubblici e solo il 2,5% con soggetti del terzo settore. Infine, il 19,7% delle imprese ha coinvolto i propri stakeholder solo in alcuni progetti di sostenibilità mentre il 7,8% ha chiesto la loro collaborazione per tutti i progetti o le iniziative.
Due terzi delle imprese impegnate in azioni per migliorare benessere lavorativo e sviluppo professionale
La maggior parte delle imprese che hanno dichiarato di realizzare azioni per migliorare il benessere lavorativo (712 mila, pari al 68,9% delle imprese osservate) ha concretizzato questo impegno prevalentemente attraverso l’adozione di una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro (di entrata, uscita, pausa, ecc.) o di buone prassi collegate allo sviluppo professionale (misure per la progressione economica, crescita formativa, passaggio di ruolo, ecc.). Tra il 2016 e il 2018 queste azioni hanno interessato rispettivamente il 68,6% e il 65,6% delle imprese (Figura 6). Più contenuta, ma comunque significativa, l’adozione di buone prassi collegate alla tutela delle pari opportunità dei lavoratori (61,9%) così come il loro coinvolgimento nella definizione degli obiettivi aziendali (59,4%). Un ulteriore elemento di attenzione nelle politiche aziendali rivolte al benessere lavorativo è il mantenimento di livelli occupazionali elevati anche in presenza di una riduzione dei profitti aziendali (52,4%).
Le altre misure di benessere lavorativo e di conciliazione con i tempi di vita presentano livelli decisamente inferiori. Tuttavia, gli impegni da parte delle imprese si sono concentrano anche nella possibilità di fruire di permessi/congedi/part-time per la nascita di un figlio oltre a quanto previsto dagli obblighi di legge (37%), di permessi per l’inserimento dei figli al nido/scuola materna (32,7%) o l’estensione della durata del congedo per gravi motivi (22,6%) che raccoglie un numero di risposte più elevato rispetto all’estensione della durata del congedo parentale (12,5%) o ai sostegni economici (11,3%). Soltanto il 2,5% delle imprese attente al benessere lavorativo offre infine un asilo aziendale a condizioni agevolate o gratuite.
A livello territoriale non sono emerse particolari differenze per la maggior parte delle misure e azioni. Le uniche eccezioni riguardano la flessibilità oraria (71,9% delle imprese del Nord-est, 69,5% del Nord-ovest, 68,7% del Centro e 64,6% nel Mezzogiorno) e i permessi per l’inserimento dei figli al nido/scuola materna (35,4% nel Nord-ovest, 34,9% nel Nord-est, 33,5% del Centro e 27,1% nel Mezzogiorno) entrambe più diffuse tra le imprese del Centro-nord.
Al contrario le imprese del Mezzogiorno mostrano una maggiore attenzione rispetto a quelle del Centro-nord sull’estensione della durata del congedo per gravi motivi (25,1% contro 21,7%); sul sostegno economico per lavoratori e familiari (13,4% e 10,5%) e sull’inserimento di personale in condizione di disagio oltre gli obblighi di legge (9,7% e 7,3%). Un fattore discriminante nell’adozione di misure per il benessere lavorativo e per la conciliazione dei tempi di vita-lavoro è la dimensione aziendale: la loro implementazione aumenta al crescere del numero di addetti in quasi tutti i tipi analizzati. In particolare, un maggiore scarto è osservabile nell’offerta di un asilo aziendale gratuito o a condizioni agevolate, negli strumenti di sostegno economico e nelle estensioni della durata dei congedi parentali o per gravi motivi.
Per smart work e telelavoro incide molto la dimensione aziendale
Al momento del censimento eseguito da Istat, lo smart working e il telelavoro risultavano utilizzati solo dal 10,3% e dal 3,7% (Prospetto 1) delle imprese (118 mila in valore assoluto, considerando una delle due forme di lavoro o entrambe). La diffusione della pandemia da Covid-19 ha poi impresso una forte accelerazione nell’adozione di queste misure. Il ricorso allo smart working o al telelavoro risulta fortemente legato alla dimensione aziendale e al settore di attività economica in cui le imprese operano mentre non emergono sostanziali differenze a livello territoriale. Rapportando il numero delle imprese che hanno adottato tali strumenti al totale delle imprese censite si è registrato uno scarto di circa 10 punti percentuali tra grandi imprese (24,0% smart work e 15,0% telelavoro) e medie (13,3% e 8,4%), piccole (10,2% e 4,9%) e microimprese (10,2% e 3,2%).
A livello settoriale le differenze si ravvisano anche all’interno degli stessi comparti, a conferma di quanto la possibilità di utilizzo del lavoro agile sia correlata al prodotto/servizio offerto o al processo produttivo seguito. In particolare, sono i settori dei Servizi di informazione e comunicazione, soprattutto quello della Produzione di software e della consulenza informatica, delle Telecomunicazioni e delle Attività di produzione cinematografica, televisiva e musicale a distinguersi per il maggiore utilizzo: tra il 2016 e il 2018 il 26,8% delle imprese attive in questi settori ha adottato lo smart working e il 20,8% il telelavoro (Figura 7). Il ricorso allo smart work è stato significativo anche nel settore dell’Istruzione (19,7% delle imprese, con una incidenza più elevata per corsi post universitari, ricreativi o di formazione), nelle Attività professionali, scientifiche e tecniche (18,2%, in particolare quelle impegnate nella ricerca e sviluppo, pubblicità e ricerche di mercato, design e interpretariato), nel settore della Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata (15,5%) e nelle attività di Servizi alle imprese (14,1%, con valori particolarmente elevati per le agenzie di selezione e ricerca del personale). Le Attività professionali, scientifiche e tecniche, così come il settore delle Utilities, presentano valori superiori alla media nazionale anche per il telelavoro.
Procedure avanzate di sicurezza presenti soltanto in una impresa su quattro
Nel 2018, il 64,8% delle imprese ha dichiarato di avere incrementato i livelli di sicurezza oltre a quanto già richiesto dalla normativa. Una certa attenzione risulta che sia stata dedicata anche alla sicurezza del personale sul luogo di lavoro (68,1% delle imprese) e alla sicurezza dei processi produttivi (57,2%), dei prodotti e dei servizi offerti (56,2%) e dei sistemi informativi dell’impresa (55,6%). Le imprese hanno investito in macchinari e apparecchiature soprattutto per garantire la sicurezza del personale (53,8%), la sicurezza dei processi produttivi (49,0%), dei sistemi informativi (46,0%) e dei prodotti e dei servizi (43,5%), ambito quest’ultimo che presenta la quota più ampia di adozione di procedure avanzate (42,1%). Decisamente più contenuta la nomina di un responsabile aziendale con budget dedicato (Figura 8). L’adozione di procedure avanzate per la sicurezza ha invece coinvolto soltanto il 22,1% delle imprese (228 mila in valore assoluto) che hanno seguito allo scopo protocolli ben specifici e delineati, un tema particolarmente rilevante per la ripresa delle attività produttive nell’attuale emergenza sanitaria; di queste, 69 mila le hanno inserite in tutti gli ambiti lavorativi (Prospetto 2). La diffusione di tali procedure avanzate per la sicurezza è stata maggiore nell’industria in senso stretto (27,3%) e nelle costruzioni (25,3%) e risulta fortemente correlata, in tutti i macro settori, alla dimensione aziendale: le hanno adottate il 60,3% delle imprese di grandi dimensioni e solo il 19,7% delle microimprese.
Sul territorio imprese impegnate soprattutto in iniziative sportive, culturali e legate a emergenze
Tra le azioni realizzate per il benessere del territorio le più diffuse sono quelle sportive. Il 27,8% delle 323 mila imprese che hanno realizzato o contribuito a tali iniziative tra il 2016 e il 2018 si sono infatti concentrate su tale tipologia, insieme alle iniziative umanitarie (24,7%), culturali (22,2%) e di contrasto alla povertà o al disagio sociale (17,6%) (Figura 9).
L’impegno delle imprese verso iniziative sportive è stato maggiore al Nord, in particolare nel Nord-est (33,5% delle imprese) mentre nel Mezzogiorno prevalgono azioni di contrasto alla povertà o al disagio sociale (19,8%). Per altre iniziative di interesse collettivo, come rigenerazioni urbane, sanitarie, socio-assistenziali o di sostegno ad attività scientifiche e formative, l’azione è più circoscritta. Ciò che emerge è, ancora un volta, la stretta interrelazione con la dimensione aziendale: le grandi imprese mostrano anche in questo caso un maggiore contributo e capacità di intervento. Lo scarto si fa più evidente soprattutto nel sostegno ad attività scientifiche e formative, realizzato dal 36,9% delle imprese con 250 e più addetti contro il 9,2% registrato per il complesso delle unità produttive (Figura 9).
Le imprese hanno realizzano queste iniziative soprattutto nel comune o nella provincia in cui è localizzata la sede principale dell’impresa (72,6%), in particolare nel Mezzogiorno (77,1% a fronte del 72,4% del Nord-est, al 71,0% del Centro e al 69,4% del Nord-ovest). Rispetto al totale delle imprese, l’11,9% ha realizzato almeno un’iniziativa nella regione di appartenenza, l’11,1% a livello nazionale e il 4,5% all’estero (Prospetto 3). Nel dettaglio sono circa 10 mila le imprese impegnate oltre i confini nazionali, di cui oltre un terzo localizzate nel Nord-ovest (36,1% rispetto a 26,2% del Nord-est, 20,9% del Centro e a 16,7% del Mezzogiorno); in questo caso le iniziative umanitarie o di contrasto alla povertà o al disagio sociale sono le più scelte dalle imprese. Il livello di partecipazione delle imprese a iniziative di sviluppo territoriale non è invece particolarmente elevato. Anche se il 29,4% ha dichiarato di impegnarsi in questo ambito (303 mila imprese in termini assoluti) i numeri sulle iniziative effettivamente realizzate sono piuttosto contenuti e restano improntati a una promozione generale del territorio, attraverso attività di comunicazione (18,4%) o di sostegno al patrimonio culturale e paesaggistico (14,7%) (Figura 9). In tale contesto resta comunque significativo il contributo delle grandi imprese (250 addetti e oltre) tra le quali circa il 30% dichiara di avere realizzato sul territorio attività di ricerca o sperimentazione per innovazione di processo e/o di prodotto (32,5%) e corsi accademici o professionali rivolti anche a persone esterne all’impresa (26,8%).
Quanto, infine, agli strumenti di programmazione e valutazione delle iniziative di sostenibilità sociale, sono oltre 108 mila le imprese che hanno individuato una figura per la responsabilità sociale all’interno dell’impresa, ossia il 10,5% delle imprese (25,7% tra le grandi imprese). A livello settoriale la quota di imprese è più alta nella Sanità e assistenza sociale (15,4%) e nei settori delle Utilities (14,9%) e dell’Istruzione (14,5%). L’attività di sola valutazione delle iniziative è realizzata appena da due imprese su 100 (131 mila, pari al 19,2% delle imprese che hanno realizzato iniziative per il benessere dei lavoratori o di interesse collettivo) e nella maggior parte dei casi è di tipo qualitativo (attraverso interviste ai partecipanti/destinatari dell’iniziativa, raccolta di commenti, recensioni dei media, ecc.). Sono circa 20 mila le imprese che hanno inserito i risultati della valutazione all’interno del bilancio sociale o in un documento pubblico, di queste 13 mila sono di dimensione micro.
Verso infrastrutture a basso consumo per gestire le risorse energetiche in modo efficiente e sostenibile
Uno degli ambiti di intervento delle imprese per la riduzione degli impatti sull’ambiente attiene alla gestione efficiente e sostenibile dell’energia e dei trasporti, in forte sviluppo grazie anche alle politiche di incentivazione delle fonti energetiche e rinnovabili (FER) e dell’efficienza energetica portate avanti dal nostro Paese negli ultimi anni. Per ridurre i consumi energetici il 40,1% delle imprese ha provveduto a installare macchinari, impianti e/o apparecchi efficienti; il 32,2% lo ha fatto senza usufruire di incentivi (Figura 10). Tra gli investimenti finalizzati al risparmio di energia, 13 imprese su 100 hanno scelto l’isolamento termico degli edifici e/o la realizzazione di edifici a basso consumo energetico e quasi 10 su 100 hanno sostenuto la spesa in assenza di incentivi.
Più marginale è stato l’impegno delle imprese nella produzione di energia da fonte rinnovabile elettrica (7,2%) o termica (4,4%) e nella realizzazione di impianti di cogenerazione, trigenerazione e/o per il recupero di calore (2,8%). Per queste iniziative, circa la metà degli investimenti è stata effettuata grazie all’erogazione di incentivi. Ancora poco diffuse risultano anche le azioni a supporto della mobilità sostenibile, in media solo 4,8 imprese su 100 hanno acquistato automezzi elettrici o ibridi.
La varietà delle misure adottate dalle imprese dipende inoltre dalle caratteristiche proprie dei processi di produzione, in particolare dall’intensità di utilizzo delle risorse energetiche (così come delle risorse idriche e materiali) e dalla produzione di scarti e residui della lavorazione. Tra le iniziative più scelte dalle imprese, quelle finalizzate a un utilizzo più sostenibile dell’energia e dei trasporti prevalgono, come prevedibile, nei contesti che hanno come attività principale la gestione delle risorse energetiche. Il settore della fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata registra dunque un’elevata incidenza di investimenti (con o senza incentivi) per l’efficientamento energetico: il 43,8% delle imprese del settore ha installato macchinari, impianti e/o apparecchi che riducono il consumo energetico e il 18,5% ha provveduto all’isolamento termico degli edifici e/o realizzato edifici a basso consumo energetico e per lo sfruttamento di fonti energetiche “pulite”. A fronte di una variabilità territoriale complessivamente contenuta, gli investimenti per energia e trasporti sostenibili tendono a essere meno diffusi nella ripartizione centrale e più frequenti nel Mezzogiorno e nel Nord-est, con differenze più marcate, in termini relativi, negli interventi finalizzati alla produzione di energia da rinnovabile: installano impianti per la produzione da FER elettriche l’8,8% delle imprese del Mezzogiorno e il 7,6% di quelle del Nord-est contro il 5,7% delle imprese del Centro. La dimensione d’impresa si conferma fattore fortemente discriminante anche per l’impegno nella tutela dell’ambiente. La quota di imprese che effettuano investimenti per la gestione sostenibile di energia e trasporti varia positivamente con il numero di addetti. I differenziali sono particolarmente elevati nell’ambito della co/trigenerazione e recupero di calore (si passa dal 2,4% delle microimprese al 17,9% delle imprese con 500 e più addetti), per l’acquisto di automezzi elettrici o ibridi (da 3,9% a 28,3%) e la produzione elettrica da fonte rinnovabile (da 5,9% a 26,3%).
Contenere i consumi di acqua, un impegno per sei imprese su dieci
In Italia la gestione delle risorse idriche presenta diverse criticità, specie in alcune zone più vulnerabili, in larga parte legate alle crescenti pressioni della domanda rispetto alla disponibilità naturale, alle inefficienze delle reti di distribuzione dell’acqua e alla rilevanza dei carichi inquinanti derivanti dalle attività antropiche. Il contributo delle imprese alla sostenibilità ambientale può realizzarsi attraverso una molteplicità di interventi, tutti finalizzati a ridurre le pressioni sugli ecosistemi generate dai processi produttivi attraverso i prelievi di risorse naturali e gli inquinanti atmosferici, del suolo e delle acque restituiti all’ambiente. Tra questi le imprese italiane hanno messo ai primi posti gli interventi per contenere prelievi e consumi di acqua, realizzati da sei imprese su 10 nel triennio 2016-2018 (Figura 11). Seguono i trattamenti delle acque reflue per il controllo degli inquinanti, possibili solo nell’ambito di alcune realtà produttive, effettuati da un quinto delle imprese, e quelli per il riutilizzo e riciclo delle acque (8% delle imprese).
Gli interventi di trattamento delle acque reflue per il recupero e il riutilizzo e per il contenimento degli inquinanti sono più diffusi nei settori a maggiore intensità di utilizzo di risorse idriche: nell’industria in senso stretto (rispettivamente 13,7% e 29,1%) e, al suo interno, nell’estrazione di minerali da cave e miniere (41,7% e 43,9%), nella fornitura di acqua, reti fognarie e attività di gestione dei rifiuti e risanamento (22,4% e 51,5%) e nell’industria manifatturiera (13,2% e 28,2%). Le azioni volte al contenimento di consumi e prelievi di acqua sono state intraprese più frequentemente della media dalle imprese dei servizi (61,4%) e da quelle di minori dimensioni (61,5% per le imprese con 3-9 addetti 4). Le imprese del Mezzogiorno si dimostrano più attente nell’utilizzo dell’acqua anche per la minore disponibilità della risorsa idrica in questa porzione del territorio, con il 64,5% di unità che applicano misure per la riduzione dei prelievi, il 25,7% per il controllo degli inquinanti, il 10,3% per il recupero e riutilizzo delle acque di scarico (Prospetto 4).
La sostenibilità nella produzione invece si è evidenziata anche con il risparmio del materiale utilizzato nei processi produttivi, che riguarda il 52,8% delle imprese, e con l’utilizzo di materie prime seconde (ossia scarti recuperati e reimmessi nella produzione) a cui ricorre il 21,3%. Questo tipo di impegno – risparmio di materiale e riutilizzo di materie prime – è stato superiore alla media nel settore estrattivo (56,1% e 40,6% delle imprese) e, con riferimento al solo contenimento dei materiali di produzione, nel settore della fornitura acque, gestione rifiuti e risanamento (45,9%). Anche le imprese manifatturiere si sono distinte per livelli superiori alla media: il 35,6% ha utilizzato materie prime seconde, il 67,3% ha adottato misure per contenere l’utilizzo del materiale di produzione, con limitate differenze legate al territorio e alla dimensione d’impresa.
A risultare più virtuose, rispetto a entrambe le sfere di azione, sono le imprese del Nord-est (89,0% per la differenziazione/riciclo e 59,3% per il controllo degli inquinanti) e dei settori manifatturiero (88,2% e 67,6%) e sanità e assistenza sociale (90,0% e 73,6), oltre alle imprese che operano proprio nella gestione dei rifiuti (il 70,5% pratica attività finalizzate al controllo degli inquinanti). Le imprese più attive nel contenimento dell’inquinamento acustico e luminoso risultano per lo più nei settori dell’estrazione (56,9%) e della fornitura di acqua, gestione dei rifiuti e risanamento (53,0%); lo stesso accade per le azioni di controllo delle emissioni atmosferiche (57,7% e 53,3%), ampiamente praticate anche nella fornitura di energia (42,2% delle imprese) che d’altra parte è uno dei settori a maggiore intensità di emissioni di CO2 sul valore aggiunto.
Ancora poco diffusi bilanci e/o rendicontazioni ambientali e di sostenibilità
Nel triennio 2016-2018 il 12,4% delle imprese ha acquisito certificazioni ambientali volontarie di prodotto o di processo. Si tratta di una pratica nettamente più diffusa nelle grandi imprese (57%), in taluni casi soggette a obblighi normativi, e in quelle di medie dimensioni (39,1%), che non nelle piccole (19,0%) o nelle microimprese (9,7%). Le imprese che dichiarano di aver redatto bilanci e/o rendicontazioni ambientali e di sostenibilità sono meno del 4%, ma la quota raggiunge il 30,8% tra le grandi imprese. La valutazione delle iniziative di sostenibilità ambientale viene invece praticata dal 13,0% delle imprese (quasi 50% nelle grandi). A livello settoriale le imprese più attive in questo ambito sono quelle della fornitura di acqua, reti fognarie, gestione dei rifiuti e risanamento, che adottano pratiche di certificazione ambientale volontaria nel 44,6% dei casi; di rendicontazione e redazione di bilanci nel 13,6%; di valutazione delle iniziative di sostenibilità ambientale nel 31,2%. Seguono le imprese dell’estrazione di minerali da cave e miniere (27,6%, 6,8% e 27,4%) e ancora una volta della fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata (26,1%, 18,6% e 23,0%).
La nomina di un referente interno e/o l’istituzione di una struttura per la responsabilità ambientale, che nel complesso interessa meno del 10% delle imprese, cresce sensibilmente all’aumentare della dimensione aziendale. Tale soluzione organizzativa interessa infatti oltre la metà delle imprese con 250 e più addetti mentre risulta molto meno diffusa nelle micro e nelle piccole imprese. La nomina di un referente/struttura per la responsabilità ambientale è più frequente nella fornitura di acqua e gestione di rifiuti, con una quota di imprese più che tripla rispetto alla media, nel settore estrattivo e nella fornitura di energia (quota più che doppia in entrambi i casi). Le soluzioni organizzative comportano un ridisegno dei processi produttivi e/o l’adozione di nuovi modelli di produzione nel 13,7% dei casi. L’intervento sui processi produttivi è più diffuso nell’industria in senso stretto (23,2%), in particolare nell’industria manifatturiera (23,3%).
Per alcune imprese, la sostenibilità ambientale rappresenta un obiettivo da estendere anche ai fornitori della filiera produttiva, coinvolgendoli nelle iniziative di riduzione dell’impatto ambientale delle proprie attività: si tratta del 14,0% delle imprese per i fornitori italiani e dell’1,5% per i fornitori stranieri. Il coinvolgimento dei fornitori appare più frequente nei settori della fornitura di acqua e gestione dei rifiuti (25,3%) e della fornitura di energia (24,7%).
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