Alcuni dei massimi esperti della sanità italiana in questi giorni hanno fatto il punto sui test diagnostici, dall’uso più appropriato al miglior rapporto costo beneficio per il Servizio Sanitario Nazionale nella gestione della fase due in Italia.
“I test ELISA per anticorpi IgM e IgG anti SARS-CoV-2″, ha detto Antonio Cascio, Direttore Malattie Infettive Tropicali Policlinico Giaccone, di Palermo, “possono avere una specificità superiore al 95% per la diagnosi di COVID-19. La sensibilità dipende dalla fase dell’infezione potendo raggiungere virtualmente il 99%. In genere”, ha proseguito Cascio, “la maggior parte degli anticorpi viene prodotta contro la proteina più abbondante del virus, che è quella del nucleocapside (NC). Pertanto, i test che rilevano gli anticorpi anti-NC sarebbero i più sensibili. Tuttavia, tali anticorpi potrebbero avere reattività crociata altri Coronavirus. Gli anticorpi contro la proteina S, sono invece più specifici”, prosegue Cascio, “e ci si aspetta che siano neutralizzanti”.
Nonostante un rapido aumento del numero e della disponibilità di test sierologici, la maggior parte non è stata sottoposta a validazione esterna, il che ostacola la selezione e l’interpretazione dei risultati. “L’interpretazione di tali test è limitata da alcune lacune di conoscenza”, aggiunge l’esperto. “Non è conosciuto il correlato sierologico di protezione e non è stato ancora identificato il grado in cui questi test reagiscono in modo incrociato con anticorpi contro gli altri Coronavirus. I test anticorpali possono essere di aiuto nel diagnosticare un’infezione acuta da COVID in pazienti con sintomi tipici e PCR negativa, ma il loro ruolo principale è riservato alle indagini epidemiologiche”, ha concluso Cascio.
“I test sierologici rappresentano uno strumento importante per stimare la diffusione dell’infezione in una comunità ed evidenziare l’avvenuta esposizione al virus”, ha detto Maria Grazia Cusi, Professoressa Microbiologia Università di Siena e Direttore Microbiologia e Virologia Azienda Ospedaliera, Siena. “La diagnosi sierologica può essere utile per l’identificazione dell’infezione da SARS-CoV-2 in soggetti asintomatici o con sintomatologia lieve, che passerebbero altrimenti inosservati.
Le conoscenze scientifiche sui test sierologici per il COVID-19 sono ancora carenti. Non si sa ancora quanto dureranno gli anticorpi specifici e se questi siano in grado di proteggere l’ospite dall’infezione. Attualmente, il test classico di neutralizzazione è l’unico che possa dare indicazioni sulla presenza di uno stato protettivo anticorpale nei confronti del SARS CoV-2. Tuttavia, basandosi sull’esperienza della SARS, è possibile che questi anticorpi possano declinare nel tempo. Quindi è necessario monitorare anche i soggetti immuni per capire se i soggetti infettati saranno protetti a lungo o potranno diventare suscettibili a reinfezione da parte dello stesso virus”, ha concluso Cusi.
Dai tamponi ai test
I “tamponi“, sono quell’esame di laboratorio attraverso il quale è possibile individuare la presenza del Coronavirus all’interno delle mucose respiratorie. I test sierologici invece servono ad individuare tutte quelle persone che sono entrate in contatto con il virus. Mentre i primi forniscono un’istantanea sull’infezione, i secondi “raccontano” la storia della malattia individuando gli anticorpi prodotti dal nostro sistema immunitario in risposta al virus.
A cosa servono?
I test sierologici sono essenzialmente di due tipi: quelli rapidi e quelli quantitativi. I primi, grazie ad una goccia di sangue, stabiliscono se la persona ha prodotto anticorpi e quindi è entrata in contatto con il virus. I secondi, per i quali serve un prelievo, dosano in maniera specifica le quantità di anticorpi prodotti. In entrambi i casi i test sierologici testano la presenza di anticorpi (immunoglobuline) IgM e IgG. Le IgM vengono prodotte temporalmente per prime in caso di infezione. Con il tempo il loro livello cala per lasciare spazio alle IgG. Quando nel sangue vengono rilevate queste ultime, le IgG, significa che l’infezione si è verificata già da diverso tempo e la persona tendenzialmente è immune al virus.
Conoscere la presenza di questi anticorpi è utile perché forniscono il “film“della malattia e non un’istantanea e permettono di sapere quante persone hanno realmente incontrato il virus.
Ma quanto sono affidabili?
I test sierologici non sono tutti uguali. Ciò che conta, in ottica delle prossime fasi di gestione della pandemia, è l’affidabilità di questi esami. Test con molti falsi positivi rischierebbero di dare il via libera a persone che in realtà non hanno mai contratto il virus. Per questo motivo spesso si valutano tanti test sierologici confrontando i dati ottenuti dal tampone positivo. “Solo con un test altamente affidabile o il vaccino”, ha detto il dott. Fauci, l’immunologo statunitense capo dell’istituto statunitense National Institute of Allergy and Infectious Diseases, “sarà possibile estendere l’utilizzo di queste analisi nell’ottica di un allentamento delle misure”.
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