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ISTAT ECCO QUANTI HANNO SVILUPPATO GLI ANTICORPI VS COVID-19 IN ITALIA


Dal 25 maggio al 15 luglio è stata condotta l’indagine di sieroprevalenza sul SARS-CoV-2 secondo quanto previsto dal decreto legge 10 maggio 2020 n. 30 “Misure urgenti in materia di studi epidemiologici e statistiche sul SARS-CoV-2”, convertito in legge il 2 luglio 2020. Titolari dell’indagine sono Istat e Ministero della Salute nelle rispettive funzioni, mentre la Croce Rossa ha condotto la rilevazione sul campo con l’aiuto delle Regioni. L’Istat ha curato il disegno statistico dello studio, la progettazione del questionario – condividendola con il Comitato Tecnico scientifico – e l’analisi dei dati. Il Ministero della Salute ha sviluppato la piattaforma di monitoraggio e coordinato la rilevazione sul campo anche nel raccordo con le Regioni, i centri prelievo e i laboratori.

L’obiettivo dell’indagine era quello di definire la proporzione di persone nella popolazione generale che hanno sviluppato una risposta anticorpale contro SARS-CoV-2, attraverso la ricerca di anticorpi specifici nel siero. La metodologia adottata ha consentito, oltre che di valutare il tasso di siero-prevalenza per SARS-CoV-2 nella popolazione, di stimare la frazione di infezioni asintomatiche o subcliniche e le differenze per fasce d’età, sesso, regione di appartenenza, attività economica nonché altri fattori di rischio.

Dati preziosi sia per conoscere la quota di popolazione che è stata infettata nei mesi precedenti, sia per la messa a punto di programmi sanitari al fine di prevenire future ondate dell’epidemia e orientare adeguatamente le politiche sanitarie

I risultati qui presentati sono provvisori e sono relativi a 64.660 persone che hanno effettuato il prelievo e il cui esito è pervenuto entro il 27 luglio. La rilevazione si è inizialmente rivolta a una platea più ampia di cittadini residenti in Italia, ma la conduzione in condizioni emergenziali non ha permesso di raggiungere completamente la numerosità originariamente programmata. Tuttavia, le tecniche di poststratificazione adottate, correggendo i fattori distorsivi di caduta, hanno permesso la produzione di stime coerenti sia con i dati di contagio e di mortalità da SARS-CoV-2, sia con i risultati prodotti da indagini condotte a livello locale in alcune realtà del Paese, nonché analoghe indagini svolte nel panorama internazionale.

Livelli di sieroprevalenza al 2,5%, pari a 1 milione 482 mila persone

Sono 1 milione 482 mila le persone, il 2,5% della popolazione residente in famiglia (escluse le convivenze), risultate con IgG positivo, che hanno cioè sviluppato gli anticorpi per il SARS-CoV-2. Quelle che sono entrate in contatto con il virus sono dunque 6 volte di più rispetto al totale dei casi intercettati ufficialmente durante la pandemia, attraverso l’identificazione del RNA virale, secondo quanto prodotto dall’Istituto Superiore di Sanità.

Come già evidenziato dai dati ufficiali in tema di mortalità e dai livelli di infezione, le differenze territoriali sono molto accentuate. La Lombardia raggiunge il massimo con il 7,5% di sieroprevalenza: ossia 7 volte il valore rilevato nelle regioni a più bassa diffusione, soprattutto del Mezzogiorno. Il caso della Lombardia è unico: da sola questa regione assorbe il 51% delle persone che hanno sviluppato anticorpi. D’altra parte in Lombardia, dove è residente circa un sesto della popolazione italiana, si è concentrato il 49% dei morti per il virus e il 39% dei contagiati ufficialmente intercettati durante la pandemia: in alcune sue province, quali ad esempio Bergamo e Cremona, il tasso di sieroprevalenza raggiunge addirittura punte, rispettivamente, del 24% e 19%.

Rispetto alla graduatoria regionale della prevalenza accertata, dopo la Lombardia segue la Valle d’Aosta, con il 4%, e un gruppo di regioni che si collocano attorno al 3%: Piemonte, Trento, Bolzano, Liguria, Emilia-Romagna  e Marche. Il Veneto è all’1,9% mentre otto Regioni, tutte del Mezzogiorno, presentano un tasso di sieroprevalenza inferiore all’1%, con i valori minimi in Sicilia e Sardegna (0,3%).

Nella sieroprevalenza nessuna significativa differenza di genere

Non emergono differenze significative per quanto riguarda il genere. Uomini e donne sono stati colpiti nella stessa misura dal SARS-CoV-2 così come emerso anche da studi di altri Paesi. Per quanto riguarda l’età, la sieroprevalenza rimane sostanzialmente stabile al variare delle classi utilizzate nel disegno campionario e riportate nel Prospetto 2. E’ comunque interessante notare come il dato di sieroprevalenza più basso sia riscontrabile per i bimbi da 0 a 5 anni (1,3%) e per gli ultra85enni (1,8%), due segmenti di popolazione per età verosimilmente più protetti e, quindi, meno esposti durante l’epidemia.

Sul fronte occupazionale…

Gli occupati sono stati toccati dal SARS-CoV-2 analogamente ai non occupati. Le differenze emergono in base al settore di attività economica. Nella Sanità si registra infatti la sieroprevalenza più alta con il 5,3% e un intervallo di confidenza che oscilla tra il 4,1% e il 6,6. Il dato arriva al 9,8% nella zona a più alta sieroprevalenza con un intervallo di confidenza dal 6,5% al 13,1%.

Gli occupati in settori essenziali e attivi durante la pandemia non presentano valori significativamente più elevati (2,8%) rispetto alla popolazione generale – così come emerge anche dallo studio  spagnolo o rispetto agli occupati in settori di attività economiche sospese (2,7%). Tali risultati saranno oggetto di approfondimento in successive analisi. Si evidenzia, tuttavia, sin da ora un dato rilevante, di cui tener conto in termini di misure e provvedimenti di politica sanitaria, che riguarda i servizi di ristorazione e accoglienza in corrispondenza dei quali la prevalenza vale 4,2%.

Sul versante dei non occupati il tasso medio di sieroprevalenza si attesta al 2,1% per le casalinghe, al 2,6% per i ritirati dal lavoro, al 2,2% per gli studenti e all’1,9% per le persone in cerca di lavoro.

Sieroprevalenza più alta per chi ha avuto contatti con persone con SARS-CoV-2

I risultati confermano che l’aver avuto contatti con persone affette dal virus aumenta la probabilità che si siano sviluppati anticorpi. In tale circostanza la prevalenza sale, infatti, al 16,4%. In Lombardia si arriva persino al 24%.

I valori più alti corrispondono ai casi in cui i contatti hanno riguardato i familiari conviventi. Chi ha avuto contatto con un familiare convivente infettato da SARS-CoV-2 ha sviluppato anticorpi nel 41,7% dei casi; la prevalenza si abbassa al 15,9% se il familiare non risulta convivente, restando tuttavia largamente superiore al valore medio che contraddistingue l’intera popolazione (2,5%).

Un sostanziale incremento della prevalenza si osserva anche quando vi siano stati contatti con colleghi di lavoro affetti dal virus (11,6%), ovvero con pazienti nella stessa condizione (12,1%). E’ opportuno sottolineare che anche in presenza di una stretta convivenza con persone affette da virus non è detto che necessariamente si generi il contagio – come appunto è accaduto in più della metà dei casi – purché vengano osservate scrupolosamente le regole di protezione consigliate.

È asintomatico quasi il 30% delle persone con anticorpi

La percentuale di asintomatici è molto importante, perché evidenzia quanto ampia sia la quota di popolazione che può contribuire alla diffusione del virus. E quindi quanta attenzione ciascun cittadino deve porre alla scrupolosa applicazione delle misure basilari di sicurezza a difesa di se stesso e degli altri.

Il 27,3% delle persone che ha sviluppato anticorpi non ha avuto alcun sintomo. Un dato elevato che sottolinea quanto sia importante l’identificazione immediata delle persone affette dall’infezione, nonché di tutti gli individui con cui, a loro volta, sono entrate in contatto.

Oltre agli asintomatici – ed escludendo il 6,5% di non rispondenti – il restante insieme di coloro che hanno avuto sintomi si divide tra persone con uno o due sintomi (esclusa la perdita dell’olfatto e/o del gusto) che rappresentano il 24,7% e persone con almeno tre sintomi. Queste ultime includono anche coloro che presentano i soli sintomi di perdita di olfatto e/o di gusto, e rappresentano il 41,5% della popolazione che ha sviluppato anticorpi.

Tra i sintomi più diffusi nell’ambito dei soggetti con uno o due sintomi si osservano la febbre (27,8%), la tosse (21,6%), il mal di testa (19,2%). I sintomi più diffusi dei soggetti con almento tre sintomi oppure perdita di gusto o di olfatto sono: febbre (68,3%), perdita di gusto (60,3%), sindrome influenzale (56,6%), perdita di olfatto (54,6%), stanchezza (54,6%), dolori muscolari (48,4%), tosse (48,1%), mal di testa (42,5%).

In proposito, è importante sottolineare come alcuni sintomi siano maggiormente associati alla positività nell’indagine di sieroprevalenza. Su 100 persone che hanno presentato il sintomo di perdita del gusto il 27,5% è risultato positivo; analogamente su 100 persone che hanno presentato il sintomo di perdita dell’olfatto è risultato positivo il 25.4%.



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