Sabato migliaia di donne americane si sono date appuntamento e riunite nelle strade di Washington per marciare contro le leggi anti-aborto. E vicino alla Casa Bianca hanno sventolato cartelli contro le recenti restrizioni indossando t-shirt dove di leggeva stampato l’anno 1973 che è l’anno in cui la sentenza Roe v. Wade stabilì che l’aborto era legale. “L’aborto è una scelta personale non un dibattito legale”, dice Patricia H., impiegata presso una grande compagnia media, asserendo che le leggi contro l’aborto sono una limitazione delle libertà personali. Di attacco alle libertà parla anche Lindy, studentessa al 2 anno di università, che parla di diritti inalienabili. Tra loro anche Robert, anche lui sceso in campo a fianco della moglie Melissa, che 5 anni fa racconta dovette abortire, dopo avere scoperto di essere rimasta incinta.
Ora anche nei dibattiti in Tv ci si domanda come mai gli attacchi alla sentenza siano aumentati in questi ultimi mesi. C’è chi punta il dito contro Trump colpevole secondo i pro-aborto di avere nominato durante il suo mandato due nuovi giudici della Corte suprema noti entrambi per le loro posizioni “anti-choice“, che hanno sempre cercato sistematicamente di indebolire l’accesso ai servizi di aborto, anche attraverso la creazione di ostacoli economici e pratici per rendere difficile se non impossibile ciò che pure la legge consentiva.
Lo scorso maggio il governatore dell’Alabama, dove già l’accesso ai servizi di aborto era già resi quasi impossibile per molte donne, perché di fatto lo vietava senza alcuna eccezione, ha firmato una durissima legge che una volta in vigore punirà anche i medici che lo praticano con l’ergastolo.
Secondo l’Istituto Guttmacher, nel 2014 il 93 per cento delle contee dell’Alabama non aveva strutture mediche dove poter abortire. Molte donne quindi erano costrette a recarsi in altri stati e, dal punto di vista economico, questo era un grande problema.
Questo dipende dal fatto che l’Alabama, così come molti altri stati degli Usa, non include l’aborto tra le prestazioni mediche cui le persone a basso reddito possono accedere attraverso Medicaid (lo schema assicurativo finanziato dal governo).
Nei primi mesi di quest’anno, quasi 30 stati hanno introdotto una qualche forma di divieto di aborto nella loro legislatura. Quindici hanno vietato l’interruzione di gravidanza oltre le 6 settimane dal concepimento, in forza del fatto che se c’è il battito cardiaco la gravidanza va avanti.
Va anche detto poi che le strutture mediche dove potere abortire sono insufficienti. E nelle zone rurali dell’America la maggior parte delle donne devono percorrere oltre 150 chilometri per trovare una struttura dove poter abortire.
Un altro modo per limitare le prestazioni mediche essenziali per praticare l’aborto è stato quello di introdurre dei requisiti strutturali per autorizzare le strutture ad operare assolutamente strumentali, dalla larghezza dei corridoi, alla dimensione degli spazi adibiti ai parcheggi, per non parlare dell’inutile requisito che prevede che questi luoghi debbano avere una distanza minima dalle scuole, che di fatto costringe queste strutture mediche a non aprire oppure a chiudere.
Secondo il già citato Istituto Guttmacher, nel solo periodo tra il 1° gennaio e il 15 maggio 2019 sono stati adottati 42 provvedimenti restrittivi in materia di aborto, tra i quali vietare determinate procedure e chiedere il consenso dei genitori per le minorenni che necessitano di abortire. Secondo Amnesty International questi provvedimenti di fatto non elimineranno la corsa all’aborto, ma lo renderanno solo più pericoloso. Perché l’aborto quando è praticato con l’assistenza di personale medico formato e in condizioni sanitarie idonee è una delle procedure mediche più sicure disponibili. Ma quando viene limitato o criminalizzato, le donne sono costrette a cercare modi non sicuri per interrompere la gravidanza.
Si stima che nel mondo ogni anno cinque milioni di donne vengano ricoverate per curare complicazioni legate a un aborto non sicuro e che almeno 47.000 di esse muoiano.
Gli Usa hanno il più alto tasso di mortalità materna tra i paesi più sviluppati e gli stati degli Usa che oggi hanno le leggi più restrittive in materia di aborto sono proprio quelli che già avevano i tassi più alti di mortalità infantile e materna.
Ecco perché le nuove leggi costituiscono la ricetta per il disastro dal punto di vista della salute delle donne.
Quali le più colpite? Sempre secondo Amnesty International quelle con basso reddito – le minorenni, quelle di colore, le migranti, le rifugiate – poiché per loro è più difficile pagare, viaggiare o prendersi permessi dal lavoro. Le donne afroamericane hanno dalle tre alle quattro probabilità in più di morire durante la gravidanza o il parto rispetto alle donne bianche e questa vergognosa ineguaglianza sarà resa ancora più marcata dalle nuove leggi che rendono l’aborto più pericoloso.
Queste leggi colpiscono ulteriormente anche le persone Lgtbi
Le persone transgender già vanno incontro a profondi ostacoli nell’accesso ai servizi di salute riproduttiva e la raffica di nuovi provvedimenti le escluderà ulteriormente. I legislatori che hanno approvato le recenti estreme limitazioni all’accesso all’aborto non rappresentano l’opinione della maggioranza degli americani.
Da un sondaggio indipendente realizzato nel gennaio 2019 è emerso che due terzi degli americani ritengono che l’aborto dovrebbe essere legale “in tutti i casi” o “nella maggior parte dei casi” e il 73 per cento del campione ritiene che la sentenza Roe v. Wade non dovrebbe essere annullata.
In alcuni stati l’American Civil Liberties Union (Aclu – Unione americana per le libertà civili) e il Planned Parenthood Action Fund (Ppaf – Fondo d’azione per la pianificazione familiare), insieme ad altre organizzazioni, hanno già avviato ricorsi.
Il 31 maggio il Ppaf ha vinto un ricorso per far restare aperta l’unica struttura medica del Missouri dove si poteva abortire, proprio il giorno in cui era stata prevista la sua chiusura.
“Non abbiamo mai visto così tanta azione intorno ai divieti di aborto di sei settimane”, ha affermato Elizabeth Nash, responsabile senior per le questioni statali presso il Guttmacher Institute – un gruppo pro-choice che ricerca la salute sessuale e riproduttiva.
“Ma ora abbiamo assistito a un cambiamento nella composizione della Corte suprema degli Stati Uniti”.
Un numero crescente di personaggi pubblici ha minacciato di disinvestire dagli stati che promuovono la legislazione anti-aborto.
Bob Iger, l’amministratore delegato della Disney, ha detto che il divieto di sei settimane della Georgia renderebbe “difficile” continuare a restare lì.
La Georgia è diventata una destinazione popolare per i produttori di Hollywood che affollano lo stato per le sue generose agevolazioni fiscali per i film. Offre un incentivo del 20% su produzioni di $ 500.000 o più e un ulteriore 10% se il film include il logo della Georgia nei suoi crediti.
Blockbuster come Black Panther e Avengers: Endgame sono stati recentemente girati nello stato.
La Disney potrebbe lasciare la Georgia per la legge sull’aborto
All’inizio di questa settimana, anche il gigante dello streaming Netflix ha dichiarato che avrebbe “ripensato” alle sue operazioni logistiche nello stato se la legge dovesse entrare in vigore. Le serie Netflix Stranger Things e Ozark sono entrambe girate in Georgia.
La nuova legge della Georgia – come altre del movimento anti-aborto – dicono i sostenitori dell’anti-aborto anticipano le conseguenti sfide legali e sperano che i ricorsi raggiungano la Corte Suprema degli Stati Uniti per consentire loro di rivedere le leggi federali che proteggono la procedura.
Finora, nonostante l’ondata di divieti di aborto, rimane legale in tutti i 50 stati degli Stati Uniti.
Nel frattempo, star come Amy Schumer, Ben Stiller, Christina Applegate, Laverne Cox e Alec Baldwin hanno scritto al governatore dicendo che “faranno tutto ciò che è nel loro potere per portare il loto settore in uno stato più sicuro per le donne”.
L’attore Jason Bateman, che recita nello show di Netflix Ozark e in The Outsider della HBO, che stanno entrambi girando in Georgia, ha dichiarato a The Hollywood Reporter: “Non lavorerò in Georgia, o in qualsiasi altro stato, che è così vergognosamente in contrasto con diritti delle donne”.
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