Occorre costruire e trasformare l’Italia in un Paese sempre più green e tecnologico. Non solo perché essendo il principale destinatario delle risorse del Recovery Plan per forza di cose l’Italia è chiamata a ricoprire e ad avere un ruolo da protagonista nella transizione verde, ma perché la sostenibilità oltre a essere necessaria per affrontare la crisi climatica, riduce i profili di rischio per le imprese e per la società tutta, stimola l’innovazione, l’imprenditorialità e rende più competitive le filiere produttive. Lo dimostrano i dati e le storie del Rapporto GreenItaly, arrivato alla dodicesima edizione, realizzato dalla Fondazione Symbola e da Unioncamere, con la collaborazione del Centro Studi Tagliacarne e con il patrocinio del Ministero della Transizione Ecologica. Un rapporto presentato da Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola con la partecipazione di Andrea Prete, presidente Unioncamere, Giuseppe Tripoli, Segretario Generale Unioncamere, Francesco Starace, Amministratore Delegato e Direttore generale Enel e la presenza di Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologica e Paolo Gentiloni, Commissario Europeo per l’Economia.
“C’è un’Italia che può essere protagonista alla COP26 di Glasgow: fa della transizione verde un’opportunità per innovare”, ha detto il presidente della Fondazione Symbola, Ermete Realacci, “e rendersi più capace di affrontare il futuro e coinvolge già oggi da 1/3 delle nostre imprese. Nel Rapporto GreenItaly si coglie un’accelerazione verso un’economia più a misura d’uomo che punta sulla sostenibilità, sull’innovazione, sulle comunità e sui territori. Siamo una superpotenza europea dell’economia circolare e questo ci rende più competitivi e capaci di futuro. Possiamo dare forza a questa nostra economia e a questa idea di Italia grazie alle scelte coraggiose compiute dall’Unione Europea con il Next Generation UE e al PNRR. La burocrazia inutile ostacola il cambiamento necessario, ma possiamo farcela se mobilitiamo le migliori energie del Paese senza lasciare indietro nessuno, senza lasciare solo nessuno, come recita il Manifesto di Assisi, promosso dalla Fondazione Symbola e dal Sacro Convento”. E poi ha aggiunto a What-u: “Bisogna affrontare con coraggio e determinazione la crisi climatica per costruire un’economia più a misura d’uomo e quindi più capace di essere davvero competitiva. Migliorare conviene a tutti. Occorre attuare una serie di misure oramai non più procrastinabili che rendano le imprese più forti. Nei prossimi 5 anni dobbiamo avere molte più fonti rinnovabili, tanta innovazione tecnologica, cambiare i trasporti puntando con forza sui mezzi pubblici e le auto elettriche. Il driver è questo: azzerare le emissioni di CO2. C’è chi dice che è giusto farlo, ma che il conto sarà salato. In realtà il punto è che pagheremo di più se non faremo nulla. Se saremo troppo attendisti. Le aziende più green innovano di più, esportano di più e producono più posti di lavoro. Il punto chiave è saldare questa tenaglia. Un esempio per tutti. Blockbuster è stato fortissimo, si è sviluppato rapidamente in tutto il mondo e poi è morto in 4 anni. Perché poi sono arrivate nuove tecnologie che hanno cambiato i consumi delle persone. E Blockbuster purtroppo non è stato in grado di cavalcare il cambiamento. Ecco perché è necessario costruire un’economia che favorisca una competizione che porta verso l’alto. L’Europa”, ha proseguito Realacci, “sta facendo un passo molto importante. Sta introducendo un dazio di ingresso per i prodotti che hanno standard ambientali più bassi di quelli europei e questo sicuramente produrrà un miglioramento generale”. E pungolato sul fatto che diventare più sostenibili ha un costo che non tutte le imprese riescono a sostenere, Realacci risponde: “L’Italia nei cicli produttivi recupera il doppio delle materie prime della media europea, molto più dei tedeschi e questo accade perché noi siamo un paese povero di materie prime e quindi abbiamo costruito filiere che erano più efficienti. Bisogna avere coraggio. Le scelte fatte da alcune imprese le hanno rese più competitive e quella che è nata come una necessità si è trasformata in una opportunità. Quello che è certo è che questi cambiamenti vanno supportati con aiuti economici. Come è accaduto in altri settori. Prima della pandemia avevamo recuperato le perdite dei posti di lavoro registrate nel 2008, mancavano all’appello circa 500-600 posti di lavoro nell’edilizia.
Dal giugno 2019 al giugno di quest’anno l’occupazione in questo settore ha registrato un balzo in avanti di 132mila posti (con la stima di altri 200mila in aggiunta) grazie al fatto che l’edilizia ha puntato sulla riqualificazione, il risparmio energetico attraverso l’ecobonus, insomma su tutta una serie di cose che si legano a doppio filo con la transizione verde”. Ma di che tipo di sostegno necessitano le imprese oggi? “Occorre accompagnarle verso la duplice transizione, quella legata al digitale e quella legata alla sostenibilità. Serve un cambio complessivo e vasto di modello economico che deve essere agevolato semplificando procedure e affiancando le imprese”, questa la risposta di Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere a What-u.
“Il Covid non ha fermato gli investimenti green, perché sempre più imprenditori sono consapevoli dei vantaggi competitivi derivanti dalla transizione ecologica. Ma ancora oltre la metà delle imprese manifatturiere percepisce questo passaggio più un vincolo che una opportunità”, ha sottolineato il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, che ha aggiunto che “per dare ulteriore impulso alla transizione ecologica occorre intervenire: sulla carenza di competenze attraverso percorsi di formazione adeguati; sulla diffusione di una cultura d’impresa più sostenibile; sull’accesso al credito bancario per facilitare il reperimento di risorse destinate investimenti ambientali, sulle norme e sulla fiscalità, semplificando le procedure amministrative oltre a incentivi e agevolazioni, sulla creazione di mercati per la sostenibilità, sull’affiancamento da parte delle istituzioni alle imprese, sia nelle problematiche di carattere tecnico e tecnologico, sia di assistenza all’accesso a risorse e servizi”. Poi Prete che oltre ad essere il presidente di Unioncamere e anche leader della Camera di Commercio di Salerno riguardo al cammino da fare al Sud per eliminare i gap con il Nord, ha risposto a What-u: “Il percorso è complesso e necessita di numerose azioni sia sulle infrastrutture sia sulla cultura d’impresa. Di certo bisognerebbe aiutare le piccole imprese, soprattutto del Sud a crescere e la costituzione di uno strumento a loro dedicato sul modello dello Small Business Act americano darebbe un contributo importante. Un compito che potrebbe essere affidato alle Camere di commercio italiane”.
Nel 2020 nuovi record di potenza elettrica rinnovabile installata nel mondo, pari all’83% della crescita dell’intero settore elettrico nell’anno
Il 2020 ha mostrato nuovi record di potenza elettrica rinnovabile installata nel mondo, pari all’83% della crescita dell’intero settore elettrico nell’anno. In Italia – nel 2020 – il 37% dei consumi elettrici è stato soddisfatto da fonti rinnovabili, con una produzione di circa 116 TWh. Tuttavia, la potenza installata è ancora distante dai target di neutralità climatica previsti per il 2030. A fine 2020 risultano in esercizio in Italia circa 950.000 impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, per una potenza complessiva di oltre 56 GW. Di questi impianti, quasi 936.000 sono fotovoltaici, circa 5.700 eolici, mentre i restanti sono alimentati dalle altre fonti (idraulica, geotermica, bioenergie). Ma la strada da percorrere è ancora lunga. E i recenti aumenti delle bollette elettriche dovuti essenzialmente all’aumento del prezzo del gas dimostrano quanto sia importante accelerare sulle rinnovabili anche per salvaguardare l’indipendenza e la competitività della nostra economia.
441mila aziende dal 2016 hanno investito in tecnologie e prodotti green
Sono oltre 441mila le aziende che nel quinquennio 2016-2020 hanno deciso di investire in tecnologie e prodotti green: il 31,9% delle imprese nell’industria e nei servizi ha investito, nonostante la crisi causata dalla pandemia, in tecnologie e prodotti green, valore che sale al 36,3% nella manifattura. Non è difficile capire le ragioni di queste scelte. Queste imprese hanno un dinamismo sui mercati esteri superiore al resto del sistema produttivo italiano, innovano di più e producono più posti di lavoro: con specifico riferimento alle imprese manifatturiere (5–499 addetti), nelle eco-investitrici la quota di esportatrici è pari al 31% nel 2021, contro un più ridotto 20% di quelle che non hanno investito. Anche sul fronte dei fatturati il 14% delle imprese investitrici attende un aumento di fatturato per il 2021, contro un 9% delle altre.
Green jobs
Sotto il profilo dell’occupazione il 2020 si conferma un anno di consolidamento nonostante le gravi difficoltà generate dalla pandemia. I contratti relativi ai green jobs – con attivazione 2020 – rappresentano il 35,7% dei nuovi contratti previsti nell’anno. Andando nello specifico delle figure ricercate dalle aziende per le professioni di green jobs, emerge una domanda per figure professionali più qualificate ed esperte in termini relativi rispetto alle altre figure, che si rispecchia in una domanda di green jobs predominante in aree aziendali ad alto valore aggiunto. A fine anno gli occupati che svolgono una professione di green job erano pari a 3.141,4 mila unità, di cui 1.060,9 mila unità al Nord-Ovest (33,8% del totale nazionale), 740,4 mila nel Nord-Est (23,6% del totale nazionale), 671,5 mila al Centro (21,4% del totale nazionale) e le restanti 668,6 mila unità nel Mezzogiorno (21,3% del totale nazionale). La pandemia ha avuto un effetto asimmetrico sui diversi settori e comparti dell’economia: se molti hanno perso quote di reddito ed occupazione nel 2020, per altri c’è stata, invece, crescita o consolidamento. Il settore green rientra tra questi, avendo sostanzialmente confermato nel 2020 le performance del precedente anno sia in termini di investimenti (come visto in precedenza) sia di occupazione.
Italia prima nel riciclo dei rifiuti
Siamo leader nell’economia circolare con un riciclo sulla totalità dei rifiuti – urbani e speciali – del 79,4% (2018): un risultato ben superiore alla media europea (49%) e a quella degli altri grandi Paesi come Germania (69%), Francia (66%) e Regno Unito (57%) con un risparmio annuale pari a 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 63 milioni di tonnellate equivalenti di CO2 nelle emissioni (2018) grazie alla sostituzione di materia seconda nell’economia. Confermiamo la leadership nella riduzione di materie prime per unità di prodotto (- 44,1% di materia per unità di prodotto tra 2008 e 2019). Tuttavia, per alcuni settori – acciaio e alluminio – i rifiuti prodotti non sono sufficienti a sostenere la produzione, pertanto il nostro Paese deve ancora far affidamento sull’importazione di materia seconda dall’estero. A sottolineare il potenziale dell’Italia nella valorizzazione di materia a fine vita, anche il quarto posto al mondo come produttore di biogas – da frazione organica, fanghi di depurazione e settore agricolo – dopo Germania, Cina e Stati Uniti.
Sostenibili anche nell’arredo
La sostenibilità è oramai presente nelle strategie industriali di tutti i settori dell’economia italiana, con l’economia circolare che avanza all’interno delle aziende del made in Italy. Nella filiera del legno arredo già oggi il 95% del legno viene riciclato per produrre pannelli per l’arredo, con un risparmio nel consumo di CO2 pari a quasi 2 milioni di tonnellate/anno. Anche il complesso mondo dell’edilizia si muove in questa direzione, favorita dagli incentivi statali per l’efficientamento degli edifici. Un percorso che sta avendo effetti benefici anche sull’occupazione del settore cresciuta di oltre 132.000 unità fra il 2019 e il 2021, di cui oltre 90.000 a tempo indeterminato. Nelle strategie del settore tessile e moda, le soluzioni su cui ci si sta focalizzando sono legate anche all’eliminazione di sostanze tossiche e/o inquinanti dai tessuti, l’Italia è il primo paese al mondo nell’utilizzo della certificazione detox promossa da Greenpeace e all’impiego di materiali di origine naturale o rigenerati da tessuti pre e post consumo.
La meccanica digitalizzata riduce gli impatti ambientali
La meccanica italiana, grazie alla digitalizzazione supporta da tempo l’efficientamento delle filiere produttive e la riduzione degli impatti ambientali. L’Industria 4.0 accompagna la transizione digitale green, ripensando i processi di progettazione e produzione dei prodotti e componenti meccanici, e studiando le migliori soluzioni per allungare il ciclo di vita degli impianti. Il comparto dell’automotive italiano è storicamente uno dei più avanzati per le emissioni. Ma è nella produzione di veicoli elettrici e nella filiera produttiva che si gioca la partita della riorganizzazione di uno dei sistemi automotive più importanti del mondo, con un fatturato di oltre 106 miliardi, pari al 6,2% del PIL. In Italia, la produzione di auto elettriche e ibride, che nel 2019 rappresentava solo lo 0,1%, nel 2020 è salita al 17,2%, mentre nel primo trimestre 2021 è arrivata al 39,5%. Circa un’azienda su tre si è posizionata nel mercato dei veicoli elettrificati sviluppandone la componentistica. Un ruolo importante in questa riorganizzazione possono svolgere politiche di sostegno alla filiera come già avvenuto in altri Paesi e i territori, dove le competenze manifatturiere dovranno sempre più integrarsi con la ricerca e il design e creare sinergie per fare massa critica, nel segno dell’innovazione e dell’efficienza, trasformandosi da centri di produzione in poli di innovazione per l’auto elettrica.
Nel settore agricolo l’Italia è la più green d’Europa
Il nostro settore agricolo, dove molto è possibile fare, con un taglio del 32% sull’uso dei prodotti fitosanitari tra il 2011 e il 2019 e una quota di emissioni per unità di prodotto nettamente inferiore a quella delle principali economie europee si conferma il più green d’Europa. Siamo primi anche nel biologico, con il più alto numero di aziende impegnate – oltre 80mila – e una superficie coltivata a biologico aumentata del 79% negli ultimi dieci anni. Nella chimica verde poi il nostro Paese ha molto da dire. L’Italia è tra i leader mondiali della chimica bio-based attiva nella produzione di una vasta gamma di prodotti biodegradabili e compostabili sempre più utilizzati in filiere che vanno dall’agricoltura alla cosmesi, prodotti che integrano sempre più nei processi produttivi materie prime seconde derivate da rifiuti e sottoprodotti.
L’intervento video di Paolo Gentiloni
Nel dibattito del GreenItaly è entrato nel vivo anche Paolo Gentiloni, Commissario Europeo agli Affari economici, che via video in esterna, ha detto: “La presentazione del Rapporto di GreenItaly quest’anno è in un momento cruciale, importante perché siamo alla vigilia della Cop di Glasgow e siamo dentro la transizione climatica con le sfide, le difficoltà, l’impegno politico che tutto ciò richiede. La Commissione Europea ha fatto dell’impegno per la transizione climatica un po’ la sua carta di identità, ancora prima della pandemia, sin dall’insediamento della Commissione individuando nel Green Deal europeo uno dei suoi pilastri di lavoro. Nelle ultime settimane, durante l’estate, la Commissione ha aggiornato i propri obiettivi con il pacchetto climatico Fit for 55 per ridurre in modo ancora più ambizioso le emissioni riduzioni al 50% nel 2030 per rendere credibile l’obiettivo che l’Europa si è data di una neutralità al 2050. E per questa neutralità questo obiettivo intermedio è fondamentale. Questo richiede un impegno innanzitutto economico, finanziario secondo le nostre valutazioni a livello europeo avremmo bisogno di centinaia di miliardi di investimenti aggiuntivi, nei prossimi 10 anni per sostenere questo ritmo nella transizione climatica e quindi avremmo bisogno anche di una finanza più verde e di una finanza che si cimenti con la sfida ambientale. E i segnali da questo punto di vista sono molto incoraggianti. L’ultima emissione che abbiamo fatto del debito comune europeo per i piani di Recovery è stata un’emissione in green bond che ha avuto un successo straordinario nei mercati finanziari e che fa della Commissione Europea uno dei principali titolari di debito in Green bond a livello globale. Le grandi potenzialità di questa transizione climatica ci vengono descritte anno dopo anno da GreenItaly e ci vengono raccontate da tanto tempo da Ermete Realacci per fuggire a questa sensazione che si tratti soltanto di un incubo da cui sottrarsi e di incubo anche una straordinaria opportunità in termini di innovazione, di nuovo lavoro, di qualità della vita e lo è in modo particolare per un Paese come l’Italia che tante carte da giocare ha in questo campo a cominciare dal nostro livello molto avanzato nella economia circolare. È chiaro che le grandi opportunità e il successo di questa grande ambizione di leadership europea nella transizione climatica sono legate ad alcune condizioni: 1) la dimensione globale di questa transizione. Noi non possiamo accontentarci della leadership europea ossia di un continente che oggi rappresenta circa l’8% delle emissioni globali di CO2 e quindi per questo Glasgow è così importante. Per questo è altrettanto importante condividere a livello globale, per questo motivo quando noi decidiamo misure di aggiustamento ai confini per le emissioni di CO2 e le decidiamo con l’obiettivo di farle convergere su questa linea di attribuzione di prezzo al carbone e la seconda condizione è una condizione sociale, perché sappiamo bene che questa transizione sarà possibile soltanto se nessuno sarà lasciato indietro, e soprattutto se, i settori più esposti, più vulnerabili, quelli che fanno più fatica a cambiare un modello di automobile o a rinnovare il modo in cui riscaldano la propria abitazione, vengano sostenuti e protetti. Queste sfide sono particolarmente attuali in queste settimane dopo avere vissuto gli ultimi mesi un aumento molto importante del gas e ne abbiamo visto le ripercussioni sul prezzo all’ingrosso e al dettaglio in Paesi diversi anche dell’elettricità. Questa situazione è un test cruciale per il futuro della transizione climatica. E si reagisce non rallentando, ma condividendo, proteggendo le fasce più vulnerabili, si reagisce accelerando perché è soltanto con l’accelerazione delle rinnovabili e del contributo delle rinnovabili alla produzione di elettricità che noi saremo in grado nei prossimi anni di fronteggiare gli ostacoli sulla via della transizione ecologica”.
Il 18 ottobre il Ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, dopo essere stato nell’occhio del ciclone per alcune sue affermazioni quanto meno ambigue òo scorso 18 ottobre ha presentato alla Commissione Ambiente del Parlamento un piano piuttosto ambizioso per portare l’Italia verso una progressiva decarbonizzazione.Un ruolo primario è stato assegnato alle energie rinnovabili, che dovrebbero passare dall’attuale quota odierna, orbitante intorno al 40%, al 72% entro il 2030. Un punto che viene considerato inderogabile e vero e proprio pilastro della transizione. Secondo quanto indicato dal rapporto del Ministro, sarà necessario installare 60-70 GW di impianti di rinnovabili, suddivisi tra fotovoltaico, eolico e offshore.
Al tempo stesso il Governo vuole dare un segnale chiaro e netto sulla necessità di diminuire le emissioni, e una prima mossa sarebbe la rimozione dei SAD (sussidi ambientalmente dannosi), che ad oggi elargiscono 19 miliardi di euro a sostegno dell’utilizzo di fonti fossili o di lavorazioni con sfruttamento di risorse naturali. Insomma il Ministro pare deciso, ma chiede cautela: sono tanti i settori che sfruttano i SAD, ed è necessario ammorbidire il contraccolpo lavorativo e sociale. (P.V.)
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