Ci sono voluti ben 5 anni ma alla fine la verità è venuta a galla. Igor Danchenko, l’uomo che aveva accusato l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump di brogli durante la campagna presidenziale del 2016 per vincere le elezioni, giovedì è stato arrestato con l’accusa di avere mentito all’FBI su come ha raccolto le informazioni.
Sulla sua testa ora pendono ben 5 capi di imputazione. Danchenko, che ha lavorato con l’ex spia britannica Christopher Steele se condannato oltre a restare in prigione cinque anni potrebbe pagare una multa di 25.000 dollari per ogni accusa.
Apparso con il suo avvocato davanti al giudice distrettuale degli Stati Uniti Theresa Buchanan presso il tribunale federale di Alessandria, Danchenko ha detto che desiderava dichiararsi non colpevole. Ora il funzionario russo, che dovrà affrontare un processo, tornerà in tribunale il prossimo 10 novembre.
I pubblici ministeri non hanno voluto optare per la custodia cautelare, ma hanno chiesto il monitoraggio elettronico.
Sul fatto che l’uomo abbia mentito non ci sono dubbi. Le informazioni fornite da Danchenko al signor Steele e, in seguito all’FBI, si basavano su conversazioni che non sono avvenute realmente o “provenivano da fonte diversa”. Ergo Trump e i membri della sua squadra nel corso della campagna presidenziale del 2016 non hanno attuato alcuna cospirazione con i funzionari dell’intelligence russa per vincere le elezioni.
In questa vicenda due sono le notizie bomba. La prima è l’assoluzione, almeno per ora, di Trump da un’accusa gravissima e la seconda riguarda il fatto che ci fosse una cospirazione alle sue spalle da parte di qualcuno vicino al partito democratico. Inutile far finta di non capire che il riferimento sia a Hillary Clinton. Perché? Perché Steele aveva preparato il dossier per Fusion GPS, che aveva lavorato per uno studio legale che rappresentava il Partito Democratico e la campagna presidenziale di Hillary Clinton.
“Un altro segnale di avvertimento rosso lampeggiante per la salute della nostra democrazia”, ha scritto Hillary Clinton su Twitter, facendo riferimento al caso Danchenko e alle accuse rivolte al partito democratico e velatamente alla sua persona.
Durante i colloqui con l’FBI, secondo l’accusa, Danchenko non avrebbe raccolto alcun tipo di prova diretta, ma solo testimonianze estrapolate da conversazioni di altre persone. Insomma, secondo il pubblico ministero le sue erano solo bugie.
E secondo l’accusa, alcune delle informazioni inserite da Danchenko nel contestato dossier sono state raccolte in occasione di differenti eventi a Mosca organizzati dall’esecutivo. Il funzionario ha anche affermato di aver avuto una conversazione telefonica con l’allora presidente della Camera di commercio russo-americana, (che si ritiene fosse Sergei Millian, ndr) che in un secondo tempo ha incontrato a New York. Insomma il puzzle si implementa di pezzi e di informazioni e la corda si accorcia ogni giorno di più.
Danchenko era ampiamente ritenuto la “sub-fonte principale” per il signor Steele. Gli agenti dell’FBI nel 2017 hanno intervistato Danchenko verificando le affermazioni del dossier. Il funzionario ha sempre difeso il suo lavoro in un’intervista del 2020 con il New York Times, dicendo che era stato semplicemente incaricato di raccogliere informazioni grezze da trasmetterle a Steele. Nell’intervista, il funzionario ha anche negato di essere un agente russo.
L’arresto di Danchenko è l’ultimo segno di un’indagine che sta prendendo piede dopo un inizio faticoso nell’aprile 2019. L’indagine era stata derisa da Trump e da altri conservatori per il suo ritmo lento. A settembre, Durham ha ottenuto un atto d’accusa contro Michael Sussmann, reo di aver rilasciato false dichiarazioni all’FBI.
Scopri di più da WHAT U
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.