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IL REPORT DI ISTAT SULLA VIOLENZA SULLE DONNE DURANTE IL LOCKDOWN


Durante la pandemia il confinamento dentro le mura domestiche e il peggioramento delle conseguenze socio-economiche hanno accentuato i comportamenti violenti. Molti studiosi e stakeholder hanno parlato di un’emergenza nell’emergenza, mentre UN WOMEN – l’Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne definisce questa emergenza, un’emergenza ombra (shadow pandemic) o una crisi nascosta (shadow crisis).

In questo report Istat è riuscito a fornire una lettura della violenza di genere negli anni della pandemia grazie all’utilizzo dei dati inediti provenienti dalla Rilevazione sulle utenti dei Centri antiviolenza (CAV), alle chiamate al 1522 e ai dati relativi alle denunce alle Forze di Polizia e agli omicidi, di fonte Ministero dell’Interno.

Dalla rilevazione sull’Utenza dei Centri antiviolenza

  • Sono oltre 15 mila le donne che nel 2020 hanno iniziato il percorso personalizzato di uscita dalla violenza presso i Centri antiviolenza che aderiscono all’Intesa Stato Regioni.
  • Più del 90% delle donne, circa 13.700, si è rivolta a un CAV per la prima volta proprio nel 2020.
  • Il 5,6% di queste ha iniziato il percorso di uscita dalla violenza a marzo e il 15% lo ha fatto tra aprile e maggio, superando le restrizioni previste a causa dell’emergenza sanitaria. Gli interventi in emergenza sono stati infatti più frequenti in questi tre mesi.
  • Considerando i casi in cui è presente l’informazione sulla durata della violenza (circa 10.400), emerge che per il 74,2% delle donne, circa 7.700, la violenza non è nata con la pandemia ma pre-esisteva: il 40,6% delle donne subisce violenza da più di 5 anni, il 33,6% da 1 a 5 anni.
  • La risposta dei CAV è stata efficiente: al 12,6% delle donne è stato offerto il servizio di pronto intervento e messa in sicurezza, al 14,2% il percorso di allontanamento dalle situazioni della violenza e al 18% il sostegno per l’autonomia.  Per rispondere ai bisogni delle donne, i servizi maggiormente offerti dai Centri nel 2020 sono stati l’ascolto (97,1%) e l’accoglienza (82,8%).

Dalle chiamate al “1522”

  • Nei primi nove mesi del 2021 le richieste di aiuto al “1522” delle vittime tramite chiamata telefonica o via chat sono state 12.305 (15.708 nel 2020 e 8.647 nel 2019).
  • I dati evidenziano che le misure restrittive alla mobilità, adottate per il contenimento della pandemia, hanno amplificato nelle donne la paura per la propria incolumità. Nei primi nove mesi del 2020 si è osservato, infatti, un aumento delle segnalazioni di violenza in cui la vittima si è sentita in pericolo di vita per sé o per i propri cari (3.583 contro 2.663 nel 2019). Al contrario, la riduzione delle restrizioni negli stessi mesi del 2021 ha portato a una diminuzione delle segnalazioni di violenza in cui la vittima percepiva pericolo imminente (2.457 nel 2021).
  • L’allentamento delle misure restrittive per la pandemia ha avuto anche un effetto selettivo sulle violenze segnalate al 1522. Infatti, sono diminuite, rispetto allo stesso periodo del 2020, le segnalazioni per violenze subite da partner (da 58,6 a 53,4%) e aumentate quelle subite da ex-partner e da altri familiari o altri autori esterni alla famiglia.
  • La diffusa campagna di sensibilizzazione, messa in atto per non far sentire sole le donne vittime di violenza durante la pandemia, ha portato anche all’emersione nel corso del 2021 di violenze meno gravi rispetto a quelle intercettate dal 1522 nel 2020.

In crescita gli Interventi in emergenza dei Centri anti violenza nei mesi del lockdown

Sono più di 15 mila le donne che nel corso del 2020 hanno iniziato un percorso personalizzato di uscita dalla violenza nei Centri (CAV). Per il 19,9% (più di tremila) si è trattato di un intervento in emergenza, modalità in aumento nei mesi di marzo, aprile, maggio, quando si sono registrate le percentuali più alte di interventi in urgenza, rispettivamente pari a 21,6%, 22,9%, 21,2%.

Le donne che hanno deciso di intraprendere un percorso di uscita della violenza nel corso del 2020 appartengono, anche se in misura diversificata, a tutte le fasce di età. Il 29,4% ha un’età compresa tra i 40 e i 49 anni, il 26,9% tra i 30 e 39, il 18,8% ha meno di 30 anni, il 16,9% tra i 50 e i 59 anni. Il 72% ha la cittadinanza italiana e il 59% ha il domicilio nella stessa provincia dove è collocato il centro.

In oltre il 70% dei casi la situazione di violenza non è nata con la pandemia. Considerando solo i casi (circa 10.400) in cui è presente l’informazione sulla durata della violenza, la quota di donne che hanno subito violenza da più di un anno è pari al 74,2%; nell’8,4% dei casi invece la violenza è recente, essendo iniziata da meno di sei mesi, e nel 14,2% è sopraggiunta da 6 mesi a un anno.

La storia di violenza vede nove donne su 10 segnalare di aver subito violenza psicologica, il 67% violenza fisica e il 49% minacce, il 38% violenza economica. I racconti descrivono il perpetrarsi di più tipologie di violenze: sono solo il 16,3% quelle che hanno subito un unico tipo di violenza mentre il 10,5% ne ha subite più di quattro. Le associazioni più frequenti tra i diversi tipi di violenza sono: violenza fisica e violenza psicologica (13,5%); violenza fisica insieme a minacce, violenza psicologica ed economica (11,1%); violenza fisica con minacce e violenza psicologica (11%). Nel 59,8% dei casi l’autore della violenza è il partner convivente, nel 23% un ex partner, nel 9,5% un altro familiare o parente; le violenze subite fuori dall’ambito familiare e di coppia costituiscono solamente il restante 7,7%. Se si considerano le tre combinazioni di violenza analizzate precedentemente, l’autore è quasi esclusivamente il partner (attuale o ex): per la violenza fisica e quella psicologica le percentuali raggiungono l’86% (68% da partner attuale e 18% da ex partner); per la violenza fisica insieme alle minacce, alla violenza psicologica e a quella economica l’89% (75% da partner attuale e 14% da ex partner); per la violenza fisica con le minacce e la violenza psicologica l’87% (70% da partner attuale e 17% da ex partner).

Forte la risposta dei Centri antiviolenza durante la pandemia

Nonostante la pandemia, i CAV sono riusciti a rispondere alle richieste di aiuto delle donne. Proprio nel mese di marzo 2020 si riscontrano le percentuali maggiori di erogazione dei servizi che caratterizzano la fase iniziale della presa in carico: ascolto, accompagnamento nel percorso di allontanamento dalla violenza, pronto intervento e messa in sicurezza fisica, sostegno all’autonomia e alla ricerca del lavoro, supporto per cercare un alloggio e orientamento ad altri servizi offerti dalla rete dei Centri.

Percorso di uscita dalla violenza concluso nel 2020 da 2 donne su 10

La lunghezza del percorso individuale di uscita della violenza dipende non solo dalla capacità di risposta dei Centri ai bisogni della donna, ma anche da una molteplicità di fattori prevalentemente collegati alla storia personale e individuale della donna e dal contesto sociale e culturale nel quale è inserita. Tra le 15 mila donne che hanno iniziato il percorso nel 2020, una donna su 5 ha raggiunto nel corso dell’anno gli obiettivi individuali che si erano posti con il centro, il 40% prosegue il cammino di uscita dalla violenza anche nell’anno successivo mentre il 27% delle donne (quelle con storie più critiche e caratterizzate da un maggior numero di tipologie di violenze) ha abbandonato o sospeso il percorso.

Nel 2021 in calo le chiamate al 1522

Nei primi tre trimestri del 2021 sono state 12.305 le richieste di aiuto al “1522” (tramite le telefonate o la chat). Confrontando i primi tre trimestri del 2020 con i primi 3 del 2021 emergono differenze interessanti proprio sulla gravità della violenza. Rispetto al 2020, infatti, sono diminuite le situazioni in cui la vittima si è sentita in pericolo di vita (dal 34,2% del 2020 al 28,6% del 2021), ha avuto paura di morire a causa della violenza (dal 4,5% al 2,9%) o ha temuto per l’incolumità dei propri cari (dal 4,8% all’1,4%). Al contrario sono aumentate le segnalazioni di violenze di minore gravità. Tra le conseguenze della violenza sono indicati con più frequenza, nel 2021, gli stati di ansia (dal 18,5% al 23,8%) e il sentirsi molestate ma non in pericolo (dal 6,9% al 16,8%).

Con l’allentamento delle misure più restrittive per il contenimento della pandemia sono aumentate le richieste di aiuto al 1522 per violenze da parte di autori non conviventi con la vittima. Rispetto allo stesso periodo del 2020, nei primi nove mesi del 2021 risultano in aumento le violenze da ex partner (da 15,2 a 17,1%) e da figure esterne all’ambito familiare (da 7,4 a 11,3%) mentre diminuiscono le chiamate per violenze

Dalla rilevazione delle denunce alle Forze dell’ordine e il database sugli omicidi

Dai dati delle Forze di polizia emerge un forte calo delle denunce per maltrattamenti, stalking e violenza sessuale nei mesi del lockdown e un nuovo aumento nei mesi successivi. La diminuzione delle denunce di maltrattamento è soprattutto legata al maggiore controllo attuato da parte dei partner e dei familiari conviventi, conseguente al confinamento in casa. Le misure restrittive contro la pandemia hanno sottolineato le differenze della violenza contro gli uomini e le donne. Le donne sono uccise sempre di più tra le mura domestiche, da partner e parenti, e quindi non hanno tratto giovamento dall’indicazione di restare a casa. Gli uomini sono invece uccisi in prevalenza da persone che non conoscono, da conoscenti e nell’ambito della criminalità organizzata.

La punta dell’iceberg della violenza, gli omicidi, è comunque stabile nel tempo per le donne (che vengono uccise con armi da taglio, da fuoco, armi improprie e, più frequentemente degli uomini, con le percosse o in altri modi, come l’asfissia e lo strangolamento).

In crescita gli Interventi in emergenza dei Centri anti violenza nei mesi del lockdown

Sono più di 15 mila le donne che nel corso del 2020 hanno iniziato un percorso personalizzato di uscita dalla violenza nei Centri (CAV). Per il 19,9% (più di tremila) si è trattato di un intervento in emergenza, modalità in aumento nei mesi di marzo, aprile, maggio, quando si sono registrate le percentuali più alte di interventi in urgenza, rispettivamente pari a 21,6%, 22,9%, 21,2%.

Le donne che hanno deciso di intraprendere un percorso di uscita della violenza nel corso del 2020 appartengono, anche se in misura diversificata, a tutte le fasce di età. Il 29,4% ha un’età compresa tra i 40 e i 49 anni, il 26,9% tra i 30 e 39, il 18,8% ha meno di 30 anni, il 16,9% tra i 50 e i 59 anni. Il 72% ha la cittadinanza italiana e il 59% ha il domicilio nella stessa provincia dove è collocato il centro.

In oltre il 70% dei casi la situazione di violenza non è nata con la pandemia. Considerando solo i casi (circa 10.400) in cui è presente l’informazione sulla durata della violenza, la quota di donne che hanno subito violenza da più di un anno è pari al 74,2%; nell’8,4% dei casi invece la violenza è recente, essendo iniziata da meno di sei mesi, e nel 14,2% è sopraggiunta da 6 mesi a un anno.

La storia di violenza vede nove donne su 10 segnalare di aver subito violenza psicologica, il 67% violenza fisica e il 49% minacce, il 38% violenza economica. I racconti descrivono il perpetrarsi di più tipologie di violenze: sono solo il 16,3% quelle che hanno subito un unico tipo di violenza mentre il 10,5% ne ha subite più di quattro. Le associazioni più frequenti tra i diversi tipi di violenza sono: violenza fisica e violenza psicologica (13,5%); violenza fisica insieme a minacce, violenza psicologica ed economica (11,1%); violenza fisica con minacce e violenza psicologica (11%).

Nel 59,8% dei casi l’autore della violenza è il partner convivente, nel 23% un ex partner, nel 9,5% un altro familiare o parente; le violenze subite fuori dall’ambito familiare e di coppia costituiscono solamente il restante 7,7%. Se si considerano le tre combinazioni di violenza analizzate precedentemente, l’autore è quasi esclusivamente il partner (attuale o ex): per la violenza fisica e quella psicologica le percentuali raggiungono l’86% (68% da partner attuale e 18% da ex partner); per la violenza fisica insieme alle minacce, alla violenza psicologica e a quella economica l’89% (75% da partner attuale e 14% da ex partner); per la violenza fisica con le minacce e la violenza psicologica l’87% (70% da partner attuale e 17% da ex partner).

Forte la risposta dei Centri antiviolenza durante la pandemia

Nonostante la pandemia, i CAV sono riusciti a rispondere alle richieste di aiuto delle donne. Proprio nel mese di marzo 2020 si riscontrano le percentuali maggiori di erogazione dei servizi che caratterizzano la fase iniziale della presa in carico: ascolto, accompagnamento nel percorso di allontanamento dalla violenza, pronto intervento e messa in sicurezza fisica, sostegno all’autonomia e alla ricerca del lavoro, supporto per cercare un alloggio e orientamento ad altri servizi offerti dalla rete dei Centri.

Percorso di uscita dalla violenza concluso nel 2020 da 2 donne su 10 La lunghezza del percorso individuale di uscita della violenza dipende non solo dalla capacità di risposta dei Centri ai bisogni della donna, ma anche da una molteplicità di fattori prevalentemente collegati alla storia personale e individuale della donna e dal contesto sociale e culturale nel quale è inserita. Tra le 15 mila donne che hanno iniziato il percorso nel 2020, una donna su 5 ha raggiunto nel corso dell’anno gli obiettivi individuali che si erano posti con il centro, il 40% prosegue il cammino di uscita dalla violenza anche nell’anno successivo mentre il 27% delle donne (quelle con storie più critiche e caratterizzate da un maggior numero di tipologie di violenze) ha abbandonato o sospeso il percorso.

Nel 2021 in calo le chiamate al 1522

Nei primi tre trimestri del 2021 sono state 12.305 le richieste di aiuto al “1522” (tramite le telefonate o la chat). Confrontando i primi tre trimestri del 2020 con i primi 3 del 2021 emergono differenze interessanti proprio sulla gravità della violenza. Rispetto al 2020, infatti, sono diminuite le situazioni in cui la vittima si è sentita in pericolo di vita (dal 34,2% del 2020 al 28,6% del 2021), ha avuto paura di morire a causa della violenza (dal 4,5% al 2,9%) o ha temuto per l’incolumità dei propri cari (dal 4,8% all’1,4%). Al contrario sono aumentate le segnalazioni di violenze di minore gravità. Tra le conseguenze della violenza sono indicati con più frequenza, nel 2021, gli stati di ansia (dal 18,5% al 23,8%) e il sentirsi molestate ma non in pericolo (dal 6,9% al 16,8%).

Con l’allentamento delle misure più restrittive per il contenimento della pandemia è visibile l’aumento delle richieste di aiuto al 1522 per violenze da parte di autori non conviventi con la vittima. Rispetto allo stesso periodo del 2020, nei primi nove mesi del 2021 risultano in aumento le violenze da ex partner (da 15,2 a 17,1%) e da figure esterne all’ambito familiare (da 7,4 a 11,3%) mentre diminuiscono le chiamate per violenze da parte dei partner con cui la vittima vive (da 58,6 a 53,4%) e restano stabili quelle da parte di genitori e altri parenti. Al contrario, nel 2020 si era registrato un aumento delle richieste di aiuto per violenze da parte di familiari e parenti rispetto all’anno precedente.

Nel 2020 meno denunce per stalking, maltrattamento e violenza sessuale

L’andamento dei “reati spia” della violenza di genere (maltrattamento, stalking e violenza sessuale) denunciati alle Forze di polizia è decrescente tra gennaio 2019 e aprile 2021. Al di là delle oscillazioni di carattere stagionale, ciò è evidenziato sia nei valori assoluti sia considerando l’incidenza degli stessi reati sulla popolazione. L’effetto delle misure restrittive è stato molto contenuto rispetto alla maggior parte degli altri delitti denunciati, in quanto i reati spia si verificano in misura pressoché esclusiva (per i maltrattamenti verso familiari o conviventi o, fatto non trascurabile, per lo stalking e le violenze sessuali) proprio all’interno delle mura domestiche.  

Il reato di maltrattamenti verso familiari e conviventi ha come presupposto l’appartenenza di entrambi i soggetti – autore e parte lesa – alla stessa famiglia. Nel mese di marzo 2020, in pieno lockdown, si registra un minimo relativo nelle denunce, molto probabilmente collegato alla forzata e prolungata condivisione degli spazi abitativi imposta dall’emergenza sanitaria. La lenta ripresa ad aprile 2020 precede il recupero delle denunce dei mesi successivi di maggio-agosto. La diminuzione delle denunce è legata a diversi fattori, in primis al maggiore controllo della donna da parte di partner e familiari, ma anche alla difficoltà a entrare in contatto con soggetti esterni alla famiglia per il timore della pandemia. In generale, le denunce mostrano una stagionalità che vede un aumento di casi in estate e una loro diminuzione in corrispondenza di dicembre, verosimilmente per le festività natalizie, per poi riprendere a gennaio. Questo dato è ancora più marcato tra novembre 2020 e dicembre 2020, probabilmente in corrispondenza dei lockdown locali attivati dal governo nell’ultima parte dell’anno. Nello stesso periodo di marzo-maggio 2020 sono invece aumentate le chiamate di intervento alle sale operative delle Questure: +8,3% nel primo quadrimestre 2020, con 12.579 richieste di aiuto tra gennaio e aprile 2020, rispetto alle 11.610 degli stessi mesi del 2019. Nel caso delle violenze sessuali, il periodo di lockdown coincide con una diminuzione chiaramente visibile, limitata ai soli mesi di marzo e aprile 2020, che non trova analogie negli anni adiacenti.

Primi mesi del 2021: sempre in calo gli omicidi di uomini, stabili quelli delle donne

La diminuzione generalizzata degli omicidi volontari consumati ha riguardato in misura decisamente maggiore il genere maschile, che ha beneficiato negli ultimi venti anni della forte contrazione dei livelli di vittimizzazione e degli omicidi da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso, le cui vittime sono quasi esclusivamente uomini.  

Negli ultimi anni, mentre il numero di vittime maschi è invariabilmente sceso di anno in anno quello delle donne ha avuto un andamento molto più lento, registrando episodicamente anche degli aumenti, seppure di poche unità, da un anno al successivo. Il rapporto tra i sessi delle vittime dell’anno 2020, di 170 uomini per 116 donne, è il più basso mai registrato, ed equivale a tre uomini ogni 2 donne, mentre solo tre anni prima, nel 2017, l’incidenza degli omicidi con vittime maschili era esattamente doppia rispetto a quella delle vittime al femminile (2 uomini, 1 donna).  Le vittime di omicidio sono state circa 1,6 per 100mila maschi e 0,6 per 100mila femmine nel 2002 contro 0,6 e 0,4 nel 2020. A livello territoriale, nel 2020 il tasso di omicidi delle donne è diminuito nelle Isole rispetto all’anno precedente, per effetto del calo degli omicidi da partner, mentre è aumentato nel Nord-ovest, a causa degli incrementi nei tassi di omicidi da partner (o ex partner) e da parenti.

La casa è un ambiente sicuro soltanto per gli uomini

La maggior parte delle donne (77,6%) nel 2020 è stata uccisa da un partner o da un parente (dato stabile nel tempo), ma nei mesi di marzo e aprile 2020 questa percentuale ha raggiunto rispettivamente il 90,9% e l’85,7%. Inoltre, sempre in questi mesi, la metà delle vittime è stata uccisa per mano di un parente, presentando analogie con i dati delle richieste di aiuto al 1522, in cui è emerso l’aumento delle violenze da parte dei familiari. Anche nel mese di novembre 2020, con l’acuirsi della pandemia, le donne uccise in ambito familiare da parenti sono state il 40%, quelle da partner il 60%.

Omicidio, un fenomeno diverso per uomini e donne

Nel 2020 il 57,7% delle donne è stata uccisa all’interno della relazione di coppia e il 25,9% nell’ambito delle relazioni parentali. Al contrario, gli uomini sono di rado vittime della partner (praticamente mai delle ex) e la modalità più ricorrente è quella dell’autore sconosciuto alla vittima (45,3%), cui andrebbe ragionevolmente aggiunta una quota preponderante di autori non identificati (per le vittime di sesso maschile il 15,3% mentre per gli omicidi di donne sono stati identificati tutti gli autori). Seguono, in ordine di frequenza, i parenti diversi dalla partner e le persone con le quali esisteva un semplice rapporto di conoscenza. Negli anni sono diminuite le morti di uomini da autori sconosciuti (dallo 0,65 per 100mila uomini del 2005 allo 0,27 del 2020) e i delitti di omicidio per cui non è stato identificato l’autore (dallo 0,77 per 100mila uomini del 2005 allo 0,09 del 2020). Gli uomini, inoltre, vengono uccisi in misura maggiore delle donne per liti, futili motivi, rancori personali, per motivi economici o perché coinvolti nelle dinamiche delle rapine e il traffico di stupefacenti. Al contrario le donne, oltre alle liti e ai futili motivi, vengono uccise anche per motivi passionali.

Come per il 2019, si è voluto stimare il numero di femminicidi nel 2020 seguendo gli standard internazionali

Analizzando insieme la relazione tra la vittima e l’autore, il movente e l’ambito dell’omicidio, così come rilevati nel database dedicato agli omicidi del Ministero dell’Interno, risulta che nel 2020 i femminicidi, secondo questa definizione, sono stati 106 (quasi 9 al mese) su 116 rilevati in totale. Dei 10 non considerati tra i femminicidi, 5 sono omicidi di donne imputabili a motivazioni economiche o a reati di rapina o all’ambito degli stupefacenti (3 da conoscente e 2 da sconosciuto) e 5 sono omicidi commessi da sconosciuti che non presentano un motivo riconducibile all’omicidio di genere né alla vulnerabilità della vittima. Delle 116 vittime donne, il 34,5% è stata uccisa con un’arma da taglio, il 25,9% con un’arma da fuoco, ben il 12,9% con percosse e il solo uso delle mani, l’8,6% con arma impropria mentre il 18,1% è stata uccisa in altri modi, ad esempio per asfissia e strangolamento e in pochi casi per avvelenamento. La percentuale di donne uccise da armi da fuoco aumenta, però, se l’autore è il partner attuale o precedente (32,8%). Dati, questi, che sono stabili nel tempo. Al contrario gli uomini vengono uccisi nel 42,4% dei casi con armi da fuoco (72 casi su 170) e nel 33,5% con armi da taglio.

 

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