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ISTAT, LA PANDEMIA NON FERMA LE VACANZE NEGLI AGRITURISMI ITALIANI


La pandemia Covid ha causato molti danni, ma per fortuna nel settore degli agriturismi in Italia la crisi, a parte quando tutti hanno chiuso a causa del lockdown, non si è fatta sentire. Anzi il turismo negli agriturismi, secondo un recente studio di Istat, ha registrato pure una crescita generale, anche se il loro valore economico degli agriturismi è crollato.

Nel 2020 le aziende agrituristiche attive erano 25.060 (+2% rispetto al 2019); la crescita maggiore si è registrata nel Nord-Est (+3,5%) e nel Sud Italia (+3,4%). E di fatto ad oggi il 63% dei comuni italiani ospita almeno un agriturismo e in Toscana e in Umbria la presenza di agriturismi tocca quota 97%.

Rispetto all’anno precedente gli agrituristi di nazionalità italiana si riducono del 21,8%, quelli stranieri del 62,7%

Il 56% dei Comuni italiani conta fino a nove agriturismi per 100 km2. I comuni con almeno 100 agriturismi sono in tutto nove: Grosseto, Cortona, Castelrotto, Manciano, Appiano sulla strada del vino, San Gimignano, Montepulciano, Montalcino, Caldaro sulla strada del vino, divisi tra Toscana e Trentino-Alto Adige.

Gli agriturismi crescono di numero ma crolla il loro valore economico

Nel 2020, la produzione agrituristica è stata di poco superiore a 802 milioni di euro (-48,9% rispetto al 2019 e -27% rispetto al 2007). La crisi sanitaria ha quindi fortemente ridimensionato il valore economico di questo comparto il cui valore aggiunto incide per il 2,3% su quello dell’intero settore agricolo (compresa silvicoltura e pesca). Va tuttavia sottolineato che in conseguenza del lockdown e delle limitazioni per il contenimento della pandemia, molti agriturismi sono rimasti chiusi e quelli autorizzati alla ristorazione hanno potuto solo offrire servizio di asporto. E il 76% del valore economico è stato generato dagli agriturismi del Centro e del Nord-est. Il valore medio della produzione per azienda (valore economico del settore diviso numero agriturismi) è stato di poco superiore a 32mila euro (63mila euro nel 2019) ed è salito a poco più di 41mila nel Nord-est e a oltre 34mila nel Centro. Rispetto al 2019 la contrazione più forte, in valore assoluto, è stata ancora una volta sopportata dalle strutture del Nord-est (-45 mila euro).

Il Covid-19 ha prodotto effetti gravissimi sulle presenze e quindi sul valore economico degli agriturismi, ma, al contempo, non ha inciso sulla struttura della rete di queste aziende che ha mostrato la propria solidità

Forte calo degli agrituristi

Nel 2020 gli arrivi nelle strutture agrituristiche sono stati 2,2 milioni (-41,3% rispetto al 2019), il numero più basso dal 2010. La composizione degli ospiti rispetto alla nazionalità vede la prevalenza degli italiani con 1,5 milioni (poco meno di 2 milioni l’anno precedente) mentre gli stranieri sono poco più di 669mila (meno di 1,8 milioni nel 2019). La riduzione ha riguardato tutte le ripartizioni geografiche, si va dal -49,3% delle Isole al -29,3% del Sud.

Come l’anno precedente anche nel 2020, benché con volumi molto più bassi, il 72% degli agrituristi ha scelto le strutture del Centro e del Nord-est e, in particolare, della Toscana (27%) e della provincia autonoma di Bolzano (15%). Rispetto al 2019, in queste due aree geografiche è stato registrato un calo di presenze di poco meno del 50%, valore superiore alla media nazionale.

Il rapporto tra italiani e stranieri, che nel 2019 era di 11 a 10, nel 2020 è stato: di 23 a 10

Calo del numero degli agrituristi

Le presenze sono state 9,2 milioni (-34,4% rispetto al 2019), valore simile a quello del 2010. Il 61% delle presenze è dato da agrituristi italiani che superano quindi gli stranieri. La durata della permanenza media (numero di notte trascorse) è pari a 3,7 per gli italiani e a 5,3 per gli stranieri.

Gli agriturismi che hanno chiuso l’attività: oltre 1 su 3 erano quelli senza alloggio e ristorazione

Tra il 2011 e il 2020 le attivazioni sono state 17.424 contro 12.452 cessazioni. Sia i tassi di attivazione (nuove aziende/totale aziende) sia quelli di cessazione (aziende cessate) hanno registrano i valori più alti nel 2015 e sono rispettivamente pari a 11,4% e 9,2%. Complessivamente nei 10 anni considerati il tasso medio di attivazione ha raggiunto quota 7,7% e quello di cessazione 5,5%.

Nel 2020 il tasso di attivazione è stato pari al 7,4% (8,2% lo scorso anno) e ha raggiunto l’8,3% nelle regioni del Sud (10% nel 2019). Il tasso di cessazione è aumentato invece di un punto percentuale a livello nazionale (5,5%); i valori più alti si sono registrano nelle Isole (8,3%) e al Centro (7,3%).

Tra i 1.385 agriturismi cessati nel 2020, oltre il 30% non offriva servizi di alloggio né di ristorazione ma prevalentemente servizi di degustazione, trekking, attività sportive, quindi penalizzati dalle limitazioni imposte dalla pandemia. Questa percentuale è scesa all’1,9% per gli agriturismi che offrono alloggio, all’1,5% per quelli che offrono solo ristorazione e addirittura allo 0,8% per le strutture con alloggio e ristorazione.

Vita media degli agriturismi

La vita media degli agriturismi è di 13,6 anni e oscilla tra i 12 anni delle Isole e i 15 anni del Nord-est. In relazione all’offerta, le strutture più longeve (14 anni) sono quelle che abbinano alla ristorazione almeno un’altra attività diversa dall’alloggio. D’altra parte, per le strutture con solo alloggio o con sola ristorazione la permanenza sul mercato è rispettivamente di 13 e 12 anni.

La probabilità di sopravvivenza a un 1 anno dall’inizio dell’attività agrituristica si aggira intorno al 97%, a 5 anni all’86%, a 10 anni è del 64% e, infine, a 20 anni è di poco superiore al 16%. In relazione all’articolazione dell’offerta di servizio, la probabilità di sopravvivere cinque anni è maggiore per le strutture con alloggio o ristorazione (85%). A lungo termine (dopo venti anni) la probabilità di sopravvivenza è maggiore per gli agriturismi con alloggio (17%) e per quelli con alloggio e ristorazione (13%)

Crescita disomogenea all’interno delle ripartizioni territoriali

La crisi pandemica sembra aver colpito però in maniera differente le diverse aree del Paese: il Sud si dimostra ancora una volta il territorio trainante, con una crescita del 3,4%, seguito dal Nord (+3%); al Centro il numero degli agriturismi rimane pressoché invariato (+0,8%), mentre le Isole mostrano qualche difficoltà (-1.2%).

All’interno di ciascuna ripartizione geografica ci sono però notevoli differenze tra regione e regione. Nel Centro, la crescita contenuta di Umbria e Lazio (entrambe +1,9%) è accompagnata dalla flessione delle Marche (-1.6%). Nel Sud primeggia la Campania (+13,2%) mentre Molise e Calabria mostrano una flessione (rispettivamente del 9,4% e del 5,2%. Nel Nord, a fronte della performance positiva di Liguria (+4,6%), Provincia autonoma di Bolzano (+4,1%), Veneto (+4,3%) ed Emilia-Romagna (+4%) si registra un calo nella Valle d’Aosta (-3,3%).

La maggiore densità di agriturismi si rileva in Trentino Altro Adige, dove si contano circa 27 agriturismi per 100 km2, soprattutto nella Provincia di Bolzano, che raggiunge picchi di 100 agriturismi ogni 100 km2. Seguono per densità di agriturismi la Toscana (23 agriturismi per 100 km2) (iv) e l’Umbria (16).

All’interno del territorio nazionale altre aree si caratterizzano per una forte presenza di agriturismi: l’area meridionale del Piemonte, la parte orientale del Friuli-Venezia Giulia, quella occidentale del Veneto e della Liguria e l’estremità meridionale della Puglia.

La distribuzione per zona altimetrica è rimasta invariata rispetto al 2019: il 53,2% degli agriturismi si trova in comuni collinari, con una forte concentrazione in Toscana, che detiene ben 4.322 dei 13.342 agriturismi collinari. Il 31% si situa invece in zone montuose, in particolare nella Provincia autonoma di Bolzano, che conta il 42% degli agriturismi di montagna. Il restante 15,9% degli agriturismi è ubicato in pianura; in particolare Veneto, Lombardia e Puglia detengono il 48% degli agriturismi delle zone pianeggianti.

Stabile la quota di imprenditrici donne

Sono 8.652 gli agriturismi condotti da donne (8.566 nel 2019, +1%): la quota di imprenditrici donne rimane praticamente invariata rispetto allo scorso anno (35%). Il numero di imprenditrici aumenta nel Nord-est, in particolare in Veneto (+18,4%), e nel Sud (+2,2%); all’aumento del numero di conduttrici della Campania (+11,4%), si contrappone un calo in Molise (-10,3%) e in Calabria (-7,6%).

Il Sud si conferma l’area geografica con la maggiore presenza di imprenditrici: la quota di agriturismi condotta da donne rappresenta complessivamente il 46,2% nel Sud, con punte del 50,2% in Basilicata, del 47,6% in Campania e del 47,1% in Abruzzo. Tale percentuale si attesta invece al 37,2% nel Centro e al 28,7% al Nord. In particolare, il Nord evidenzia una situazione molto disomogenea, con quote femminili rilevanti in Valle d’Aosta (45,8%) e Liguria (48,7%) e quote piuttosto basse in Trentino-Alto Adige (+14,8%). La presenza femminile è rilevante nella conduzione degli agriturismi con fattorie didattiche, che rappresentano un fenomeno innovativo e in costante crescita negli ultimi anni: dal 2011 il loro numero è aumentato del 70,3%.  



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