Dietro il concetto di transizione energetica c’è un processo che va avanti da anni e che bisognerebbe accelerare, così da salvaguardare l’ambiente e fermare il cambiamento climatico. Che cos’è la transizione energetica? È un progetto di trasformazione che prevede il passaggio all’uso esclusivo delle fonti rinnovabili. Dalla base fossile al ‘carbonio-zero’, o quantomeno alla drastica riduzione di emissioni. I tempi? Un obiettivo da raggiungere almeno nella seconda metà di questo secolo.
Perché ne abbiamo bisogno?
Alla necessità di avviare la transizione energetica deve corrispondere la riduzione delle emissioni di CO2 legate ai consumi di energia per arginare i cambiamenti climatici, che producono effetti devastante sull’ambiente. I ghiacciai si stanno sciogliendo, milioni di animali hanno perso la vita in questo processo, i livelli di inquinamento sono alle stelle. Non bastano più le iniziative dei singoli Stati per porre un freno a un declino che pare inarrestabile. Bisogna che ci sia una tendenza a livello mondiale che porti alla trasformazione del sistema energetico globale al fine di salvare noi e il Pianeta.
Cosa può rendere possibile la transizione energetica? Gli strumenti di mercato, la tecnologia intelligente e un nuovo approccio delle politiche dei Governi. Si è stimato che le energie rinnovabili e le misure di efficienza energetica possano potenzialmente raggiungere il 90% delle riduzioni di carbonio necessarie a limitare l’emissione di CO2 nell’aria e i cambiamenti climatici.
Necessaria la collaborazione tra Stati
Le situazioni sono diverse da Stato a Stato e, al momento, non si può parlare di approccio uniforme alle politiche ambientali, nel mondo. Per questo sarebbe ottimale accelerare la transizione energetica fornendo le conoscenze, gli strumenti e il supporto necessari a chi ancora è indietro in questo processo. Gli effetti delle devastazioni ambientali sono visibili a tutti; negli ultimi due anni hanno occupato spesso le prime pagine dei giornali. Siamo in ritardo, ma ancora in tempo per fare qualcosa. L’ambiente ci chiede aiuto, dobbiamo sbrigarci.
Uno dei problemi da affrontare sono i moltissimi posti di lavoro nel settore dell’energia fossile. I Governi devono impegnarsi a vincere la sfida del mantenimento dell’occupazione durante la transizione, favorendo il passaggio a nuove forme di impiego nell’economia sostenibile. La strada è lunga e in salita, ma questo è un aspetto imprescindibile per l’impegno delle aziende nella transizione energetica.
In Italia
In Italia siamo a una fase di stallo. Secondo i dati Terna, nel nostro Paese, nel 2019, la produzione delle fonti rinnovabili è stata pari a 112.893 GWh. In crescita dell’1,3% rispetto al 2018 (111.489 GWh). Insufficiente. Nonostante la crescente attenzione al fattore ambientale e il rinnovato interesse degli italiani per l’energia verde e la mobilità sostenibile, l’Italia procede ancora lentamente in questo settore rispetto ad altri Paesi in Europa e nel mondo.
Nel mondo
Nonostante siano passati cinque anni dagli Accordi di Parigi, il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici, la transizione energetica nel mondo è al momento appannaggio dei Paesi che hanno una maggiore attenzione all’ambiente. Danimarca, Nuova Zelanda in testa, ma il resto dei Paesi è ancora lontano dal limitare in modo significativo l’immissione di carbonio nell’atmosfera. Sono molti i comportamenti da modificare e, nonostante la difficoltà a cambiare stile di vita, la scelta non è più rimandabile.
“Nel 2020″, racconta Galeazzo Bignami, deputato di Fratelli D’Italia, sulla crisi energetica europea, “abbiamo presentato un’interrogazione parlamentare in cui chiedevamo al Governo quali iniziative intendesse assumere per la ripresa delle trivellazioni in Adriatico ai fini di garantire l’estrazione di gas naturale. Questo non fu un caso, ma frutto di un ragionamento che facemmo a fronte del dato che il calo della domanda determinato dalla pandemia avrebbe creato un rimbalzo significativo dei prezzi. Patuanelli”, prosegue, “ci rispose a febbraio dicendo che se avessero voluto, le società estrattive, avrebbero potuto procedere, dimostrando cecità di fronte al problema”. La dipendenza dal gas russo, secondo Bignami, poteva essere risolta prima del conflitto in Ucraina: “Noi ci siamo fatti prendere alla sprovvista. A luglio 2021 abbiamo incontrato le associazioni di categoria perché c’erano i primi segnali, e loro ci avevano detto di sentirsi completamente inascoltati dal Governo. A dicembre 2021 nessuno ha risposto alle richieste di intervento. La crisi Ucraina ha acuito la difficoltà, ma i rincari sono cominciati ad agosto”.
Alla domanda se fosse stato meglio puntare sull’energia rinnovabile invece che tornare al fossile, il deputato ha risposto: “Condivido. Abbiamo l’obiettivo entro il 2030 nell’ambito del programma Fit for 55, di 27 gigawatt da traguardare, che avrebbero comportato il reperimento di 5 gigawatt annui dal 2023. Purtroppo l’Italia ha soddisfatto l’obiettivo per 0,6 gigawatt annui, nonostante le ampie domande presentate autorizzazioni. Non per carenza di interesse ma perché la burocrazia rappresenta un ostacolo. Questo è accaduto sull’eolico, sull’idroelettrico e sul fotovoltaico. Comunque il rinnovabile non è l’unica risposta, perché il mix energetico italiano necessita anche di fonti diversificate. L’energia rinnovabile non consente l’accumulo, quindi non c’è la possibilità di stoccare. Comunque se ci avessimo pensato di più, oggi non avremmo la difficoltà della dipendenza russa di circa il 40% di gas importato”.
Le risorse per investire sull’autonomia energetica, secondo Bignami, vanno attinte dal Pnrr: “Il presidente Bonomi ha ipotizzato una profonda riutilizzazione del Pnrr, immaginando progetti per garantire l’autosufficienza energetica della pubblica amministrazione”.
Il deputato affronta anche il problema del caro-bollette: “Per quanto riguarda le aziende, una delle proposte che abbiamo formulato è il rilascio dell’energia ai costi di produzione. Mesi fa sembrava che l’Europa l’avrebbe configurato come aiuto di Stato. Questo avrebbe permesso di depurarle (le bollette ndr.) di tutte le componenti speculative e di mercato che scaricano sulle aziende costi enormi”. Per quanto riguarda le famiglie invece, “le misure adottate finora dal Governo garantiscono l’abbattimento del 6% sui rincari che sono al 60%. Al di là delle opinioni, dalle cifre si evince che le misure adottate finora, sicuramente necessarie, sono però del tutto non sufficienti. Riteniamo che si debba continuare a garantire l’abbattimento e la situazione va affrontata con la capacità del sistema comunitario europeo”.
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