A marzo l’ex presidente Donald Trump aveva citato in giudizio Hillary Clinton, il Comitato nazionale democratico e altri per aver (all’epoca presumibilmente, Ndr) cospirato alle sue spalle “tessendo una falsa narrativa su di lui” durante le elezioni presidenziali del 2016 per fare credere che lui stesse colludendo con la Russia, falsificando le prove, ingannando le forze dell’ordine e sfruttando l’accesso a “fonti di dati altamente sensibili”. Accuse sempre respinte dalla Clinton, chiamata in causa dall’ex presidente Usa per danni.
Trump nella causa chiedeva più di 72 milioni di dollari di risarcimento, un importo che è il triplo dei 24 milioni di dollari di spese legali e altri danni che l’ex presidente Usa avrebbe maturato a causa della presunta condotta degli imputati. Il portavoce della Clinton aveva rilasciato una dichiarazione aspra di una sola parola sulla causa di Trump: “Sciocchezze”.
I fatti
Durante la campagna del 2016, Trump aveva detto in una conferenza stampa: “Russia, se stai ascoltando, spero che tu riesca a trovare le 30.000 e-mail che mancano”, riferendosi a comunicazioni elettroniche che erano state cancellate da un’email privata che la Clinton usava quando era segretario di stato.
“La causa oggi delinea il nefasto complotto degli imputati per diffamare Donald J. Trump diffondendo bugie per tessere una falsa narrativa contro di lui secondo cui era in collusione con la Russia”, ha detto l’avvocato di Trump, Alina Habba, in una dichiarazione inviata via email.
“Per anni, Hillary Clinton e le sue corti hanno tentato di proteggersi dalla colpevolezza dirigendo gli altri a fare il loro lavoro sporco per loro. Questa causa vuole fare emergere tutti i responsabili dei loro atti atroci e sostenere i principi della nostra sacra democrazia”, ha concluso l’avvocato.
Ora la verità è venuta a galla
Chissà se il fatto che Trump non sia nell’elenco degli americani cui è stato bandito l’accesso in Russia abbia agevolato l’arrivo della verità. Quello che è certo ora è che grazie alla testimonianza dell’ex responsabile della campagna di Hillary Clinton, Robby Mook, le accuse contro Trump per la Clinton sono diventate frecce spuntate contro di lui e un dannoso boomerang per lei.
Mook ha preso posizione durante il processo a Michael Sussmann, l’ex avvocato durante le presidenziali del 2016 della Clinton, accusato dall’indagine del procuratore speciale John Durham di aver mentito all’FBI durante l’indagine Trump-Russia e di aver portato all’FBI prove non verificate riguardanti Trump e Alfa Bank. E ora i giudici devono verificare se lui ha agito o meno per conto della sua cliente.
Mook ha raccontato che ci fu una discussione con alti funzionari della campagna, incluso il consigliere politico senior e ora il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan; il presidente della campagna John Podesta e il direttore della comunicazione Jennifer Palmieri riguardo l’opportunità di passare i dati di quello studio ai giornalisti. “E la Clinton informata dei fatti fu d’accordo riguardo l’opportunità di andare alla stampa con le accuse nell’autunno del 2016, pensando “che fosse la decisione giusta”.
“Tutto quello che ricordo è che lei era d’accordo”, ha ribadito Mook.
Ma ora grazie alla testimonianza dell’ex avvocato della Clinton, il presunto collegamento al server tra l’ Organizzazione Trump e l’Alfa Bank con sede in Russia è stato definitivamente smentito dal Federal Bureau of Investigation.
All’epoca, le azioni di Trump avevano sollevato interrogativi, ha detto Mook, incluso il suo fare “dichiarazioni molto favorevoli su Vladimir Putin”. Mook ha ha anche ricordato il suggerimento di Trump che era quello che gli Stati Uniti lasciassero l’alleanza militare della NATO e i suoi “ampi rapporti d’affari in Russia”. Per questo motivo il sospetto canale segreto tra Trump e la Russia “era ovviamente incredibilmente allarmante e preoccupante”, ha aggiunto. “Pensavamo che il popolo americano avrebbe dovuto saperlo mentre vota e che i giornalisti avrebbero verificato le fonti prima della pubblicazione”.
Non è insolito che le campagne presidenziali conducano ricerche sui rivali in modo che possano offrire informazioni dannose alla stampa. Purché veritiere.
Secondo l’ex collaboratore della Clinton, il motivo per cui alcuni passaggi sono stati taciuti all’FBI poteva dipendere dal fatto che l’allora direttore James Comey “aveva infranto il protocollo” parlando dell’indagine dell’FBI sull’uso da parte della Clinton di un server di posta elettronica privato, ha testimoniato Mook.
“I due o tre dei giorni più dannosi della campagna sono stati causati da James Comey, non da Donald Trump”, ha sottolineato Mook. “Non volevamo avere nulla a che fare con l’organizzazione in quel momento o coinvolgerli in quel modo”.
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