Qualcuno se n’è accorto che facendo la spesa spendendo lo stesso prezzo ha acquistato non la solita confezione di caffè da 100 grammi, non il solito pacco di carta igienica da 10 rotoli, ma confezioni ridotte. Perché dallo yogurt e dal caffè alle patatine ai biscotti, i produttori stanno riducendo silenziosamente le dimensioni delle confezioni senza abbassare i prezzi. Il fenomeno si chiama “shrinkflation” e sta prendendo piede in tutto il mondo.
Negli Stati Uniti, una piccola scatola di Kleenex ora ha 60 fazzoletti; pochi mesi fa ne aveva 65. Nel Regno Unito, Nestlé ha ridotto le sue scatole di caffè Nescafe Azera Americano da 100 grammi a 90 grammi. In India, una barra di sapone per piatti Vim si è ridotta da 155 grammi a 135 grammi.
Insomma in tempi di alta inflazione mentre le aziende sono alle prese con l’aumento dei costi per ingredienti , imballaggio, manodopera e trasporto, la shrinkflation si è trasformata in un salvagente di salvataggio. L’inflazione globale dei prezzi al consumo è aumentata di circa il 7% a maggio, ed è destinata all’aumento fino a settembre negli Usa (secondo S&P Global) e altrettanto come in Italia secondo l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre C.G.I.A.
Secondo il DEF, lo Stato italiano nel 2022 incasserà 39,7 miliardi di imposte e contributi in più rispetto l’anno scorso. Questa previsione, segnala l’Ufficio studi della C.G.I.A., ovviamente non può tener conto delle conseguenze che il Covid e la guerra russo-ucraina potrebbero provocare nei prossimi mesi. Le difficoltà legate alla post-pandemia, gli effetti della guerra in Ucraina, le sanzioni economiche alla Russia, l’aumento dei prezzi delle materie prime e dei prodotti energetici rischiano, nel medio periodo, di spingere l’economia verso una crescita pari a zero, con una inflazione che si avvierebbe a sfiorare le due cifre. Contrastare la stagflazione, segnala l’Ufficio studi della CGIA, è un’operazione molto complessa. Per attenuare la spinta inflazionistica, gli esperti sostengono che le banche centrali dovrebbero contenere le misure espansive e aumentare i tassi di interesse, operazione che consentirebbe di diminuire la massa monetaria in circolazione. E’ evidente che avendo un rapporto debito/Pil tra i più elevati al mondo, con l’aumento dei tassi di interesse l’Italia registrerebbe un deciso incremento del costo del debito pubblico. Un problema che potrebbe minare la nostra stabilità finanziaria. Bisognerebbe, infine, intervenire simultaneamente almeno su altri due versanti: in primo luogo, attraverso la drastica riduzione della spesa corrente e, in secondo luogo, con il taglio della pressione fiscale, unici strumenti efficaci in grado di stimolare i consumi e per questa via alimentare anche la domanda aggregata di beni e servizi. Operazioni, queste ultime, non facili da applicare in misura importante, almeno fino a quando non verrà “rivisto” il Patto di Stabilità a livello europeo.
Ma non tutti fanno i furbetti
Alcune aziende sono chiare sui cambiamenti delle confezioni dei prodotti. In Giappone, il produttore di snack Calbee Inc. ha annunciato a maggio riduzioni di peso del 10% e aumenti di prezzo del 10% per molti dei suoi prodotti, tra cui patatine vegetariane a causa del forte aumento del costo delle materie prime. Domino’s Pizza a gennaio ha annunciato che avrebbe ridotto le dimensioni delle sue ali di pollo da 10 pezzi a otto pezzi per lo stesso prezzo di consegna di 7,99 dollari.
Sul tema in Italia recentemente ha aperto un’istruttoria anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, volta a verificare se la sgrammatura costituisca una “pratica commerciale scorretta” ai fini del Codice del Consumo. Il direttore generale Giovanni Calabrò ha detto che quello che verrà valutato dall’Autorità sarà non la riduzione in sé della quantità di prodotto (decisione aziendale legittima), quanto “la trasparenza di tale modifica nei confronti del consumatore.
Secondo uno studio dell’Ons, equivalente britannico dell’Istat, negli ultimi sei anni sono stati 2.500 le confezioni di prodotto ridimensionate in peso o quantità, principalmente concernenti prodotti alimentari o per l’igiene della casa. In Italia i casi, secondo l’Istat, sono stati addirittura più di 7000 tra il 2012 e il 2017, ultimo periodo preso in considerazione. Ma gli esperti prevedono che il fenomeno cresca con il proseguire del conflitto in Ucraina e i conseguenti rincari delle materie prime alimentari. Nell’esposto che ha fatto partire l’indagine dell’Antitrust l’Unione Nazionale Consumatori segnalava alcuni aumenti visti in Italia negli ultimi mesi: le mozzarelle da 100 grammi invece che 125, il caffè da 225 grammi anziché 250 e le confezioni di the con 20 bustine e non 25. Ma anche, in corrispondenza del periodo pasquale, le colombe da 750 grammi vendute in packaging simili a quelle da un chilo.
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