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GOVERNO ITALIANO, DRAGHI POCHE LE POSSIBILITÀ DI RIPENSAMENTO. MERCOLEDÌ GOVERNO AL VEDO


Mario Draghi

“Scenario molto incerto per l’Italia, risultante di fattori che agiscono in direzioni opposte”, cioè “forze contrastanti”.Lo rileva il Centro studi di Confindustria. “Il sistema delle imprese del Lazio è sbigottito di fronte ad una crisi assurda che, soprattutto visto il momento che stiamo attraversando appare totalmente ingiustificata”, dice il leader degli industriali del Lazio, il presidente di Unindustria Angelo Camilli.

In poche parole una crisi da irresponsabili. Anche perché il Draghi bis si allontana, con o senza il M5s, e la legislatura appare sempre più in bilico. I partiti hanno ancora quattro giorni per trattare e rimettere insieme i pezzi della crisi che si è aperta con il non voto di fiducia del Movimento al Senato ma si tratta di un’impresa in salita. Anche perché Mario Draghi lo aveva detto: “O mi fate governare o me ne vado”. E lui non è un tipo da minestre riscaldate. Non ragiona da politico, ma da imprenditore. Per lui parla la sua storia. Primo di tre fratelli, Andreina storica dell’arte e Marcello imprenditore, all’età di 15 anni Draghi perde il padre e all’età di 19 anni rimane orfano anche della madre. A prendersi cura di lui e dei fratelli sarà una sorella del padre. Con il fratello minore si iscrive al liceo classico dell’Istituto Massimiliano Massimo di Roma, retto dai gesuiti (i suoi compagni di classe Luigi Abete, Gianni De Gennaro, Luca Cordero di Montezemolo, solo per citarne alcuni Ndr) poi all’università sceglie di fare economia e nel 1970 si laurea all’Università degli Studi di Roma La Sapienza. 

Draghi è stato Direttore esecutivo per l’Italia della Banca Mondiale e nella Banca Asiatica di Sviluppo. È membro del Gruppo dei Trenta. Dal 2011 al 2019 ha ricoperto la carica di Presidente della Banca centrale europea, trovandosi a guidare la BCE durante la crisi del debito sovrano europeo: in tale ambito è diventata nota la sua frase del 2012 Whatever it takes (inglese per “Costi quel che costi”), per indicare che sotto il suo mandato la BCE avrebbe fatto “tutto il necessario per preservare l’euro”. Tale politica si è concretizzata nell’adozione di tassi d’interesse bassi o negativi e, superata la crisi dell’euro, anche nell’utilizzo del Quantitative easing per agevolare la ripresa dell’Eurozona.

Il 3 febbraio 2021 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella gli ha conferito l’incarico di premier del governo italiano, lui ha accettato con riserva di formare un nuovo esecutivo, in seguito alle dimissioni del governo Conte II. Il successivo 13 febbraio ha prestato giuramento assieme ai suoi ministri, dando così inizio al governo Draghi. Il 14 luglio 2022 ha presentato le dimissioni dall’incarico al Presidente della Repubblica, ma Mattarella le ha respinte.

Ora le divisioni appaiono troppo forti.Il movimento guidato da Giuseppe Conte continua ad essere attraversato da profonde tensioni avvicinando le urne. Ritirare o meno la delegazione al governo è la domanda che manda in tilt i pentastellati nelle stesse ore in cui Salvini e Berlusconi chiudono a qualsiasi ipotesi di poter continuare a sedere insieme ai 5S nell’esecutivo. Il Pd, che continua a sperare in un ripensamento di Draghi, resta convinto che “formato e perimetro” della maggioranza debbano rimanere inalterati. Ma se queste sono le “premesse”, osserva il sottosegretario a Palazzo Chigi Bruno Tabacci, “la legislatura è finita”. E anche il leghista Giancarlo Giorgetti ammette che “le squadre sono ormai stanche” e che la “partita sia difficile da sbloccare”. “Draghi è la nostra garanzia a livello internazionale, ha tenuto una posizione ineccepibile e deve rimanere”, è l’appello di Pier Ferdinando Casini.

La missione in Algeria del premier Mario Draghi prevista per la prossima settimana è stata ridotta a un solo giorno: martedì sarà un giorno di pausa per ulteriori riflessioni e contatti e poi mercoledì il presidente del Consiglio si presenterà alle Camere così come richiesto dal capo dello Stato Sergio Mattarella.

 Domani si terrà una nuova riunione del Consiglio nazionale del M5s. In ambienti pentastellati è circola l’ipotesi del ritiro dei ministri del Movimento prima di mercoledì, uno scenario che secondo fonti parlamentari sarebbe fra quelli sul tavolo dei confronti interni in corso. Questa soluzione, a quanto si apprende, è stata discussa anche nel consiglio nazionale di ieri.

Governo, Conte: ‘Noi rispondiamo dei nostri comportamenti, non di quelli di Draghi’

La scelta dell’ex governatore centrale appare ai più definitiva, come hanno mostrato le parole scelte per annunciare le dimissioni ai suoi ministri e poi congelate dal Colle. Ma chi lavora a un ripensamento non si stanca di rinnovare gli appelli ad andare avanti e tesse sottotraccia una rete di contatti per sondare l’esistenza di un’ ultima possibilità per garantire continuità all’azione del governo. In cima alla lista dei partiti che puntano non chiudere la legislatura anzitempo, c’è il Pd con il sostegno di Leu. Lo esplicitano Andrea Orlando e Roberto Speranza. “Noi lavoriamo per la prosecuzione di un governo di unità nazionale”, dice il primo, “e ci auguriamo che la discussione che si sta svolgendo all’interno dei Cinque Stelle aiuti questa prospettiva ed eviti di dare spazi, peraltro immeritati, alla destra”. I Dem guardano tra l’altro inevitabilmente alle alleanze, consapevoli che senza il campo largo battere il centrodestra diventi una missione disperata come dimostrano i dati di un sondaggio Youtrend-Cattaneo.

E una mancata ricomposizione della frattura che si è creata in questi giorni renderebbe molto più difficile unire le forze. Il passaggio parlamentare, voluto da Mattarella anche per parlamentarizzare la crisi, “è giustissimo”, sostiene anche il ministro della Salute escludendo però un Draghi bis. Che invece è la ricetta indicata sia da Più Europa ed Azione sia da Italia Viva. Matteo Renzi lancia una petizione online: “Faremo di tutto per avere un Draghi Bis libero dai condizionamenti che affronti le scelte necessarie al Paese”, dice l’ex premier. “Il M5s non c’è più, ora si chiama il partito di Conte. È un partito padronale che ha deciso di anteporre le proprie bandierine alla sicurezza e all’unità nazionale”, ha detto il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

In casa cinquestelle regna intanto sovrano il caos: riunioni su riunioni non portano a trovare un punto di caduta. Avanza l’ipotesi di ritirare la delegazione dal governo senza però che il consenso sia unanime: il ministro dei Rapporti con il Parlamento mette agli atti il proprio dissenso spiegando che in questo modo si chiuderebbe in modo definitivo a qualsiasi mediazione. Chi si dice convinta che la legislatura sia arrivata al capolinea è il presidente di FdI Giorgia Meloni mentre Salvini e Berlusconi bollano come irresponsabili i 5S e si dichiarano pronti alle urne.

100 le scadenze di rilevanza europea che il nostro paese dovrà conseguire nel 2022

Come noto, all’Italia nell’ambito del Pnrr sono stati assegnati circa 190 miliardi di euro tra prestiti e sovvenzioni. Tali risorse tuttavia non saranno erogate in un’unica soluzione ma in rate successive. Un primo pre-finanziamento pari a 24,9 miliardi di euro è stato erogato lo scorso agosto. L’Italia è adesso in attesa del primo finanziamento vero e proprio pari a circa 21 miliardi.

L’erogazione delle risorse tuttavia non deve essere data per scontata. Essa infatti è subordinata al rispetto di una rigida tabella di marcia che prevede, per ogni intervento contenuto nel Pnrr, l’espletamento di alcune scadenze.

Ogni misura contenuta nel Pnrr deve essere completata rispettando un rigido cronoprogramma che prevede il raggiungimento di scadenze intermedie e finali. Queste si suddividono in obiettivi (milestone) e traguardi (target). 

Il rispetto del cronoprogramma è fondamentale per non perdere i fondi europei.

Il Pnrr italiano prevede il completamento di scadenze alla fine di ogni trimestre fino al 2026. Ma le istituzioni europee effettuano una verifica sullo stato di avanzamento dei lavori solo 2 volte all’anno. Dall’esito positivo delle verifiche dipende l’erogazione delle rate successive. Per questo è fondamentale per gli stati membri non ritardare l’invio di tutta la documentazione necessaria. Altrimenti il rischio è quello di non riuscire a richiedere una parte dei fondi.

La commissione infatti può decidere di bloccare l’erogazione delle risorse nel caso di gravi ritardi o inadempienze. Ma anche senza arrivare a questo scenario estremo, se uno stato non rispetta le scadenze previste non potrà presentare in tempo le richieste di finanziamento. Di conseguenza, soprattutto nel lungo periodo, il rischio è quello di non riuscire ad accedere alle risorse anche se queste sono già state assegnate.

Entro la fine del2022 gli adempimenti “Ue” che il nostro paese dovrà conseguire sono 100. Di cui 83 milestone e 17 target. I periodi più intensi il mese di giugno e dicembre. A giugno le scadenze da completare erano 38 di cui 1 target. A dicembre invece saranno 51 di cui ben 16 target.



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