La destra si ricompatta. “È stata trovata intesa per correre insieme nei 221 collegi uninominali selezionando i candidati più competitivi in base al consenso attribuito ai partiti. Si presenterà una lista unica nelle circoscrizioni estere e nelle prossime ore si insedierà un tavolo del programma”.
Meloni ribadisce: chi avrà più voti sceglierà il premier
Quindi la regola del 2018 è salva. Il 25 settembre il partito che prenderà più voti nel centrodestra avrà la prelazione sul nome del prossimo premier. E sia chiaro avverte Meloni “le regole non si cambiano in corsa”. Così la leader di Fratelli d’Italia incassa il consenso degli alleati, riuniti per oltre tre ore a Montecitorio, nel primo vertice pre-elettorale con Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, su un punto fermo sul quale non transige forte del fatto che nella spartizione dei collegi elettorali definita nel vertice di centrodestra , Fdl conta su ben 98 seggi, mentre Lega, Forza Italia, Noi con l’Italia e Coraggio Italia rispettivamente 70, 42 e 11 (Noi con l’Italia e Coraggio Italia).
Per la Lega i sentimenti prevalenti sono “soddisfazione e ottimismo”, fanno sapere a fine incontro. Così a due mesi dal voto, vissuto come l’occasione d’oro per tornare a Palazzo Chigi, il centrodestra pare abbia risolto il nodo della leadership. E nessuno alza le barricate contro la rivale più temuta. La Meloni. Anzi, è Salvini che annuncia l’accordo a riunione ancora in corso: “Decidono gli italiani: chi prende un voto in più, indica chi governerà l’Italia nei prossimi cinque anni”, rimarca intervistato dal Tg5. E rivendica sorridente: “La squadra è compatta”. Poi Salvini inizia la sua campagna elettorale puntando su un cavallo di battaglia che molti dicono abbia copiato dal M5s per la precisione dall’ex deputato 5 Stelle Raphael Raduzzi, oggi in Alternativa. Accusandolo aveva contribuito anche a bocciare un emendamento al primo DL Aiuti che prevedeva proprio la riduzione dell’Iva su alcuni generi alimentari di prima necessità.
Accuse alle quali si aggiungono quelle di avere legami con la Russia che hanno inciso sulla durata del governo Draghi. Le rivelazioni sui legami tra Salvini e la Russia di Putin sono rivelazioni inquietanti per il segretario del Pd, Enrico Letta. La campagna elettorale, in vista del voto del 25 settembre, “inizia nel modo peggiore perché c’è una gravissima macchia su questa vicenda e noi chiediamo conto, chiediamo la verità, vogliamo sapere se è stato Putin a fare cadere il governo Draghi, vogliamo sapere se coloro che hanno fatto cadere il governo Draghi lo hanno fatto su mandato di una potenza straniera che oggi è una potenza che aggredisce e rispetto alla quale noi non possiamo avere buoni rapporti”. Dunque, Letta chiede “contezza e chiarezza, porteremo al Copasir, faremo interrogazioni parlamentari, chiediamo che il governo risponda rispetto alle informazioni che sono uscite in queste ore”. Vuole capire se dietro la caduta del governo, se dietro le scelte della Lega ci sia “effettivamente, come appare assolutamente chiaro, la Russia di Putin”, ha rimarcato. Se così fosse, ha accusato, “sarebbe una cosa di una gravità senza fine, vorrebbe dire che siamo diventati come l’Ungheria di Orbàn, la quinta colonna di Putin in Europa”. Per Letta è “una vicenda che non può restare senza risposte. Chiediamo conto e chiediamo che non termini in una bolla di sapone”.
“Dopo le sfortunate esperienze dei vari governi che si sono succeduti in questa legislatura”, ha detto Riccardo Zucconi di Fratelli d’Italia, “tutti abbiamo maturato la convinzione che ci debba essere un programma unitario dei partiti di centrodestra. Questo poi, si deve realizzare anche concretamente con una scelta di rappresentanza nei collegi”. E poi ha proseguito: “È certo che il partito e la leader che ha dimostrato di avere maggiore consenso sono FdI e Giorgia Meloni e questo non è contestabile. Sono fiducioso che al di là delle prese di posizione sui giornali e prima degli incontri, questo possa essere riconosciuto. Il centrodestra quindi, è unito e”, conclude Zucconi, “non sarà una piccola differenza tra un collegio e l’altro a fermare questo processo. Rivendichiamo però, lo stesso criterio che abbiamo riconosciuto in passato a Berlusconi e Salvini. Metterlo in discussione sarebbe una mancanza di buonsenso”.
Berlusconi torna nel Palazzo con aria concentrata e molto seria. Mano nella mano con la compagna Marta Fascina, ‘scortato’ dal vice Antonio Tajani e dalla fedelissima, la senatrice Licia Ronzulli, saluta i commessi ed entra nella sala. L’ultima volta era il 9 febbraio di un anno fa per le consultazioni di Mario Draghi. Con la deputata Rossella Sessa, le uscite da FI salgono a 6 . Per la Lega oltre a Salvini, ci sono anche il ministro Giorgetti, mentre FdI conta solo il colonnello Ignazio La Russa, accanto alla presidente. Si attendono i ritardatari e nel frattempo parte un giro di caffè. Si discute ma non c’è aria bellicosa. Si ribadisce in tutto la regola che fu applicata per le politiche del 2018: ogni lista della coalizione correrà da sola con il proprio simbolo e al migliore, per numero di consensi, l’onore di indicare il successore di Draghi, se così sarà. Sul tavolo non si affronta il tema delle amministrative nel Lazio e soprattutto in Sicilia (per il bis di Nello Musumeci su cui insiste Meloni) e in Lombardia dove ormai è quasi scontro aperto tra Attilio Fontana e Letizia Moratti.
Secondo Adnkronos, la prossima settimana, probabilmente martedì, si dovrebbe tenere a Roma un altro vertice dei leader del centrodestra – con Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi – per fare il punto della situazione politica sulla strategia comune della coalizione in vista delle elezioni politiche 2022 e per definire collegi elettorali, a cominciare dal nodo della quota di uninominali assegnati ai ‘centristi’ che ha provocato malumore in casa Udc. ”L’esperienza mi insegna e mi porta a dire che anche stavolta troveremo una soluzione giusta sui collegi elettorali”, ha detto ad Adnkronos Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, dopo la decisione arrivata ieri al vertice fiume del centrodestra di assegnare a tutti i centristi della coalizione 11 collegi uninominali, una quota considerata ristretta rispetto all’attuale peso politico dell’Udc. Cesa preferisce gettare acqua sul fuoco, convinto che alla fine una soluzione si troverà e i collegi centristi verranno ricalibrati. ”Sono sicuro che tutto si risolverà tranquillamente”, assicura il segretario dell’Udc, ieri assente al summit per motivi personali. ”Anche stavolta si troverà un’intesa tutti insieme, che rispecchierà i reali pesi politici” dei ‘piccoli’ della coalizione. ”Noi dell’Udc”, ha rivendicato Cesa, “siamo politicamente rilevanti, lo siamo concretamente sui territori: pochi hanno una rete di consiglieri comunali e regionali come noi…. ‘L’esperienza mi dice che anche stavolta sui collegi riusciremo a trovare una soluzione equa, con serenità”, ha concluso.
“Io credo che all’interno di questa coalizione di destra-destra Forza Italia non possa avere alcun ruolo, è del tutto ininfluente, mi chiedo perché gli elettori debbano votarla ora che è diventata una brutta copia della Lega”, queste le parole di Elio Vito, primo parlamentare a lasciare FI prima della crisi di Governo. “Francamente mi pare che il senso attuale dell’alleanza per Forza Italia sia quello di avere collegi sicuri per autotutelare dei dirigenti diventati autoreferenziali“. La coalizione di centrodestra, secondo Vito, “rappresenta un triangolo litigioso che sta insieme per puro interesse, per mera convenienza elettorale. Ma il giorno dopo le elezioni si divideranno, litigheranno, tra l’altro i tre leader manco si sopportano. La coalizione di centrosinistra, progressista, è ancora in costruzione, ma in prospettiva mi appare più omogenea. E laddove non si riuscirà a fare una alleanza, come tra Pd e M5S, si ha il dovere di marciare divisi per colpire uniti”, ha aggiunto.
“Quello che sta accadendo in Forza Italia, con gli addii di tanti esponenti autorevoli non mi sorprende anzi lo avevo previsto ed anticipato con le mie dimissioni. Forza Italia ha perso la sua vocazione liberale e riformatrice, va al traino degli alleati sovranisti ed aver fatto cadere il governo Draghi è stata per molti la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Semmai quello che sorprende è la mancanza di autocritica da parte dei suoi dirigenti e la loro mancata rimozione”.
Scopri di più da WHAT U
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.