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È MORTO JEAN-LUC GODARD, MALATO DA TEMPO, HA SCELTO DI ANDARSENE OPTANDO PER IL SUICIDIO ASSISTITO


Jean-Luc Godard

“Non era malato, era soltanto esausto”, con queste parole il giornale Libération e poi a ruota tanti altri, hanno dato la notizia della morte di Jean-Luc Godard il geniale regista francese, maestro della nouvelle vague che oggi 13 settembre, ha deciso di andarsene “attorniato dai suoi cari”, ricorrendo al suicidio assistito in Svizzera, a Rolle un comune di 6.168 anime del Canton Vaud, nel distretto di Nyon, dove viveva da tempo. Lo hanno annunciato la terza moglie Anne-Marie Miéville, che ha vissuto col noto regista oltre 50 anni, assieme ai suoi produttori precisando in un breve comunicato, che non ci sarà nessuna cerimonia ufficiale e che il cineasta verrà cremato. “Il suo corpo era stanco; non poteva più vivere normalmente a causa di diverse patologie”, ha spiegato all’agenzia stampa Keystone-Ats un suo amico intimo. “Penso che per un uomo così indipendente, così integro, sia stato un grosso ostacolo non poter fare affidamento sui propri mezzi fisici come tutti gli altri”. Una dura realtà anche per Anne-Marie che conobbe Godard quando aveva 27 anni e da quel momento è diventata per lui un perfetto alter ego sostenendolo fino alla fine sia nella vita di coppia che in quella artistica. L’unica ad avere resistito ai suoi sbalzi di umori, alle sue assenze improvvise, ai suoi periodi di introversione, che invece avevano fatto a pezzi i due matrimoni precedenti, quello con le attrici Anna Karina e Anne Wiazemsky. Nato a Parigi il 3 dicembre 1930, dopo un’attività di critico cinematografico e alcuni cortometraggi, ha esordito sul grande schermo nel 1959 con Fino all’ultimo respiro, con Jean-Paul Belmondo, sorta di film-manifesto di quella che sarà poi chiamata la Nouvelle Vague e in cui si rispecchiavano le aspirazioni di molti autori appartenenti alla sua generazione: un cinema a basso costo, fuori dalle strutture industriali, sottratto alle regole dello spettacolo. Liricità e ironia, consapevolezza della crisi e una nuova sensibilità figurativa sembrano invece prevalere nei film girati dalla fine degli anni Settanta: Si salvi chi può (1979); Prénom Carmen (1982); Je vous salue Marie (1984); Détective (1985); Nouvelle vague (1990); Germania nove zero (1992). Negli anni Novanta Godard proseguì la sua ricerca di nuove forme visive realizzando, tra gli altri, Ahimè! (1993) o Forever Mozart (1996). Ha “riscritto”, con un taglio critico, anche una personale storia del cinema attraverso Histoires du cinéma (1998), L’origine du XXIème siècle (2000) e Pour une histoire du XXIème siècle (2000). Più recentemente ha diretto: Éloge de l’amour (2001); Notre musique (2004); Vrai faux passeport (2006); Film socialisme (2010); Adieu au langage (2013, per il quale l’anno successivo ha ricevuto il Premio della giuria al Festival di Cannes) e, infine, Le livre d’image (2018, Palma d’oro speciale alla 71a edizione del Festival di Cannes).

Considerato uno dei registi più significativi della seconda metà del Novecento, esponente di spicco della Nouvelle Vague, che sul finire degli anni Cinquanta rivoluzionò i codici del cinema, Godard ha suscitato un’ondata di reazioni di cordoglio. Il ministro della cultura svizzero Alain Berset si è detto “molto toccato” dalla morte di “uno dei più grandi cineasti” elvetici. “Le sue opere hanno ispirato generazioni di registi in tutto il mondo e la sua immensa eredità e influenza passeranno alla storia”.

“È stata come un’apparizione nel cinema francese, del quale poi divenne un maestro”, queste le parole del presidente francese Emmanuel Macron. “Jean-Luc Godard, il più iconoclasta dei registi della Nouvelle Vague, aveva inventato un’arte decisamente moderna e intensamente libera. Abbiamo perso un tesoro nazionale, lo sguardo di un genio”.

Per il direttore della Cineteca svizzera Frédéric Maire, “Godard era IL cinema, con la maiuscola”. La cosa più affascinante del suo lavoro “è che non ha mai smesso di sperimentare”, ha dichiarato Maire all’agenzia stampa Keystone-Ats. “Sperimentava sempre nuovi linguaggi, nuovi modi di raccontare storie. E nuove riflessioni, perché il suo cinema non era vuoto, ma in diretto contatto con i tempi moderni”.



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