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ECCO PERCHÉ LA CINA METTE A RISCHIO LA NOSTRA TRANSIZIONE SICURA VERSO LE EMISSIONI ZERO


“L’energia e il digitale devono diventare il carbone e l’acciaio del XXI secolo, in grado di rilanciare il processo di rinascita dell’Unione dopo la pandemia e dopo il ritorno della guerra sul nostro continente. Il raggiungimento di una vera autonomia strategica dipende essenzialmente dalla capacità dell’Ue di rendersi sovrana, riprendendo il controllo sulle proprie politiche ed eliminando il legame di dipendenza dalle importazioni di materie prime e di tecnologie provenienti da potenze straniere ostili”, ha detto Sandro Gozi intervenendo a “Il Verde e il Blu Festival” in corso a Milano a Palazzo Reale fino al 2 settembre. “L’azione e reazione alle crisi attuali”, ha aggiunto l’eurodeputato di Renew Europe, “devono tuttavia essere risposte comuni a livello europeo, non la somma di 27 approcci unilaterali ed incompatibili da parte degli stati membri. Ad una maggiore sobrietà energetica va affiancata una vera solidarietà europea. Il contenimento dei prezzi dell’energia dev’essere raggiunto tramite la definizione di un tetto al prezzo del gas e ad un acquisto comune da parte dell’UE, come fatto durante la pandemia per l’approvvigionamento di vaccini. L’Europa deve smettere di finanziare la guerra di Putin, schermando al contempo i cittadini e le imprese dalle conseguenze indirette delle sanzioni, dell’aumento dei prezzi dell’energia e della riduzione volontaria delle forniture russe di petrolio, gas e carbone”, ha concluso.

Secondo il report pubblicato da IEA, l’Agenzia Internazionale dell’Energia, che per la prima volta ha reso noti i dati di una ricerca  sulle catene di approvvigionamento globali del fotovoltaico dal titolo “Solar PV Global Supply Chains”, la filiera del fotovoltaico negli ultimi dieci anni si è concentrata prevalentemente nei mercati asiatici, provocando uno squilibrio che mette a rischio la transizione sicura verso emissioni nette zero. Questa è la conclusione a cui è giunta la IEA, facendo questa ricerca il cui obiettivo era quello di studiare gli effetti provocati dall’attuale crisi provocata non soltanto dal recente conflitto russo-ucraino ma anche dalla forte ripresa economica che ha fatto seguito alla pandemia da Covid, con un forte aumento delle richieste a cui le supply chain non hanno risposto in modo adeguato, con un’impennata dei tempi di fornitura e dei prezzi.

I rischi del monopolio

La quota cinese in tutte le fasi chiave di produzione dei pannelli solari supera oggi l’80%, secondo il rapporto, e per elementi chiave tra cui polisilicio e wafer, è destinata a salire a oltre il 95% nei prossimi anni. La IEA evidenzia tutti i rischi di questo quasi-monopolio, a partire dalla vulnerabilità di fronte a eventuali “colli di bottiglia” che potrebbero portare ad aumenti dei prezzi o anche a ritardi nelle consegne. Inoltre, per raggiungere l’obiettivo “zero emissioni” entro il 2050, la IEA  stima che la potenza aggiuntiva annuale globale dell’energia fotovoltaica debba almeno quadruplicare entro il 2030, e che l’industria cinese, da sola, non riuscirebbe a soddisfare questa crescita. Ci sono poi anche questioni più contingenti. Le fabbriche cinesi oggi sono alimentate in buona parte da centrali a fonti fossili: anche se un pannello solare impiega oggi solo 4-8 mesi (su una durata totale di 25-30 anni) a compensare la quantità di gas sera emessi per fabbricarlo, la produzione nei Paesi dove il mix di generazione elettrica è più pulito ridurrebbe ulteriormente la loro impronta ecologica, sia quella dovuta alla fabbricazione sia quella legata ai trasporti.

I vantaggi della diversificazione geografica

Il rapporto, intitolato “Solar PV Global Supply Chains”, auspica quindi una diversificazione geografica della produzione dei pannelli. E formula una serie di raccomandazioni, rivolte principalmente ai governi: favorire la nascita di fabbriche all’interno dei grandi poli industriali, facilitare gli investimenti con politiche fiscali adeguate, garantire una produzione rispettosa della sostenibilità ambientale e sociale, investire nella ricerca tecnologica per migliorare le prestazioni dei pannelli riducendone i costi, stabilire norme a favore del riciclo dei materiali in modo da diminuire la necessità di materie prime – che spesso, nel caso delle terre rare, arrivano dall’Asia – e quindi anche delle importazioni. I Paesi e le aziende che seguiranno queste indicazioni, oltre a rendere più fluida e resiliente la transizione energetica, avranno l’opportunità di creare una propria filiera tecnologica, con importanti ricadute positive in termini economici, a partire da quelli occupazionali: la IEA stima che per ogni Gigawatt aggiunto di capacità fotovoltaica si possono creare 1.300 nuovi posti di lavoro nell’industria. Inoltre, sempre secondo le previsioni dell’agenzia, le nuove fabbriche di pannelli solari potranno attrarre investimenti fino a un totale di 120 miliardi di dollari entro il 2030.

Quali gli obiettivi primari per Legambiente?

In vista delle elezioni del 25 settembre, Legambiente, che oggi ha proclamato lo sciopero globale per il clima dei Fridays for Future, in oltre 12 piazze della Penisola (ecco dove https://youth4planet.legambiente.it/evento/global-strike-23-settembre-2022/) per unirsi alla grande mobilitazione dei giovani di tutto il mondo e per denunciare l’insensata corsa del Paese verso le fonti fossili, in questi giorni, ha presentato ai partiti in corsa la sua Agenda per la prossima legislatura. Un documento che raccoglie 100 proposte, suddivise in 20 ambiti tematici, con riforme e interventi sulla transizione ecologica e che hanno al centro: lotta alla crisi climatica, dimenticata in questa campagna elettorale, innovazione tecnologica, lavoro e inclusione sociale.

Ecco quali sono le 100 proposte

In Italia, ad oggi, sono più di 120 le infrastrutture a fonti fossili in valutazione presso il Ministero della Transizione Ecologica tra centrali a gas fossile, metanodotti, depositi, autorizzazioni per nuove trivellazioni e rigassificatori. L’Italia sembra essere sempre più lanciata verso una transizione energetica basata sul gas fossile, una strategia pericolosa per il clima e la salute pubblica, e inutile in tema di caro energia e indipendenza del Paese. È quanto denuncia Legambiente che, alla viglia dello sciopero globale per il clima a cui parteciperà in una ventina di piazze della Penisola con i suoi circoli e giovani del progetto #Youth4planet, lancia la mappa dal titolo “L’Italia fossile” che raccoglie dati e numeri sugli impianti a fonti inquinanti. È un numero in continuo cambiamento tra nuove proposte e qualche rigetto che Legambiente ha “ricostruito” attraverso una mappa grafica che evidenzia non solo tutte le procedure autorizzative aperte, tenendo conto sia di quelle in attesa di approvazione e i progetti approvati dal 2020 ad oggi con verifiche di ottemperanza in corso, ma anche la corsa al gas che l’Italia continua a portare avanti in barba al caro bollette, alla crisi climatica e alle mancate opportunità di innovazione per il settore energetico e per i territori.

In sintesi, emerge un quadro preoccupante su cui, per Legambiente, è fondamentale che la prossima legislatura compia al più presto un cambio di rotta. Servono interventi e politiche concrete per accelerare lo sviluppo delle rinnovabili e che permettano la realizzazione di almeno 85 GW di nuovi impianti a fonti rinnovabili entro il 2030 con cui raggiungere l’84% di elettricità rinnovabile nel mix elettrico, come da proposta dell’associazione confindustriale Elettricità Futura. Fondamentale poi non realizzare nessuna altra nuova centrale a gas. Infatti, quelle costruite negli ultimi due decenni hanno prodotto una situazione di sovracapacità. Sul medio periodo, per l’associazione ambientalista, sarà necessario intervenire in termini di sprechi visto che una certa quantità di gas metano viene dispersa lungo l’intera filiera delle infrastrutture a fonti fossili. Infine, va pianificata una strategia di medio – lungo periodo di uscita totale dal gas fossile, arrivando al 2040 all’obiettivo emissioni zero nette.

“La crisi climatica”, ha detto Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, “sta accelerando il passo come dimostra anche l’aumento degli eventi metrologici estremi in Italia, come le ondate di calore e le alluvioni dell’estate che si è appena conclusa. Per frenarla è indispensabile mettere in campo interventi concreti non più rimandabili, a partire da una legge che elimini i sussidi alle fonti fossili, e politiche climatiche più coraggiose, come sottolineano anche i tanti giovani che domani scenderanno in piazza per il clima. Richieste al momento rimaste inascoltate tra amnesie politiche e temi ambientali dimenticati in questa campagna elettorale, giunta ormai al rush finale. Purtroppo, il nostro Paese per bilanciare la carenza di gas, che prima arrivava in gran parte dalla Russia, sta scegliendo come soluzione l’utilizzo sempre maggiore delle fonti fossili da altri paesi grazie ai gasdotti e ai rigassificatori. Si tratta di un grave errore che si ripercuoterà anche sul clima. Le fonti su cui concentrare le risorse pubbliche e private devono essere il sole e il vento. Per questo è fondamentale puntare su semplificazioni, autorizzazioni veloci per gli investimenti su efficienza, accumuli, pompaggi, reti, impianti a fonti rinnovabili. Solo così si potrà far decollare la vera transizione ecologica che serve al Paese, che già oggi garantisce oltre milioni di occupati secondo i dati di Fondazione Symbola e Unioncamere, e che abbiamo sintetizzato nelle cento proposte presentate nei giorni scorsi, con un appello alla prossima legislatura che si può sottoscrivere online su www.legambiente.it”, ha concluso.

Centrali termoelettriche: tornando ai dati di Legambiente, per il settore termoelettrico sono ben 43 i progetti su centrali a gas per circa 12 GW di nuova potenza a gas fossile: parliamo di 7 nuove centrali termoelettriche a gas metano (di cui 3 all’interno di stabilimenti industriali), 26 interventi di revamping o installazioni di nuove turbine, 2 riconversioni da olio combustibile, 7 riconversioni di centrali precedentemente alimentati a carbone, e 1 da biomasse di grandi dimensioni. Tra questi la Centrale termoelettrica di Monfalcone per la quale è prevista la riconversione a gas con una centrale da 770 MW anche grazie al sussidio economico del Capacity Market che A2A si è aggiudicata per il 2024. Grazie a questo sussidio sono, ad oggi, ben 20 progetti a fonti fossili che, secondo una stima di Legambiente, potranno godere di circa 146 milioni di euro di sussidi per la realizzazione di 2,6 GW di nuova potenza a gas fossile.

Rigassificatori: il Governo, accanto ai nuovi contratti di fornitura da Paesi come Egitto, Algeria, Congo, Qatar, Angola, Nigeria, Mozambico, Indonesia e Libia, ha imposto un’accelerata alla realizzazione di due rigassificatori, quello di Piombino e quello di Ravenna, che stanno godendo di procedure autorizzative semplificate. Ad oggi, secondo le ricerche condotte da Legambiente sono stati individuati almeno 15 progetti tra rigassificatori e depositi presentati al Mite per procedure VIA e AIA tra nuove infrastrutture e ammodernamenti di quelli esistenti. A questi si aggiungono due rigassificatori – Gioia Tauro e Porto Empedocle – e il deposito GNL di Brindisi approvati ma poi mai realizzati e ora tornati in auge.

Considerando anche questi ultimi, sono 16 le possibili nuove infrastrutture per la rigassificazione e lo stoccaggio di GNL, di cui 6 nuovi depositi e 10 rigassificatori che si aggiungono ai tre già in funzione, per una nuova capacità di stoccaggio di 800 mila metri cubi di gas e di rigassificazione di più di 31 miliardi di metri cubi di gas, raggiungendo, così, una capacità strutturale complessiva di quasi 47 miliardi di metri cubi l’anno. Invece, tenendo in considerazione solamente i progetti presentati presso il MITE, e dunque escludendo Gioia Tauro, Porto Empedocle e Brindisi, l’aumento della capacità di rigassificazione sarebbe di 12 miliardi di metri cubi di gas, raggiungendo quasi 28 miliardi di metri cubi totali annui di capacità nazionale di rigassificazione. Numeri che raccontano bene il rischio dipendenza per i prossimi 25 anni, considerando che proprio il rigassificatore di Ravenna dovrebbe sostare nelle acque marine proprio per tutto questo periodo.

Metanodotti: Ad oggi, in programma la realizzazione di circa 2.300 km di nuove condotte, di cui 1.360 km in sostituzione di tubazioni in dismissione e circa 1.000 km in aggiunta alla rete già esistente. Anche in questo caso, le infrastrutture fanno riferimento a progetti che sono in attesa di VIA o che hanno ricevuto l’autorizzazione negli ultimi due anni e che dunque potrebbero essere già realizzate o in via di realizzazione. Si pensi all’iniziativa Sealine Tirrenica, un gasdotto sottomarino di 271 km che dovrebbe collegare la Sicilia alla Campania, o alla Linea Adriatica SNAM lunga 689 km dalla Puglia all’Emilia Romagna, tra rifacimenti e nuove condutture. In totale parliamo di 42 progetti presentati al MITE, di cui 15 per gasdotti da realizzare ex novo e 25 rifacimenti di condotte già esistenti tra sostituzioni e modifiche alla portata. Alla rete interna di gasdotti si aggiungano due possibili progetti per l’import-export di gas, ovvero l’East Med, lungo 2.000 km finalizzato all’importazione di 10 – 20 miliardi di metri cubi di gas l’anno da Israele, e il Melita Trans-gas, con il quale, invece, esporteremmo gas verso Malta.

Trivellazionisono 39 le istanze per ottenere permessi di ricerca e coltivazione di idrocarburi per ulteriori 76.694 kmq di territorio italiano dedicati alla produzione di fonti fossili, ovvero una superficie simile all’estensione dell’Austria, in aggiunta agli attuali 33.618 kmq. In parallelo, ulteriori 18 richieste sono in attesa della VIA e dell’AIA da parte del Mite per autorizzare perforazioni di nuovi giacimenti, o la realizzazione di nuove infrastrutture per avviare la produzione.

“Qualora questi progetti dovessero essere autorizzati e realizzati”, ha spiegato Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente, “l’Italia abbandonerebbe non solo qualsiasi speranza di poter affrontare in maniera efficace la crisi climatica, non riuscendo in alcun modo a soddisfare gli obiettivi di contenimento delle temperature e di decarbonizzazione definiti dalla comunità internazionale, ma non sarebbe neanche in grado di offrire opportunità concrete di riduzione dei costi in bolletta a imprese e famiglie, rimanendo per i prossimi 25 anni, totalmente dipendente dalle forniture di gas fossile da altri Paesi, spesso al centro situazioni geopolitiche e sociali instabili”.

Legambiente in piazza per lo sciopero per il clima: i volontari dell’associazione scenderanno domani in oltre 12 piazze della Penisola per unirsi alla grande mobilitazione dei giovani di tutto il mondo e per denunciare l’insensata corsa del Paese verso le fonti fossili. Tra le piazze dove parteciperanno si va da Ancona ad Avellino, da Bari a Roma, da Genova a Milano passando per Napoli, Ravenna e Padova, Verona, solo per citarne alcune. Tutte le piazze su >> https://youth4planet.legambiente.it/evento/global-strike-23-settembre-2022/



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