ph. EPA/TATYANA ZENKOVICH
Oggi il premio Nobel per la Pace è stato assegnato all’attivista bielorusso ora in carcere Ales Bialiatski, al gruppo russo Memorial e all’organizzazione ucraina Center for Civil Liberties.
“Siamo nel mezzo di una guerra e stiamo parlando di due regimi autoritari e di una nazione che combatte una guerra e vorremmo sottolineare l’importanza della società civile”, ha detto Berit Reiss-Andersen, presidente del Comitato norvegese per il Nobel, sottolineando che la giuria stava onorando “tre eccezionali difensori dei diritti umani, della democrazia e della convivenza pacifica”. In realtà l’onorificenza conferita sia al gruppo ucraino sia agli attivisti provenienti da Russia e Bielorussia, il cui governo ha consentito alle forze russe di attaccare l’Ucraina dal suo territorio, è stata maldigerita dall’Ucraina, che ha criticato l’iniziativa via Social. Il consigliere ucraino Mykhailo Podolyak ha twittato ironicamente: “Il comitato per il Nobel ha un’interessante interpretazione della parola ‘pace'”.
L’anno scorso il premio è stato assegnato a Dmitry Muratov, direttore del quotidiano russo indipendente Novaya Gazeta, e alla giornalista filippina Maria Ressa, per i loro sforzi per salvaguardare la libertà di espressione. Bialiatski è stato un leader del movimento per la democrazia in Bielorussia a metà degli anni ’80 e ha continuato a fare campagne per i diritti umani e le libertà civili. Ha fondato l’organizzazione non governativa Human Rights Center Viasna. Arrestato in seguito alle proteste del 2020 contro la rielezione del presidente bielorusso Alexander Lukashenko è rimasto in carcere senza processo e ora rischia di starci 12 anni di carcere se condannato. “Nonostante le enormi difficoltà personali, il signor Bialiatski non ha ceduto di un centimetro nella sua lotta per i diritti umani e la democrazia in Bielorussia”, ha affermato Reiss-Andersen. Chapeau!
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