La morte di Papa emerito Benedetto XVI continua a fare grande eco nel mondo. Raffinato teologo, poi pastore della sua Arcidiocesi di Monaco e Frisinga e successivamente, per 24 anni, custode dell’ortodossia cattolica come prefetto della Dottrina della Fede e strettissimo collaboratore di San Giovanni Paolo II, la strada per diventare Sommo Pontefice della Chiesa cattolica, 264/o successore dell’Apostolo Pietro era praticamente segnata. Un incarico accettato con gioia al quale però poi ha dovuto rinunciare a causa della sua salute sempre più cagionevole. Un annuncio arrivato a sorpresa nel corso del Concistoro dell’11 febbraio 2013 che sconvolse tutti aprendo una nuova strada per la comunità e le gerarchie ecclesiali: quella dei Papi emeriti, figura ancora inesistente, ma giustificata in un’epoca in cui la durata della vita si allunga e sono ipotizzabili anche condizioni di vecchiaia e malattia che possano pregiudicare le capacità di governo. Una scelta molto diversa quella di Joseph Ratzinger da quella del suo predecessore Karol Wojtyla, che malgrado le gravi condizioni di salute portò la sua croce fino alla fine. E una figura, quella appunto del “Papa emerito” o “Romano Pontefice emerito” – così ha voluto essere chiamato Ratzinger dopo la rinuncia al ministero petrino – che neppure il successore papa Francesco ha voluto codificare. Nei suoi quasi otto anni sul soglio di Pietro, dall’elezione del 19 aprile 2005 alla storica e scenografica partenza in elicottero per Castel Gandolfo la sera del 28 febbraio del 2013, Benedetto XVI ha sempre inteso il suo Pontificato come “di transizione” dopo quello di somma grandezza del predecessore Wojtyla. Pochi i documenti, per sua stessa volontà, da lasciare al magistero della Chiesa, tra cui le tre encicliche ‘Deus caritas est’, ‘Spe salvi’ e ‘Caritas in veritate’, tutte dedicate ai principi-cardine del cristianesimo. Durante il suo pontificato Ratzinger ha sempre visto il connubio tra fede e ragione, da rinsaldare. “Distorsioni della religione, come il settarismo e il fondamentalismo, emergono quando viene data una non sufficiente attenzione al ruolo purificatore e strutturante della ragione all’interno della religione”, disse durante il viaggio apostolico nel Regno Unito del settembre 2010. D’altra parte “senza il correttivo fornito dalla religione, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana”. Ma anche altre, e molto caratterizzanti, sono le questioni affrontate da Benedetto XVI, come l’Occidente visto come “terra di missione”, tanto da dedicargli un apposito Pontificio Consiglio della Nuova evangelizzazione. Nella critica al relativismo, rientra poi la difesa del “valori non negoziabili”, in particolare in materia di tutela della famiglia e della vita. Resta, nella teologia di Benedetto XVI, la visione del Concilio Vaticano II attraverso una “ermeneutica della continuità” e non “della rottura”. Ma è soprattutto nella lotta alla pedofilia nel clero che Joseph Ratzinger ha dato un impulso tutto personale, dopo i decenni delle coperture e dell’omertà chiedendo esplicitamente per primo scusa alle vittime, incontrandole più volte, e allontanando contestualmente dalla Chiesa religiosi responsabili di abusi su minori e stabilendo norme e linee guida più stringenti.
Ora il corpo del Papa emerito Benedetto XVI, morto sabato 31 dicembre nella cappella del monastero, giace nella Basilica di San Pietro, davanti all’altare maggiore sotto l’imponente baldacchino di bronzo del Bernini, dove da oggi migliaia di persone si sono recate per l’ultimo saluto. Il suo segretario di lunga data, l’arcivescovo Georg Gaenswein, e una manciata di laiche consacrate che prestavano servizio nella casa di Benedetto, hanno seguito il furgone che ha trasportato il suo corpo fino alla basilica a piedi in una silenziosa processione. “Ora bisogna lasciare spazio alle preghiere e non più alle parole” dice un religioso in coda anche lui per l’ultimo saluto.
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