Oggi carabinieri del Ros e la procura di Palermo hanno messo i sigilli all’abitazione dell’oramai ex latitante Matteo Messina Denaro. Una casa a Campobello a soli 8 chilometri da Castelvetrano, il paese di origine del boss e della sua famiglia intestata ad Andrea Bonafede, il geometra che ha prestato la sua identità al padrino e che ora starebbe parlando con i pm. Tra le prime ammissioni quella di conoscere il capomafia fin da ragazzo e di essersi prestato a comprare, con i soldi del padrino, la casa dove Denaro ha trascorso tutto il 2022. Anche il suo autista Giovanni Luppino, 59 anni, che era alla guida dell’auto che ha condotto il boss mafioso alla clinica La Maddalena di Palermo, dove poi è stato catturato, è stato arrestato con l’accusa di favoreggiamento. Un uomo riservato e di poche parole. Una fedina penale pulita. Uno sconosciuto che come attività principale aveva la coltivazione e il commercio di olive, di fatto un insospettabile. “Gli accertamenti sono appena partiti. L’uomo che lo accompagnava era un perfetto sconosciuto” ha detto il procuratore della Repubblica di Palermo, Maurizio de Lucia, durante la conferenza stampa sull’arresto del boss mafioso.
Matteo Messina Denaro ora si trova in regime di 41bis in una delle celle singole del supercarcere dell’Aquila Le Costarelle. Il boss mafioso è tranquillo. La cella, di poco più di dieci metri quadrati, si trova in una delle sezioni del carcere che ospita anche la terrorista Nadia Desdemona Lioce. Messina Denaro comincerà nelle prossime ore, all’interno del carcere, la chemioterapia in una stanza ad hoc.
“Le sue condizioni sono gravi, la malattia ha avuto un’accelerazione negli ultimi mesi”, dice a Repubblica online Vittorio Gebbia, responsabile dell’Oncologia medica della clinica La Maddalena, dove il boss è stato arrestato. Gebbia ha visitato il boss, nel gennaio 2021 prima di una valutazione multidisciplinare chirurgica. Poi il mafioso ha iniziato la chemio e il 4 maggio 2021 è stato operato per le metastasi al fegato da una equipe chirurgica. Gebbia dice che la prognosi infausta è stata “accolta con grande dignità” dal paziente che aveva, la “piena consapevolezza delle sue condizioni di salute”.
“Matteo Messina Denaro abitava qui da almeno sei mesi” ha detto il comandante provinciale dei carabinieri di Trapani Fabio Bottino, dopo l’ispezione nel covo . Un appartamento, ben ristrutturato, che testimonia che le condizioni economiche del latitante erano buone. Arredamento ricercato, di un certo tenore, non di lusso ma di apprezzabile livello economico”. “Perquisizioni e accertamenti sono in corso. Stiamo rilevando la presenza di tracce biologiche, di eventuali nascondigli o intercapedini dove può essere stata nascosta della documentazione. Un lavoro per il quale occorreranno giorni”.
Tra gli indagati anche Alfonso Tumbarello, 70 anni, il medico che aveva in cura Andrea Bonafede, alias Matteo Messina Denaro, è indagato nell’ambito dell’arresto del super latitante. Tumbarello che è di Campobello di Mazara è stato per decenni medico di base in paese, sino a dicembre scorso, quando è andato in pensione. E sino a qualche mese fa è stato medico del vero Andrea Bonafede, 59 anni, residente a Campobello di Mazara e avrebbe prescritto le ricette mediche a nome dell’assistito.
A difendere in tribunale il noto boss sarà la propria nipote, l’avvocato Lorenza Guttadauro. Figlia della sorella del boss, Rosalia, e di Filippo Guttadauro, suo nonno paterno è lo storico boss di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro. La nomina non è stata ancora ufficializzata, ma preannunciata alla professionista. Matteo Messina Denaro da latitante non ha avuto legali di fiducia, ma è stato assistito da difensori d’ufficio. Il primo ‘impegno’ processuale del capomafia di Castelvetrano è previsto tra due giorni: il 19 gennaio infatti si terrà, nell’aula bunker di Caltanissetta, un’udienza in cui è imputato per le stragi mafiose del ’92, di Capaci e Via D’Amelio. Se la penalista dovesse ricevere l’incarico anche per quel procedimento l’udienza potrebbe essere rinviata in caso di un’eventuale richiesta di concessione di termini a difesa.
“È tutto da vedere, perché non basta il suo arresto”, queste la risposta di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo il giudice ucciso due mesi dopo il giudice Giovanni Falcone il 19 luglio 1992 a una domanda di iNews24 su cosa cambierà negli ambienti della mafia, dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro. “Un arresto che tra l’altro avviene dopo un tempo assolutamente assurdo e interminabile. È assurdo che un personaggio di questo calibro trascorra trent’anni in latitanza. Ed è la stessa cosa che è successa con Riina, con Provenzano. Adesso cosa cambia? Dovremo vedere. Dipende se si sia trattato solo di un’operazione di polizia o se ci sia qualcosa dietro, come sinceramente mi capita di pensare anche osservando le scene della cattura”. Poi Borsellino ha aggiunto: “Non è normale che un latitante del suo calibro venga accompagnato nell’auto che lo porterà alla sua nuova destinazione come se fosse fatto accomodare in un taxi. C’è qualcosa che mi turba nel vedere quella scena. Io ricordo che Totò Riina fu ammanettato e spinto nell’auto. C’è qualcosa che non mi quadra”.
Borsellino ha poi ha ricordato l’intervista di Massimo Giletti a Salvatore Baiardo: “Io non posso scordare quell’intervista a novembre. Una persona che sicuramente conosce bene l’ambiente mafioso, che lancia spesso messaggi per conto dei Graviano, mesi fa parlava di una possibile resa di Matteo Messina Denaro che però avrebbe comportato un qualche tipo di “trattativa” – come detto esplicitamente da lui – per assicurare questa resa. Tutto mi turba e non mi fa essere contento del risultato dell’azione di polizia, e mi preoccupa immaginare un’ennesima trattativa tra mafia e Stato, perché una trattativa comporta sempre una contropartita”.
Secondo il fratello di Paolo Borsellino, “non è pensabile che trent’anni di latitanza possano essere assicurati solo dalla rete di connivenze di cui Messina Denaro sicuramente godeva nel suo territorio. Per questo tipo di latitanza, come per quelle di Riina e Provenzano, sono indispensabili anche le coperture istituzionali: se non altro delle “talpe” nelle strutture statali che possono avvisare i latitanti. Spesso è successo che venissero fatte irruzioni in altri covi e residenze di Matteo Messina Denaro: erano ancora “caldi” ma di lui non c’erano tracce. Quindi che la sua latitanza, come quelle di Riina e Provenzano siano state favorite, in qualche modo, non c’è dubbio. La stessa sentenza di Appello di Palermo nel processo sulla Trattativa, parla di una latitanza “soft”, in qualche maniera “protetta” per quanto riguarda Provenzano. Questo è un bruttissimo sintomo che lo Stato possa arrivare a trattare con la mafia per ottenere risultati come questo”.
Infine, sull’ergastolo ostativo ha aggiunto: “Troppo a lungo il Parlamento è stato inerte anche sulla raccomandazione della Corte Costituzionale di intervenire. Nei precedenti governi sono state perse tante occasioni. E se si intervenisse per impedire che criminali di questo calibro e non soltanto – senza aver collaborato con la giustizia, possano godere di benefici penitenziari come l’interruzione della pena dell’ergastolo dopo un certo numero di anni – sarebbe un grande merito per questo governo, visto il tentennamento di quelli precedenti su questa problematica”.
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