Nel giorno del settimo anniversario del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni, i genitori Paola e Claudio lo scorso 3 febbraio hanno scritto un messaggio insieme al loro avvocato Alessandra Ballerini. “Chi, ad ogni gita al Cairo, dopo i selfie e i salamelecchi di rito, si riempie la bocca di ‘collaborazione’ dovrebbe spiegare agli italiani perché tornano a casa sempre a mani vuote, incapaci di farsi dare anche solo 4 indirizzi. Sarebbe più dignitoso tacere. A furia di stringere le mani (e vendere armi) ai dittatori si rischia di trovarsi insanguinate anche le proprie. E di offendere la nostra dignità”. E ieri sera ospiti a Fiumicello, in provicia di Udine, all’iniziativa ‘Parole, immagini e musica per Giulio’ a 7 anni dalla scomparsa del ricercatore friulano da Il Cairo hanno detto: “Stiamo cercando di andare avanti. Faremo di tutto per non fermaci. Ci auguriamo che qualcuno delle istituzioni possa aiutarci ad andare avanti e trovare una chiave per iniziare finalmente il processo. Ricordiamo”, hanno sottolineato dal palco della sala Bison, “il nostro esposto contro lo Stato italiano che continua a vendere armi importanti, di guerra, offensive all’Egitto, andando contro la legge che vieta la vendita di armi a Paesi che violano i diritti umani. Da qui la scelta di inviolabilità come parola simbolo di questo anniversario, per dire quanto inviolabili sono i diritti umani nell’interesse della comunità”. Sette anni senza Giulio, ha aggiunto Paola Deffendi, mamma di Giulio, “sono tanti. Siamo stufi e offesi, in questi giorni soprattutto. Leggo che si fanno accordi bilaterali, si fa il patto con il diavolo. Bisogna parlare di interessamento e non di interessi, per fare gli interessi “non di una lobby”, ma “di chi ha bisogno”. E poi ha aggiunto in conclusione: “Non vogliamo strade a nome di Giulio, perché le targhe sono fatte per chiudere il discorso su quanto accaduto. tantomeno passerelle politiche per iniziative mediatiche o artistiche che non sevono per la ricerca della verità”.
“Arrendersi all’impunità dei sequestratori, torturatori e assassini di Giulio”, ha proseguito Ballerini “equivarrebbe a una rinuncia della tutela dei valori dei diritti costituzionali e consegnerebbe ogni cittadino alla insicurezza di non sapersi protetto dal proprio paese”.
Chi era Giulio Regeni
Nato a Trieste il 15 gennaio 1988 e cresciuto a Fiumicello, in provincia di Udine, Giulio aveva studiato a lungo all’estero e al momento del rapimento stava conseguendo un dottorato di ricerca presso il Girton College dell’Università di Cambridge. Il ritratto che amici e parenti hanno fatto di lui è unanime: una “bella persona”’, un giovane “determinato, ma solidale”. Il corpo nudo e atrocemente mutilato del ragazzo viene ritrovato il 3 febbraio successivo in un fosso lungo la strada del deserto alla periferia del Cairo. Il corpo mostra segni evidenti di tortura: contusioni, abrasioni, lividi estesi compatibili con lesioni da calci, pugni, colpi di bastone. Si contano più di due dozzine di fratture ossee, tra cui sette costole rotte, tutte le dita di mani e piedi, così come entrambe le gambe, le braccia e scapole, oltre a cinque denti rotti.
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