Bill Gates una volta dichiarò che “l’attività bancaria è necessaria, le banche no” scrive Jim Armitage, un giornalista esperto di economia e finanza sul Sunday Times. Una frase che a leggerla fa sempre un certo effetto, e non solo perché a dirla è stato uno degli uomini più ricchi del mondo. Ma anche perché di fronte a questi fallimenti a catena di banche fino a un anno fa solidissime, gli interrogativi si moltiplicano.
Questo fine settimana Il Credit Suisse è uno tra i maggiori gestori patrimoniali del mondo, considerato una delle 30 banche di importanza sistemica globale, sembra destinato a fare la fine di Lehman Brothers e Silicon Valley Bank. Sono ore febbrili nel corso delle quali è difficile sbilanciarsi perché basta un batter di ciglio perché cambino tutti i pronostici. Noel Paul Quinn, il noto CEO di HSBC uno dei più grandi gruppi bancari del mondo, con sede nella HSBC Tower nei Docklands di Londra, nonostante non rilasci mai interviste, ha lasciato intendere di non essere preoccupato dei destini finanziari dei suoi correntisti. Insomma nessuna sorpresa è prevista Oltremanica.
L’ipotesi dell’acquisizione da parte del rivale
Ad oggi una delle ipotesi sul tavolo, quella più dibattuta riguarda la fusione di Credit Suisse con la connazionale rivale Ubs, a favore della quale, sia secondo fonti della piazza elvetica sia secondo media internazionali, sono la Banca nazionale svizzera e l’autorità rossocrociata di vigilanza, la Finma.
Cosa accadrebbe se l’affare non andasse in porto? Il rischio è quello di una bancarotta per il Credit Suisse dicono alcuni esperti, perché la capitalizzazione dell’istituto, già precipitata poco al di sopra degli 8 miliardi di franchi svizzeri (8,1 miliardi di euro) nonostante la robusta stampella della banca centrale svizzera (50 miliardi), subirebbe un’ulteriore erosione e i credit default swap (cds) esprimerebbero con ancora maggior evidenza il rischio di default. Per non parlare dello scatenamento di un vero e proprio bank run, evento nefasto da non escludere dopo che alla fine della scorsa settimana i deflussi di depositi dalla banca avrebbero superato i 10 miliardi di franchi svizzeri (10,8 miliardi di dollari) al giorno. Sono quindi ore febbrili in cui si cerca di evitare l’irreparabile, durante le quali c’è anche chi cerca di trarne vantaggio. Come alcuni istituti cantonali che avrebbero contattato molti clienti del Credit Suisse suggerendo loro di spostare i loro conti sotto la loro egida.
Una ragione in più per le autorità elvetiche per cercare di mandare in porto l’acquisizione dell’istituto da parte degli eterni rivali di Ubs, con lil sostegno anche degli Usa. Anche l’amministrazione del presidente americano Joe Biden si è mossa per garantire i depositi dei consumatori, dopo il prestito la banca centrale svizzera. “Due persone a conoscenza della questione”, scrive Investing, “hanno dichiarato che UBS ha subito pressioni da parte delle autorità svizzere per rilevare la sua rivale locale al fine di tenere sotto controllo la crisi. Il piano potrebbe prevedere lo scorporo delle attività svizzere del Credit Suisse”.
La Svizzera ora si sta preparando a ricorrere a misure di emergenza per accelerare l’operazione, ha riferito il Financial Times.
Le azioni del Credit Suisse hanno perso un quarto del loro valore nell’ultima settimana. La banca è stata costretta a ricorrere a 54 miliardi di dollari di finanziamenti della banca centrale nel tentativo di riprendersi da una serie di scandali che hanno minato la fiducia di investitori e clienti.
Bloomberg ha riferito che Deutsche Bank starebbe valutando l’acquisto di alcune delle sue attività, mentre il gigante finanziario statunitense BlackRock ha smentito la notizia secondo cui avrebbe partecipato a un’offerta rivale per la banca.
Il Financial Times in queste ore dà notizia di riunioni separate dei consigli dei due istituti in queste ore per verificare la fattibilità della cessione/acquisizione. Sull’operazione, già resa delicata proprio a causa del poco tempo a disposizione, pende però il parere della Commissione per la concorrenza a causa della posizione dominante sul mercato dei due istituti. Così, per non incappare nelle maglie della legge sulla concorrenza, il Credit potrebbe essere smembrato in più parti anche per evitare duplicazioni delle attività tali da innescare una catena di licenziamenti.
E poi ci sono i pro e i contro per entrambi. Il Credit Suisse teme di ritrovarsi in una posizione di vassallaggio dovendo trattare con una banca che la soverchia anche sotto il profilo del valore borsistico (60 miliardi di franchi). Ubs invece finora concentrata sempre più sul risparmio gestito, considera l’area d’investment banking di CS e le sue attività di trading tra i punti critici al raggiungimento di un accordo. L’escamotage per evitare il naufragio delle nozze sarebbe un “merger” basato sul mantenimento delle unità di gestione patrimoniale, mentre la divisione che si occupa d’investimento della banca verrebbe ceduta. Ubs però vorrebbe ulteriore garanzie. Per questo, afferma Bloomberg, avrebbe chiesto al governo di Berna di «assumersi alcune spese legali o altre perdite specifiche». A breve si sapranno le decisioni prese. In ogni caso, nonostante tutte le criticità, la liaison Ubs-CS sembra quella con più chance di andare in porto.
Quello che fa tirare egoisticamente agli europei, e al Regno Unito, un sospiro di sollievo, è che il rischio di contagio per il loro sistema creditizio appare limitato. Gli analisti di Bloomberg intelligence ricordano che le prime 25 banche hanno una eccedenza di capitale per complessivi 55 miliardi. Di questi, due terzi, pari a 38 miliardi, sono detenuti da sette istituti di credito, ovvero Unicredit, Ing, Intesa Sanpaolo, Nordea, Société Générale, Ubs e Crédit Agricole.
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