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IN USCITA UN ALBUM E UN DOCUMENTARIO POSTUMO DI WHITNEY HOUSTON PER RICORDARNE LE RADICI GOSPEL


Gary, il fratello di Whitney Houston, la cantautrice e attrice statunitense, conosciuta anche come The Voice, considerata una delle interpreti più talentuose e influenti nella storia della popular music, ha riparlato della sorella, ricordandone non solo il valore umano, ma anche la poliedricità artistica. Sì perché Witney, che morì l’11 febbraio 2012, all’età di 48 anni, in una stanza del Beverly Hilton Hotel a Beverly Hills annegando accidentale nella vasca da bagno, in seguito ad un’eccessiva assunzione di droghe combinata all’aterosclerosi, oltre ad essere una donna speciale era anche un’artista di spessore che ha saputo lasciare il segno.   Merito anche della mamma, che cantava gospel, rimarca oggi il fratello, che è riuscita a inculcare nella mente della figlia melodie che ne hanno segnato il percorso artistico fin da bambina, perché per Gary la sua voce era radicata nella musica gospel.

Un’influenza quella gospel, che  è stata celebrata con un nuovo album postumo “I Go to the Rock: la musica gospel di Whitney Houston. E un documentario, titolato esattamente come l’album, condotto da CeCe Winans, e andato in onda su UPtv e AspireTV che sarà disponibile a breve anche in DVD.

L’album di 14 tracce della cantante contiene diversi brani di importanti colonne sonore tra cui “Jesus Loves Me” da “The Bodyguard”, ” His Eye Is on the Sparrow” da “Sparkle” insieme a “I Go to the Rock” e “Joy to the World” dalla colonna sonora di “The Preacher’s Wife”, l’album gospel più venduto di tutti i tempi. Il progetto include anche sei brani inediti, tre dei quali (“He Can Use Me”, “I Found a Wonderful Way” e “Testimony”) sono stati registrati quando aveva 17 anni.

In un’intervista rilasciata allo show televisivo americano The Talk, Pat, la cognata ed ex assistente di Whitney, ha rispedito al mittente le cattiverie secondo le quali la famiglia per molti anni è stata accusata di non avere abbastanza per salvare la star da se stessa. “Durante la registrazione del suo album del 1987, io e Whitney abbiamo lavorato insieme in un momento molto particolare. Avevo visto tanto ed ero scioccata, sapevo che le serviva aiuto”, ha dichiarato al programma televisivo Pat, che all’epoca lavorava come assistente di Whitney. “Ne abbiamo parlato, abbiamo contattato i suoi agenti, che ci dissero esattamente cosa doveva essere fatto e io e Gary (il marito di Pat, ndr), insieme alla madre (Cissy), decidemmo di intervenire”.

I tre provarono a convincere Whitney a chiedere sostegno psicologico. La star accettò il consiglio recandosi in una struttura specializzata, la Hope for Women, ma purtroppo il tentativo si dimostrò vano. “Dopo quell’esperienza si sentii ancora peggio. Così l’abbiamo costretta con la forza ad andare in rehab. Per tre mesi non mi ha rivolto parola. Non le piaceva il fatto che qualcuno la stesse costringendo a fare qualcosa contro la sua volontà”. Suo fratello, Gary ora dice di sentire ancora lo spirito di sua sorella ogni volta che piove, o quando un uccello gli fa visita mentre è a casa aggiungendo che “quando suona il campanello, pensa che sia lei. Pat Houston ha detto che spera che gli spettatori possano trovare una conclusione guardando il documentario. “Si spera che si possa avere pace e sapere che Whitney Houston era una donna di Dio e di grande forza che ha mostrato durante tutto il documentario”, ha concluso Pat.



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