Lunedì prossimo una commissione parlamentare britannica si riunirà per concludere la sua inchiesta sul “partygate” di Boris Johnson e quindi emanare un verdetto sul fatto che l’ex primo ministro Boris Johnson abbia ingannato o meno i legislatori sulle feste nel suo ufficio di Downing Street violando le restrizioni di blocco del COVID-19.
I membri del Comitato dei privilegi del Parlamento si sono impegnati a continuare le indagini sulla condotta di Johnson anche se l’ex premier inaspettatamente venerdì scorso si è dimesso da legislatore accusando con rabbia gli oppositori politici di aver dato il via a “una caccia alle streghe”. Johnson ha accusato il comitato, che ha membri sia dei conservatori al governo sia dei partiti di opposizione, di parzialità e lo ha definito un “tribunale canguro”. Il suo successore, il primo ministro Rishi Sunak, ha sostenuto lunedì la commissione parlamentare.”Questo è un comitato adeguatamente istituito che la Camera (dei Comuni) ha votato per svolgere il proprio lavoro”, ha detto il portavoce di Sunak, Max Blain. “Il governo non calunnierà o criticherà in alcun modo il lavoro della commissione che sta facendo esattamente ciò che il Parlamento ha chiesto loro di fare”.
Ma ora che Johnson, si domandano in molti, si è dimesso che pena potrebbe avere? Certo non potrebbe essere sospeso però potrebbe essere oggetto di altre limitazioni rispondono dagli alti vertici. Perché se venisse accertato che in un momento in cui a milioni di persone era proibito vedere i propri cari o persino partecipare ai funerali di famiglia e lui e il suo staff invece indifferenti alle restrizioni organizzavano feste in ufficio di compleanno e brindisi, per lui sarebbe più che un brutto scivolone e forse l’ultimo di una serie di piccoli scandali che ne decreterebbe l’irreparabile caduta. La polizia ha emesso un totale di126 multe ai partecipanti delle serate, dei party alcolici e del rituale “vino del venerdì”, tra cui una a Johnson. Ma Johnson ha insistito con i legislatori sul fatto di non aver deliberatamente ingannato il Parlamento sulle riunioni spiegando al comitato che “credeva onestamente” che i cinque eventi a cui ha partecipato, tra cui un saluto per un membro dello staff e la sua festa di compleanno a sorpresa, fossero “riunioni di lavoro legali” intese a sollevare il morale dei membri del personale.
Ora le dimissioni a sorpresa di Johnson hanno riaperto amare spaccature all’interno del partito conservatore al governo, il cui potere si è man mano depauperato nel corso degli ultimi 13 anni lasciando sempre più spazio al partito laburista all’opposizione. Oltre a ciò, che potrebbe già essere abbastanza, Johnson è stato anche accusato dal premier Sunak di pressioni affinché lui nominasse i suoi stretti sostenitori politici alla camera alta del Parlamento, la Camera dei Lord. Johnson ha risposto, dicendo che Sunak stava “parlando di sciocchezze, spazzatura”, ma il premier venerdì ha fatto pubblicare la lista dei nomi delle persone cui Johnson voleva riservare delle onorificenze speciali, come i cavalierati, che vengono concessi da un primo ministro uscente dopo le dimissioni.
Sue Gray, l’alto funzionario pubblico che lo scorso anno ha investigato sul «party gate», non aveva usato mezzi termini per commentare i festini tenuti a Downing Street durante il lockdown. “Hanno rappresentato un grave fallimento della leadership del governo. Alcuni dei comportamenti tenuti durante questi eventi – aveva scritto nel suo rapporto – sono difficili da giustificare”»”. Parole pesanti. Il premier Boris Johnson, che come è noto, è riluttante alle scuse, inizialmente aveva espresso dispiacere per l’accaduto. Ma poi ha ripreso a difendere la sua posizione con i soliti toni e modi, di chi si sente infallibile.
Il dossier di dodici pagine che sintetizza l’esito delle indagini amministrative condotte su sedici eventi conviviali organizzati al numero 10 di Downing Street – giardino, appartamento, sala riunioni – e al numero 70 di Whitehall, principale sede del governo è finito anche nel mirino della polizia metropolitana di Londra, titolare di un’indagine parallela, che ha chiesto, e ottenuto, che il «dossier Gray» fosse diffuso in una versione alleggerita dai profili di reato per non compromettere l’esito delle verifiche. Il materiale raccolto durante l’inchiesta è enorme: secondo alcune fonti, conta 300 foto, 500 pagine di documenti (e-mail, Sms, chat) e i verbali di almeno 70 interrogatori.
L’ex premier che si è già assunto la «piena» responsabilità di quanto denunciato dall’indagine non capitolerà, afferma un insider.
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